..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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martedì 27 febbraio 2018

Le pecore vanno al macello

“Le pecore vanno al macello. Non si dicono niente, loro, e niente sperano. Ma almeno non votano per il macellaio che le ucciderà, e per il borghese che le mangerà. Più bestia delle bestie, più pecora delle pecore, l'elettore nomina il proprio carnefice e sceglie il proprio borghese. Ha fatto delle Rivoluzioni per conquistarne il diritto".

Octave Mirbeau (1848-1917)

sabato 24 febbraio 2018

Ieri partigiani, oggi antifascisti, in ogni caso teppisti

Basta farsi un giro sulle prime pagine dei quotidiani di oggi. Alla fine hanno gettato la maschera: dopo tanto blaterare di antifascismo le redazioni dei giornali e la sinistra istituzionale tornano alle loro posizioni. In Italia il pericolo non è il fascismo sono la violenza e l’odio.
Senza altro aggettivo, unico calderone indistinto che va da chi spara da una macchina in corsa a chi difende un corteo dalle provocazioni della polizia. Fenomeno completamente irrazionale che, secondo Ezio Mauro, “trabocca dalla società” e rischia di inquinare il sereno dibattito elettorale, unico elemento di interesse per questa gente.
Non può mancare il trito riferimento agli anni ’70, raccontati caricaturalmente, come un periodo in cui il virus della violenza avrebbe infettato le masse per “perdita delle difese immunitarie della società”, come può succedere di prendere un raffreddore.
In questi venticinque anni, in cui la sinistra istituzionale ha militato con pervicacia per il pieno coinvolgimento dei fascisti dentro il dibattito politico, abbiamo sentito decine di illustri esponenti spiegarci che l’antifascismo veramente efficace consiste nel coccolare i fascisti: dagli elogi ai ragazzi di Salò alle sale concesse per le loro iniziative, dalle assegnazioni di sedi all’elargizione di fondi.
Sappiamo che il neofascismo è soprattutto una bolla mediatica e gli ultimi mesi ne sono la cartina di tornasole: si è parlato a reti unificate dello straordinario lavoro sociale che farebbe questa gente nelle periferie italiane, si sono trasformati i portavoce di questi quattro scemi in ospiti fissi dei talkshow, fino a trasferire direttamente i talkshow a casa dei fascisti con il pellegrinaggio di anchorman nelle loro sedi.
Il cortocircuito che manda fuori di testa questa gente è che coccolare i fascisti viene giustificato con la vittimizzazione dei poveretti che i fascisti aggrediscono. Le innumerevoli aggressioni testimoniano che il neofascismo è forte e radicato, dicono. Se il neofascismo è forte e radicato bisogna dialogarci in tv o nelle istituzioni, per convincere serenamente i nazisti ad occuparsi di giardinaggio o di battaglie contro la caccia e la pesca.
Quando qualcuno picchia un fascista il castello di carte crolla. Diventa palese che impedire a questa gente di fare il bello e il cattivo tempo è possibile, che non occorre passare per le urne o per chi sa quali interpretazioni sociologiche, basta fargli pagare il prezzo delle loro arroganza.
Caduto il castello di carte la retorica antisistema di questi personaggi lascia il posto ai cordoni di sbirri a difesa delle loro iniziative, agli attestati di solidarietà di tutto l'establishment, alle centinaia di pagine di verbali compilati in questura.
Più che la “saldatura con il ceto medio impoverito”, di cui parla Revelli sulle pagine del Fatto Quotidiano, diventa palese la confidenza con gli apparati repressivi dello stato.
Ci scusino politici ed editorialisti se per impedire a questa gente di armare il prossimo Traini abbiamo disturbato l’appassionante dibattito sulle larghe intese.
Agli antifascisti che stanno pagando con la propria libertà le ambiguità di questa democrazia promettiamo di continuare la loro resistenza per rincontrarci presto.

