..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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venerdì 30 giugno 2017

L'anarchia secondo lo storico Rudolf Rocker

“L'anarchia non è un sistema sociale fisso, chiuso, ma una chiara tendenza dello sviluppo storico dell'umanità che, a differenza della tutela intellettuale operata da tutte le istituzioni clericali e governative, aspira a che ogni forza individuale e sociale si sviluppi liberamente nella vita. Neanche la libertà è un concetto assoluto, ma relativo, giacché costantemente cerca di allargarsi e di interessare ambienti sempre più ampi e più diversi. Per gli anarchici la libertà non è un concetto filosofico astratto, ma la possibilità concreta per tutti gli esseri umani di sviluppare pienamente nella vita le facoltà, le capacità, i talenti che la natura ha dato loro e porli al servizio della società. Quanto meno sarà influenzato lo sviluppo naturale dell'uomo dalla tutela ecclesiastica e politica, tanto più la personalità umana sarà valida ed armoniosa, dando così una buona testimonianza della cultura intellettuale della società nella quale è cresciuta”.

martedì 27 giugno 2017

Contro ogni potere, per la convivenza sociale

L'assunzione al potere, o il contatto con esso, o l'affiancamento di esso, sotto qualsiasi bandiera a dispetto di qualsiasi apparenza, malgrado tutte le rimasticature di formule trite e avvizzite, porta, in ogni tempo e in ogni luogo, uomini, gruppi e partiti giù, nel baratro delle degenerazioni; e da stimolanti di progresso li trasforma in forze di conservazione, e ben presto li trasforma in fattori di reazione. Il potere si vale sempre del peggio di ogni uomo, e dei peggiori fra tutti gli uomini: esso eleva, premia ed esalta la viltà e la servilità: odia, calpesta e punisce la dignità e l'indipendenza personale.
E le scuole autoritarie, che predispongono vaste masse di lavoratori al riconoscimento di un potere, ed alla cecità di fronte ai futuri governi (di dittatura, cosiddetta proletaria; di repubblica, cosiddetta democratica) preparano il successo alle peggiori delusioni, ed agli inganni più funesti.
Noi siamo contro ogni potere, siamo per una società fondata su l'accordo libero e volontario, nella quale nessuno potrà imporre ad altri la sua volontà, saremo sempre al posto che compete a chi non vuole essere oppresso e non vuole opprimere; e vuole spingere in avanti tutti gli oppressi. Siamo fuori e contro tutti i governi, ad indicare agli uomini le tante vie, fuori e contro il potere, per affrancarsi e prendersi da se il proprio bene, la propria felicità.
Anche se l'Anarchia non verrà oggi, domani, o fra secoli, l'essenziale per noi è di camminare verso l'Anarchia, oggi, domani, sempre. Ogni sconquasso, ogni picconata alle istituzioni della proprietà privata e del governo; ogni menzogna smascherata; ogni attività umana sottratta al controllo dell'autorità; ogni sforzo tendente ad elevare la coscienza popolare, ad aumentare lo spirito di iniziativa e di solidarietà, è un passo verso l'Anarchia. Il necessario è di saper scegliere la via, che realmente ci avvicina alla realizzazione del nostro Ideale, e di non confondere il vero progresso con le riforme legali, ipocrite, che sotto pretesto di miglioramenti immediati, tendono a distrarre il popolo dalla lotta contro l'autorità, tendono a paralizzare la sua azione, ed a fargli sperare che qualcosa può essere ottenuta dalla bontà dei padroni e dei governi.
Scomparso il diritto della forza, scomparso il governo, con tutte le nocive istituzioni che esso protegge; stabilito che alla base della futura società vi sia libero accordo; associazione libera di forze; libertà di scissione dall'associazione; autonomia in tutti i rapporti collettivi; materia prima e strumenti di lavoro a disposizione di tutti (senza questo diritto la libertà non sarebbe che una menzogna): stabilito tutto questo, dipenderà dalla civiltà, e dalle nuove necessità degli uomini del domani, di cercare e attuare in piena libertà, volta per volta, e luogo per luogo, le varie forme concomitanti e collaterali di convivenza sociale. Perchè invenzioni, scoperte, trasformazioni industriali e meccaniche, progresso tecnologico e informatico potrebbero rivoluzionare in pochi anni il mondo da renderla addirittura irriconoscibile.