venerdì 23 febbraio 2018

Torino. I fascisti negli hotel, gli antifa nelle strade

In 800 sotto la pioggia e il freddo. Un tempo partigiano. E una Torino che è riuscita a dimostrare un'altra volta che l'antifascismo non si delega, ma si pratica con coraggio e determinazione.
Il corteo è partito da piazza Carlo Felice e si è diretto verso l'hotel dove il candidato premier per Casa Pound, Di Stefano, avrebbe tenuto il suo deplorevole comizietto pre elettorale. Un’idea chiara in testa: il razzismo è l’ultima spiaggia di un sistema marcio e i fascisti sono gli utili idioti che garantiscono che ci scanni in basso per la gioia di chi sta in alto.
Una piazza ricca di giovanissimi tra studenti dei licei e delle università, poi lavoratori, qualche faccia più anziana e qualcuna di quel nero che tanto manda fuori di testa i difensori della razza.
Tanta gente che si è convocata dal basso, mentre la sinistra italiana gioca al gioco dell’equidistanza e degli “opposti estremisimi”. A quanto pare, però, c’è ancora in Italia chi pensa che antifascismo non sia discutere coi fascisti nei salotti TV, ma contrastarli ogni giorno nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle strade.
Mentre da Renzi a Boldrini ci si affretta a portare solidarietà al leader di Forza nuova scotchato a Palermo, dal corteo è partito un caloroso saluto a chi in questi giorni sta pagando con la propria libertà aver fatto dell’antifascismo non solo un valore ma anche una pratica: Giorgio, Moustafa, Lorenzo, Gianmarco, Carlo e Donato, giovane torinese arrestato stamattina durante una perquisizione intimidatoria.
Il corteo ha imboccato corso Vittorio Emanuele e dopo circa un chilometro tra cori e interventi si è trovato schierato un numero improbabile di Digos, celere, camionette e addirittura un idrante.
I manifestanti però non hanno esitato e hanno proseguito contro le forze dell'ordine che hanno caricato e azionato l’idrante, respingendo di qualche metro il corteo e fermando una giovane lavoratrice, poi rilasciata in serata.
Come dire: il grande classico della democrazia che difende pubblicamente i fascisti.
Di certo non è bastato questo a fermare il corteo che anzi più determinato di prima è ripartito. Ed è qui che succede l’incredibile. Il mastondico apparato di sicurezza mosso dalla questura a difesa dei vigliacchetti del terzo millennio prende una clamorosa cantonata. Si aspettano gli antifascisti di lì e invece arrivano di qui. Fin sotto l’hotel dove parla Di Stefano. I manifestanti lo chiamano, urlano di scendere ma del candidato di Casa pound manco l’ombra. Si starà abbuffando al minibar dell’albergo a 4 stelle? Com’è come non è, la polizia fa arrivare l’idrante che attacca di nuovo i manifestanti. Ma a quanto pare nessuno si fa intimorire (“solo la doccia, ci fate solo la doccia” tra gli slogan in risposta all’autobotte celerina).
Qualche cassonetto in mezzo alla strada per proteggersi dalle cariche e partono i primi lacrimogeni. Il corteo quindi riparte e continua l’assedio intorno all’NH hotel per quasi un’ora.
Solo verso la fine, ormai quasi in piazza Statuto la polizia ha tentato di inserirsi nel corteo, caricandolo da dietro, cercando di fare fermi a caso nel mucchio.
Il dato politico resta quello di una sempre maggiore consapevolezza che la risposta antifascista o sarà contro questa democrazia – quella che lascia ai fascisti soldi, pistole, media e poltrone – o non sarà. Partiti, Istituzioni e Forze dell'Ordine tutti arroccati a difendere manu militari i cantori della guerra tra poveri. C’è la Grande coalizione da preparare? Per noi non c’è pace elettorale. Con buona pace di Minniti.

mercoledì 21 febbraio 2018

Vuoi vedere che l’astensionismo é attuale?

Anche questa logora legislatura italiana é giunta ormai alla fine. Cosi, per la gioia di alcuni e la noia di altri, il prossimo 4 marzo gli aventi diritto avranno di nuovo la possibilità di votare.
“Finalmente si andrà a votare e torni la voce al popolo", dicono le attuali opposizioni. Mai balla fu più colossale. Nonostante sia un rituale ormai sfiancato e sempre più depresso, continua ad essere gabellato per la massima partecipazione democratica. Ad onor del vero é invece un consunto mezzo per spingerci a scegliere chi ci deve comandare, una manfrina che viene riproposta con assillante spietatezza da tutte le forze in lizza, continuando a voler far illudere che chi vincerà sarà il popolo perché, dicono i partecipanti all'agone, avrà scelto un'altra volta.
In realtà, se proprio di scelta si vuol parlare, sarà solo l’occasione perché una minoranza che si autoproclama maggioranza possa scegliere chi dovrà governare per la durata della prossima legislatura, dimenticando che, come già a suo tempo aveva individuato Proudhon, essere governato vuol dire essere sottoposto in tantissimi aspetti della vita, rinunciando ad ogni vera autonomia decisionale. È per caso migliore chi riesce ad estorcere più consensi? Ha per caso ragione chi vince, solo perché ha vinto attraverso un gioco di deleghe di potere?
Date le esperienze poco invitanti in tal senso che la nostra storia ci ha propinato, queste favolette non dovrebbero più incantare. Non a caso cresce ogni volta il numero delle astensioni, delle schede nulle e di quelle bianche. Coloro che hanno capito che non conteranno comunque sono ormai la maggioranza della popolazione, alcuni perfino consapevoli che partecipare al voto vuol dire soprattutto essere complici di un sistema politico ingannatore e autoritario. Le percentuali di voto su cui vengono fatti i governi non sono altro che l’espressione di una minoranza la quale, compiendo un atto di grande autoritarismo politico imporrà le proprie decisioni anche a chi a buon diritto ha deciso di astenersi.
 

domenica 18 febbraio 2018

Elezioni: io non scelgo il cappio che mi strozzerà!

Dietro finta istanza democratica del regime, ognuno può ben scegliersi il tipo di corda con la quale sarà infallibilmente impiccato. Tale scelta rimane purtroppo un'ammissione grave, significa anzitutto riconoscere le armi del potere e volerle usare per la propria agonia, con le medesime conseguenze anche sugli altri. Io mi rifiuto di scegliermi il cappio, mi rifiuto di scadere nella rassegnazione della logica indegna del “meno peggio” o della “merda che puzza di meno”. Dignità anzitutto! La merda è sempre merda! Un cappio è sempre un cappio! Lo Stato è sempre lo Stato! E non sarà quest'ultimo ad impiccarmi, no! perché io lo Stato non lo riconosco, non riconosco i suoi strumenti, non riconosco la sua retorica da vomito borghese ripetuta a pappagallo dai sudditi illusi, non riconosco la sua violenta dittatura mascherata dal nome “democrazia” e imbellettata da una carta costituzionale: fumo negli occhi, e che fumo tossico!
Ad impiccarmi saranno perciò i miei fratelli e le mie sorelle, coloro che avranno avallato e legittimato gli strumenti della repubblica borghese, utilizzandoli, riconoscendoli, approvandoli, acclamandoli, nella illusione storica di trovare ancora nello Stato una soluzione, anziché vedervi il problema, come dovrebbero insegnare l'esperienza, la coscienza, e un minimo di ragionamento. Ad impiccarmi saranno tutti quelli che sceglieranno il tipo di cappio anche per me. Lo Stato e i suoi governi vanno aboliti, non legittimati! Viva l'anarchia.

venerdì 16 febbraio 2018

Essere governato significa …

“Essere governato significa essere guardato a vista, ispezionato, spiato, diretto, legiferato, regolamentato, incasellato, indottrinato, catechizzato, controllato, stimato, valutato, censurato, comandato, da parte di esseri che non hanno né il titolo, né la scienza, né la virtù.
Essere governato vuol dire essere, ad ogni azione, ad ogni transazione, ad ogni movimento, quotato, riformato, raddrizzato, corretto.
Vuol dire essere tassato, addestrato, taglieggiato, sfruttato, monopolizzato, concusso, spremuto, mistificato, derubato, e, alla minima resistenza, alla prima parola di lamento, represso, emendato, vilipeso, vessato, cacciato, deriso, accoppato, disarmato, ammanettato, imprigionato, fucilato, mitragliato, giudicato, condannato, deportato, sacrificato, venduto, tradito, e per giunta, schernito, dileggiato, ingiuriato, disonorato, tutto con il pretesto della pubblica utilità e in nome dell’interesse generale.
Ecco il governo, ecco la giustizia, ecco la sua morale”.