domenica 25 giugno 2017

I diseredati della terra sanno come fare la loro rivoluzione

La nostra idea sociale non è né un utopia, né una fantasia e neppure un ideale lontano. Quando le circostanze sono favorevoli i diseredati della terra sanno come fare la loro rivoluzione. Essi sono perfettamente capaci di risolvere tutti i loro problemi e di scavalcare tutte le difficoltà. Per fare questa rivoluzione i proletari non hanno bisogno né di partiti politici, né di élite intellettuali, né di dirigenti...
Quando i proletari scendono nelle strade sanno come sbarazzarsi e senza alcuna difficoltà di tutti i pregiudizi, nazionali, religiosi, cuturali e di costume, Si è spesso rimproverato loro come anche agli insorti di Kronshtadt una spontaneità esagerata, la mancanza di coesione e soprattutto l'assenza di una forte organizzazione operaia. Per certi versi è stato così, ma questo non significa che siamo maturati. Abbiamo conosciuto i nostri difetti e non arretreremo su questo punto...
Senza armonia sociale tutto si riduce a qualcosa di analogo alle piramidi di Egitto, impressionano per la loro grandiosità, ma spaventano per il sacrificio di lutti e miseria che nascondono...
L'indistrializzazione non è una realizzazione dello Stato socialista, ma una tappa obbligata di uno Stato padrone che ha già fallito nel suo programma di un comunismo di guerra. Quanto alla collettivazzazione noi sappiamo che da tempo i contadini hanno cominciato a sfrattare i loro sfruttatori.

(tratto da un discorso di Volin - Francia 1918).

venerdì 16 giugno 2017

In ogni caso nessun rimorso

[…] L'uomo seduto sul pavimento guardava i detriti intorno a lui. Un frammento di soffitto lo aveva ferito al volto. Fissò le due pistole con un'espressione strana, quasi le vedesse per la prima volta. Scosse la testa, sorrise. Aprì lentamente le dita, e le pistole ruotarono su se stesse, rimanendo appese agli indici. Continuò a guardarle oscillare, con le bocche rivolte al suo viso. Nel fondo di quei piccoli tunnel oscuri, c'erano le teste lucenti di due pallottole pronte a scattare verso le sue tempie. Forse era giunto il momento di liberarle, di dare un bersaglio sicuro alla loro corsa. Il cuore pensò, ipnotizzato dal movimento ondulatorio dell'acciaio brunito. Meglio puntarle al cuore. Fermare finalmente quel cuore maledetto, che aveva pompato per anni un sangue schiumoso di sensazioni dolorose, riempiendo le arterie di rancore per le umiliazioni, le stesse che tanti sopportavano senza impazzire, mentre in lui avevano provocato una sete di vendetta inestinguibile.
Si chiese per quale oscura macchinazione del destino nascano uomini diversi dagli altri, da tutti quelli che rimangono a capo chino fino all'ultimo dei loro giorni, in una rassegnazione muta, che rende quei giorni uguali e le notti inesistenti. Si chiese perché a qualcuno tocchi in sorte di non trovare pace ogni volta che tramonta il sole, dannato dall'attesa di un'alba che arriva sempre troppo presto, pronta a dimostrare che ogni oggi sarà peggiore di ogni ieri. La pistola appesa al dito destro la punterò al cuore, pensò, e l'altra al ventre. Perché le viscere avevano ancora più colpa, con quel loro fuoco che bruciava dentro fin da bambino, alimentato dalla fame, dalle bastonate, dall'inutilità di qualsiasi sforzo compiuto per sfuggire al marchio della miseria. Ma non erano state le privazioni ad accenderlo. Questo lo sapeva, era inutile provare a ingannare la realtà. Milioni di esseri umani nascono poveri, ma sono pochi quelli che si consumano e si contorcono per quel fuoco acceso da una sensibilità nefasta, che fa fremere la pelle, che annebbia la ragione, che si trasforma in bisogno d'uccidere ogni volta che si sente ferita.
E altre due pallottole se le meriterebbero gli occhi, pensò, questi occhi nemici della mia sopravvivenza, che si sono soffermati su ogni cosa servisse a trarne sofferenza, rifiutandosi di scorrere sulla vita come davanti a uno spettacolo estraneo. Occhi che avevano scrutato la volgarità di volti insopportabili, che trasudavano arroganza, facce di vincitori tronfi e convinti della propria invulnerabilità. Occhi che si erano creduti in diritto di formulare paragoni all'infinito: a ogni faccia oscenamente sazia, ne sovrapponevano una scarna e triste.
Abbassò le palpebre, fino a serrarle con forza. Il buio agognato non arrivò. A occhi chiusi, tornava a vedere ciò che la luce del mattino riusciva a tenere lontano.
 [---] Riaprì gli occhi. E solo allora si accorse delle schegge che turbinavano nella stanza. Un'altra scarica di fucileria. Il legno delle pareti assorbiva il piombo senza farlo rimbalzare, e nell'angolo dove stava seduto non potevano raggiungerlo con un tiro diretto. Prese un foglio, lo ripulì dalla polvere, cercò la matita e la trovò sotto un lembo di tappezzeria strappata. Poi cominciò a scrivere. “Io Jules Bonnot... ” Si fermò. Tenendo il foglio con due dita, strappò via la striscia col suo nome. Loro sapevano benissimo come si chiamava, tanto valeva non rendersi ridicolo con quell'inizio da burocrate. Riprese a scrivere, indifferente ai calcinacci che gli cadevano sulla schiena.
"...Non chiedevo granché. Camminavo con lei al chiaro di luna nel cimitero di Lione, illudendomi che non vi fosse bisogno d'altro per vivere. Era la felicità che avevo inseguito per tutta la vita, senza esser capace neppure di sognarla. L'avevo trovata, e scoperto che cosa fosse. La felicità che mi era stata sempre negata. Avevo il diritto di viverla, quella felicità. Non me lo avete concesso. E allora, è stato peggio per me, peggio per voi, peggio per tutti... Dovrei rimpiangere ciò che ho fatto? Forse. Ma non ho rimorsi. Rimpianti si, ma in ogni caso nessun rimorso..."