Pierre-Joseph Proudhon

giovedì 15 febbraio 2018

Elezioni: cambiare tutto per non cambiare niente

Li sentite? I nostri padroni ci stanno chiamando. Ci stanno dicendo che il prossimo 4 marzo, per l’ennesima volta, si voterà. Dovremo andare alle urne a mettere una croce sulle nostre aspirazioni, delegandole ad uno dei tanti candidati che ci verranno propinati. Uno qualsiasi, democraticamente, a nostra scelta, tanto non c’è differenza. Chiunque verrà eletto non cambierà nulla della nostra miserabile esistenza su questa terra sempre più inquinata, avvelenata, corrosa. Continueremo a tirare a campare, impoveriti dei nostri sogni e desideri, stremati da una giornata di lavoro, spenti davanti a un televisore acceso. Nel corso degli anni i governi si sono succeduti l’uno dopo l’altro, l’uno dopo l’altro hanno fatto promesse più o meno mirabolanti, l’uno dopo l’altro non le hanno mantenute. Mentre chi abbiamo mandato a scaldare gli scranni del Parlamento gode di immensi privilegi ed ha accumulato sostanziose fortune per sé e la sua famiglia, a noi è rimasto solo di morire in una qualsiasi Thyssenkrupp o di soffocare sommersi dalla spazzatura.
Sappiamo bene cosa ci aspetta nelle prossime settimane. Un’estenuante campagna elettorale condotta da vecchi e giovani saltimbanchi della politica, pronti a tutte le lusinghe e raggiri pur di estorcerci il voto. Guardateli come si stanno travestendo, assumendo nuovi nomi per rendersi più presentabili.
Ascoltateli come si riempiono la bocca di Popolo e Democrazia, queste allucinazioni collettive che vengono evocate di continuo solo per attirare i gonzi. Eppure, ormai lo hanno capito anche i bambini: fra destra e sinistra, fra un Berlusconi e un Renzi, tra un Salvini e un Grillo, non ci sono sostanziali differenze. Sono come la Coca e la Pepsi, che si contendono il mercato offrendo il medesimo prodotto, limitandosi a confezionarlo in maniera diversa. I rispettivi piazzisti possono anche litigare, insultarsi, ricorrere a colpi bassi, ma la comune identità di obiettivi resta inalterata.
Sentiamoli sulle questioni più controverse del momento: tutti sono favorevoli alle missioni militari all’estero, all’alta velocità in Val Susa, ai centri di permanenza temporanea, alle “leggi scellerate” sulla sicurezza… né si può dire che si differenzino granché per le loro ricette in materia economica. Le prospettive sono talmente intercambiabili da spingerli a scagliarsi reciproche accuse di plagio.
Di questo sistema sociale che, di emergenza in emergenza, di catastrofe in catastrofe, ci ha condotti sull’orlo del baratro, nessuno mette in discussione il SE, ma solo il COME. Quale che sia il governo in carica, i programmi restano immutati; devono solo decidere se realizzarli con il bastone o con la carota.
L'uomo è stanco di sentirsi dire da un altro uomo gli obbiettivi da raggiungere; è stanco di compiere mansioni ripetitive ad orari programmati da altri, dagli stessi che decidono quale sarà la nostra ricompensa senza possibilità di contrattarla; stanco di leggere nei giornali che l'azienda per cui lavori fattura milioni di euro; stanco di dover obbedire a leggi che, in pratica, tutelano gruppi di persone "potenti" che decidono quale debba essere il prezzo di casa tua, per quanti anni sarai costretto a pagar loro gli interessi, mi riferisco ai proprietari del nostro tempo, le banche; stanco di pagare tasse che alla fine serviranno a coprire i buchi di bilancio creati dalle stesse banche e da altri arroganti che si ingozzano nei ristoranti di lusso alla faccia nostra; stanco di assistere al venir meno di servizi sociali quali scuole, asili, ospedali, ricerca scientifica, parchi verdi, biblioteche, trasporti pubblici; stanco di dover ascoltare dappertutto gruppi politici che si offendo dandosi la colpa a vicenda, come per prenderci per i fondelli e dare agli stolti quella remota speranza che poi con "quegli altri" le cose cambiano. Troppo stanco!
Io voglio solo dire che votare o non votare, non è questo il problema; io non ho mai votato per principio perché non credo in quella gente, ma credo in me stesso e nell’essere umano; quello che conta è come esercitare un controllo sui leaders, poter dire a chi ci governa che sta sbagliando, come tirargli la giacca o le orecchie, come farlo dimettere, se non fa le cose che la gente vuole; se manca questa condizione, il pinco pallino di turno, andrà a far parte della casta, perché non è l’uomo, neanche il migliore di tutti noi, che può cambiare il potere, ma è il potere che cambia l’uomo. Quindi il problema è organizzarsi in maniera da imporre le nostre esigenze, poter controllare quello che fanno nel palazzo, e se poi il palazzo sarà vuoto, perché li avremmo cacciati via, meglio così: ci metteremo le pecore o le galline o i senza tetto. Ma il popolo deve darsi strumenti per continuare ad essere vivo, per esercitare il suo potere decisionale; se manca questo i rappresentanti faranno quello che vorranno; non bisogna tornare a casa ogni giorno delusi ed esasperati, bisogna rimanere protagonisti, nei comitati, nei quartieri, nelle città. e non per un momento, ma per sempre; è questa l’unica garanzia per ottenere un cambiamento.
Tomasi di Lampedusa, nel Gattopardo, faceva dire a Tancredi la sua celebre frase che descrive la situazione storica della Sicilia del 1860, ma che si adatta bene alla situazione attuale, e a dir meglio a tutte le situazioni: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Perché questa volta dovrebbe essere diverso?

«Quando il padrone o la padrona chiamano un servo per nome, nessuno di voi risponda, altrimenti non ci saranno più limiti alla vostra oppressione. E i padroni stessi ammettono che, se un servitore viene quando è chiamato, basta».

(Jonathan Swift: Istruzioni alla servitù)

martedì 13 febbraio 2018

Il meccanismo del sistema statal-clericale autoritario e gerarchico

L'inganno perpetuo si chiama propaganda. Senza l'inganno della propaganda non esisterebbe lo Stato, né la Chiesa, e neppure tutti i mali che ne derivano.
Ecco lo schema sintetico del meccanismo statal-clericale, divenuto unico modello (creduto tale) di gestione gerarchica delle comunità, dalle piccole alle grandi, dalla famiglia allo Stato:

  •  La propaganda è una tecnica di persuasione che tocca le corde emotive degli individui.
  •  Chi gestisce la propaganda ha in mano l'emotività dei popoli, quindi il controllo sui loro comportamenti e sulle loro decisioni.
  •  I popoli vengono perciò ingannati e depredati di tutto, anche della coscienza.
  •  La coscienza originaria e naturale viene sostituita attraverso la propaganda da un'altra forma di coscienza, artificiale, che ricalca il modello autoritario imposto.
  •  Ai popoli viene fatto credere che il gestore della propaganda offra loro 'sicurezza' e/o 'salvazione', attraverso la manipolazione emotiva dell'umano 'senso di paura'.
  •  In cambio della 'sicurezza' e della 'salvazione', il gestore della propaganda (percepito come un'autorità) esige ricchezza, potere, arbitrio. È questo un patto che si rinnova anche se non è mai stato sottoscritto da ambedue le parti (giuridicamente illegale), se non in forma tacita, per millenaria abitudine costruita e imposta.
  •  Il patto di cui al punto precedente viene attuato per mezzo delle leggi che il gestore della propaganda inventa, scrive e impone (con l'inganno o con la forza).
  •  L'immensa ricchezza prodotta dai sacrifici del popolo finisce nelle tasche del gestore della propaganda.
  • I popoli, che dopo moltissime generazioni ormai credono e difendono chi li bastona e li imbonisce, pensano che quelle leggi siano indispensabili, addirittura sacre.
  •  Essere governati, quindi manipolati, si trasforma in un atto di fede nei confronti dei gestori della propaganda. Essendo ritenuto un atto di fede, gli individui sono stati indotti a credere che il sistema della delega (voto) sia persino un diritto-dovere morale.
  •  Il popolo, indottrinato da secoli, è stato condizionato nella credenza che non vi sia altro metodo di gestione della propria vita e della propria morte, e non ne vuole altri, anche se altri metodi esistono e, ancorché censurati o perseguiti, si manifestano come esempi di vera libertà.
  •  Il rifiuto del popolo verso altri sistemi (nel frattempo criminalizzati dai gestori della propaganda) nasce dall'umano e naturale 'senso di paura' nei confronti del non-conosciuto. 