mercoledì 14 giugno 2017

Maya, 19 anni, picchiata dalla polizia

Nella notte tra l'8 e il 9 giugno una ragazza di 19 anni, maya, sta tornando a casa dopo una serata ai murazzi di Torino. Assiste a un controllo su due ragazzi e quindi si avvicina per capire costa sta succedendo. Cominciano immediatamente le intimidazioni degli agenti (avevano forse qualcosa da nascondere?) che la identificano e la minacciano di farle passare la notte in carcere. Nella centralissima piazza Vittorio, Maya viene sequestrata dagli agenti e portata in caserma. In macchina tira fuori il telefono per avvertire la famiglia e gli amici di dove fosse ma la polizia inchioda e le storce un braccio e leva il telefono. In commissariato viene riconosciuta come una militante politica. Maya è infatti impegnata nella lotta per la casa, in particolare nei picchetti di solidarietà per aiutare le persone sotto sfratto organizzati dal collettivo Prendo casa. Nelle stanze del commissariato di via veglia ricominciano quindi gli abusi degli agenti che iniziano a insultarla, la zittiscono e le urlano addosso. Lo stesso agente che le ha storto il braccio in macchina le tira un pugno in faccia e le leva la sedia obbligandola a stare in piedi. Maya viene poi spogliata, perquisita e messa in cella con gli agenti si rifiutano persino di farla andare in bagno. Le minacce e gli insulti continuano per tutta la notte fino a quando Maya viene rilasciata con a carico una denuncia per violenza, resistenza a pubblico ufficiale, oltraggio e per porto d'armi. Quest'ultimo capo di accusa le è stato affibbiato, come le dicono gli stessi agenti, perché in possesso di sette chiodini da muro nel marsupio. Con il volto tumefatto si reca al pronto soccorso dove i medici le certificano 6 giorni di prognosi.
Conosciamo gli ordinari abusi di chi con un'uniforme si crede tutto permesso. Ma qui siamo davanti a un fatto gravissimo, una ragazza appena maggiorenne che viene sequestrata e seviziata per la sua attività politica dalla polizia. Gli eroi in divisa, come ormai succede sistematicamente, le fanno subire anche una denuncia plurima per resistenza e altri delitti nel solo obiettivo di premunirsi contro eventuali provvedimenti verso di loro. Lo diciamo senza giri di parole, la questura di Torino è ormai fuori controllo. Anni di santa crociata contro il movimento NOTAV e gli attivisti politici in città unita all'impunità di fatto concessa da parte della procura locale per "risolvere il problema" hanno creato tra le forze dell'ordine la consapevolezza che ormai tutto è permesso.