domenica 11 febbraio 2018

Giudicare

Per giudicare occorrono dei parametri. La società è stata fornita di parametri che escludono il buon senso, poiché il modello su cui si adagiano questi parametri è autoritario. L'atto del giudicare una persona diventa allora piuttosto un'azione inquisitoria, con tutta la liturgia mentale sbirresca a corredo, dove la persona diventa immediatamente imputata, e solo se risponde a tutti gli standard sociali e di sistema viene considerata “degna con riserva”. In questo modo la società si autodisciplina e si autoconforma ai dettami imposti, autoritari, militari. In questa nemesi societaria, la giustizia è solo vendetta, rivalsa, attuazione del dominio dell'uomo sull'uomo, perpetuazione della società così com'è, impossibilità di abbandonare il modello autoritario che, anzi, si espande e lievita fino ad esplodere nelle tragedie palpabili, storiche (punte di iceberg). Tutti giudici e tutti sbirri, ma quasi nessuno si pone il problema di giudicare i parametri di giudizio. È una società che si ritiene troppo saggia per mettere in discussione ciò che le è stato insegnato a scuola e in parrocchia. E questo è il grosso problema.

mercoledì 7 febbraio 2018

Autorità e gerarchia

Il dominio dell’uomo sul uomo, perpetuato da millenni sulla grande maggioranza dell’umanità da parte di una minoranza di privilegiati e giustificato dai suoi difensori apologisti in base al principio di autorità, è la causa diretta di tale disagio. È l’autorità di una minoranza che rende dura e poco piacevole l’esistenza alla grande maggioranza. La forma tipica di tale dominio, la sua prima più naturale espressione è la divisione della società in una complessa ma rigida gerarchia, che vede al vertice pochi, liberi, felici e privilegiati, alla base la grande massa dei servi, di coloro che ubbidiscono in silenzio, e fra questi due poli, una vasta scala di servi privilegiati, di servi innalzati dai potenti a guardiani della loro potenza.
Il sistema della divisione gerarchica è applicato in primo luogo in campo politico, con la distinzione fra un piccolo gruppo e classe dirigente, accentrata e accentratrice, un certo numero di funzionari minori e di guardie armate del potere, e una grande maggioranza di semplici cittadini, il cui compito è quello di obbedire, e – negli stati più moderni – di sottomettersi volontariamente alle decisioni prese dalla classe dirigente; in secondo luogo è applicato in campo economico, con la distinzione fra un piccolo numero di proprietari dei mezzi di produzione, un numero variabile di aspiranti proprietari o piccoli proprietari, e la massa dei lavoratori, la cui funzione è quella di produrre e consumare beni secondo l’interesse dei proprietari del capitale.
L’identificazione storica tra le classi politiche ed economiche, a dato luogo alla distinzione della società in classi nette e separate, che vanno dai detentori del potere alle masse oppresse e sfruttate.
Gli sfruttati non altro strumento per abolire una volta per tutte le proprie condizioni e promuovere la propria emancipazione che quello della rivoluzione radicale, in tutte le sue conseguenze, totale, libertaria, nella distruzione, di ogni centro di autoritarismo che eserciti il potere dell’uomo sull’uomo.

domenica 4 febbraio 2018

Nessuna democrazia quando è delega e gerarchia

La democrazia non è certo l'idea a cui ci hanno abituati a credere e di cui ci si vanta a destra e a manca. “Eleggere” non vuol dire “democrazia”, lo dicono anche Spinoza, Rousseau, Montesquieu, ma anche la logica. La democrazia, nel suo vero senso, ha sempre terrorizzato i governanti, anche nell'antica Grecia, e di fatto da questi elusa, traviata, combattuta poiché considerata anarchia per secoli e secoli, e fatta quindi passare come generatrice di disordine e violenza. Oggi ci si riempie la bocca di questa parola ormai svuotata del suo vero senso, si crede persino che gli USA siano davvero una democrazia, nessuno si pone il problema che proprio i padri fondatori della “democrazia moderna” hanno apertamente dichiarato di essere nemici della democrazia, John Adams lo ha pure scritto.
Ancora alla fine del XVIII secolo, l'aggettivo 'democratico' indicava un ragazzo ribelle in disaccordo con le istituzioni, un sognatore utopista, un irresponsabile, o un anarchico. I regimi sedicenti democratici hanno sfruttato i popoli al pari delle monarchie, continuano a farlo, pur nominando democrazia la loro evidente dittatura. Fin dai tempi antichi, la parola democrazia ha definito sostanzialmente il mondo dei poveri, degli schiavi ribelli, degli sfruttati, e come possono i padroni governanti soccombere di fronte alla ralizzazione di una vera democrazia che, per definizione, non ammette sfruttatori né sfruttati? Così i regimi hanno sempre fatto passare l'idea che l'autogestione, l'autogoverno, essendo appannaggio dei poveri sfruttati, avrebbe creato solo violenza e disordine. Le masse ci hanno creduto perché la propaganda del potere, la scolarizzazione di massa, hanno fatto credere che i poveri, gli schiavi, gli sfruttati, fossero degli ignoranti detentori di passioni animalesche, basse, violente, ecco perché! e al contempo il potere si è fatto percepire come un organismo intelligente e addirittura divino, gestito da superuomini sapienti, aventi quindi diritto di vita e di morte sulla plebaglia animalesca, diritto anche di moralizzarla oltre che di sfruttarla. E in nome di questa presunta superiorità morale hanno compiuto e compiono i crimini più immorali ed efferati.
Ma allora, come possono gli Stati, apertamente nemici della democrazia, definirsi democratici? Com'è che oggi tutto il mondo ci crede? Quando è avvenuto questo scambio di senso della parola? Un fatto tra gli altri: all'inizio dell'Ottocento ci furono delle elezioni in USA e il candidato Andrew Jackson, utilizzando retoriche populiste, si autodefinì “il democratico” difensore dei poveri. Da quel momento, molti altri candidati, anche in Europa, cominciarono a proclamarsi 'democratici' solo per agguantare consenso e voti, ogni partito cominciò allora a proclamarsi più democratico degli altri, accusando questi altri di essere antidemocratici. Il giochetto continua ancora oggi, tragica cronaca di un inganno millenario.

giovedì 1 febbraio 2018

Bakunin e il sistema rappresentativo

Chi può, chi vuole comandare non è più mio fratello, è il mio padrone, e se gli obbedisco sono suo schiavo. «Ma non è a lui che obbedite, mi rispondono – è alla legge che egli rappresenta». – «E chi fa questa legge?» – «I rappresentanti del pensiero e della volontà popolare» – Ebbene, ecco ciò che precisamente nego.
Ci dicano gli uomini che hanno qualche esperienza della vita e dell’azione politica, sia per averla esercitata essi stessi, sia per averla vista esercitare dagli altri, se esiste una identità reale tra i sentimenti che animano il deputato coscienzioso, quando si trova in mezzo ai suoi elettori alla vigilia dell’elezione, quando briga per avere i suffragi e immediatamente dopo, e quelli che trova all’interno di una Assemblea rappresentativa, della quale esso è diventato membro anche dopo una o due settimane?
A questo problema, ogni uomo che aggiunga un poco di esperienza a molta coscienza, risponderà no. Più spesso, in queste condizioni, gli uomini non hanno nemmeno bisogno di due, e forse anche di una settimana per cambiare; essi si trasformano da un giorno all’altro; sono totalmente altri uomini, con una fisionomia nuova, altri sentimenti, altre idee. Nel più rivoluzionario si sente nascere il conservatore, il conservatore almeno dell’Assemblea di cui ha l’onore di far parte, contro «le ingiuste e stupide impazienze della popolazione». Egli non osa ancora pronunciare la parola consacrata: canaglia.
Appena ieri egli era l’amico appassionato e sincero di questa canaglia. L’ammirava, l’adorava, e fiero d’esserne amico, giurava su di essa. Perché questo cambiamento? Si sarà lasciato corrompere così presto? Corrompere, sì ma non per un interesse personale, dall’irresistibile influenza esercitata su di lui dall’Assemblea. Quando era circondato dalla canaglia popolare, in presenza dei suoi elettori, ne condivideva francamente le aspirazioni, gli istinti. Sentiva vivamente i loro dolori, i loro bisogni, la loro miseria, ed era in buona fede quando prometteva di difendere i loro interessi ad oltranza, di non essere altro che il rappresentante fedele del loro pensiero e della loro volontà. Ma, appena messo piede nell’Assemblea egli si trova in un ambiente completamente diverso. Là era assalito da ogni parte dalle reali manifestazioni della vita reale, penetrato e dominato dalle palpitazioni viventi dell’anima popolare. Qui è circondato di astrazioni, facendosi ogni deputato un dovere di subordinare gli interessi della base, i bisogni della località, cioè i desideri, il pensiero e la volontà dei suoi elettori, il mandato che gli hanno conferito e al quale aveva giurato di essere fedele – perché altrimenti non l’avrebbero eletto – subordinare a che cosa? All’interesse generale, al pensiero e alla volontà generale, alla società.
Facendo e ritenendosi impegnato a fare ogni deputato la stessa cosa, ne viene fuori che ciò che si chiama interesse generale, il pensiero e la volontà generali sono il prodotto dell’immolazione degli interessi, dei pensieri e delle volontà di tutte le località il cui insieme costituisce la società, cioè sono la negazione delle aspirazioni reali di questa società.
Ma allora questa negazione, questa astrazione: l’interesse pubblico, la salute pubblica, la ragione pubblica, la Chiesa o lo Stato, in una parola, che cosa rappresentano? Siamo generosi e non parliamo ancora degli sporchi interessi personali. Prendiamo un deputato coscienzioso e onesto e domandiamogli che cosa intende con questa grandi parole. Risponderà sviluppando tutto un sistema di organizzazione e di governo, sistema che deve necessariamente considerare come il solo giusto e vero, perché altrimenti l’avrebbe ripudiato, ma che non è il suo sistema, non è il sistema assoluto. Chi può, a meno di essere un rivelatore, un profeta, non desiderare di conoscere il sistema assoluto?
Che cosa bisogna concludere? Ogni deputato subordinando e sacrificando gli interessi, i bisogni e le aspirazioni reali dei suoi elettori a ciò che chiama l’interesse pubblico, li immola in realtà a ciò che gli sembra essere il Bene pubblico, alle sue proprie idee sugli interessi generali della società – idee alle quali in genere è tanto più ostinatamente legato, quanto più queste sono ristrette – subordina quindi in realtà il mandato dei suoi elettori non agli interessi reali del ben pubblico, ma alle sue astrazioni personali o soggettive.
Non ho quindi ragione quando dico che è sufficiente diventare un deputato, un rappresentante del popolo, per divenire subito un rappresentante d’astrazioni, un essere fatalmente estraneo alle reali aspirazioni della vita popolare? E allora, cosa diventa l’Assemblea? Una arena in cui si combattono una folla di astrazioni, molti sistemi, in cui ciascuno è del tutto estraneo, o per meglio dire, ostile al pensiero popolare, e in cui la vittoria finisce sempre per arridere ai più abili. Ma i più abili son o generalmente i meno convinti, i meno sinceramente appassionati, i meno puri … e allora? Allora, questa astrazione del bene pubblico, del pensiero e della volontà pubblica, che non si sarebbe potuta mantenere se, contraria agli interessi delle masse, non fosse stata utile a qualcuno, trova dei rappresentanti e dei difensori molto interessati nella classe dei legislatori governativi.
Ecco la pura verità sul sistema rappresentativo.
 Michail Bakunin