martedì 13 giugno 2017

Gli indiani metropolitani

Tutto quello che successe prima del 1977 confluì nel Movimento: gli scioperi degli operai, l’occupazione delle case abbandonate, il risanamento dei quartieri periferici delle città, il terrorismo, il movimento femminista, la contestazione ai cambiamenti delle leggi sull’istruzione, la contestazione politica, la lotta al capitalismo. Gli Indiani Metropolitani si inserirono in questo amalgama di anime del Movimento, apportando uno spirito ironico, gioioso e non violento alla sensazione di rivoluzione che si respirò dal mese di febbraio al mese di settembre del 1977.
Nel marzo del 1973 a Torino, presso la Fiat Mirafiori, dei giovani operai occuparono i reparti della fabbrica in un’iniziativa autonoma dal sindacato. Questi giovani si legarono sulla fronte una fettuccia e inscenarono un happening, suonando clacson e battendo tamburi al grido onomatopeico «Èaèaèaèao». Probabilmente questo fu il primo sintomo di quel revival della cultura indiana che prese largo durante il Movimento.
Gli Indiani Metropolitani iniziarono a partecipare attivamente alla vita degli studenti in occupazione, attraverso l’organizzazione di feste e performance e la realizzazione di murales e di scritte ironiche ma che racchiudevano il loro modo di pensare, fondato ad esempio sulla frase «La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà», insieme ad altri due slogan: “Godere operaio” (in opposizione a Potere operaio) e “Godimento studentesco” (in opposizione a Movimento studentesco). Quasi sempre vicino alle scritte murali  era visibile la A cerchiata.
Gli Indiani combinarono svariate forme di creatività, definita di massa e per la massa e che si propose direttamente come modalità di vita: l’arte è vita, la vita è arte. Il risultato dell’addizione di avanguardie storiche, controcultura americana, situazionisti francesi, teorie marxiste-leniniste, letteratura e poesia si trasformò in una scossa che attraversò tutto il 1977, che sconvolse le vite sia di chi la produsse sia di chi invece solo assistette dall’esterno all’invettiva degli “artisti” del Movimento. Ci fu un atteggiamento di completa indifferenza nei confronti delle regole di contestazione e comunicazione e nei confronti di chi queste regole le aveva enunciate; scardinare tutte le pratiche che fino a quel momento avevano gestito la vita sociale, culturale ed educativa della gioventù per trasformarle in un qualcosa di incomprensibile (nonsense) e irriverente.
 L’ala creativa del Movimento del ’77 basò i suoi principi sul cambiamento di vita riguardo tutti gli aspetti sociali, combattendo l’obiettivo della liberazione individuale e collettiva. Le pratiche artistiche rappresentarono uno dei punti salienti e distintivi del Movimento andandosi a configurare come massimo tentativo di eliminare il livello di separazione tra il piano della creatività e il piano dell’esistenza.
L’ideologia del rifiuto del lavoro stabilì la perdita di senso dell’agire umano nel lavoro salariato, un lavoro inteso prima solo come occupazione del proprio tempo, a cui venne sostituito il concetto di rifiuto del lavoro inteso come un’occupazione dello spazio (la metropoli) in cui si poteva essere liberi di divulgare i desideri individuali. Alla liberazione degli spazi metropolitani, si affiancò la consuetudine della riappropriazione delle merci secondo la logica di ottenere delle comodità, a cui le giovani generazioni non volevano rinunciare, un altro modo per opporsi al governo dell’austerità e per rivendicare un’eguaglianza sociale.
Il fallimento della parità tra le classi sociali creò un nuovo individuo desiderante, sovversivo e antagonista che si sentì incompreso e discriminato dalla società claustrofobica rappresentata dalla famiglia, dall’economia e dalla politica.

sabato 10 giugno 2017

Il sentiero verso la libertà

Non si può creare un nuovo sentiero nel bosco fintanto che non si comincia a percorrerlo. I sentieri si possono formare soltanto in questo modo: percorrendoli. All'inizio ci saranno rovi, ma più si cammina e meno rovi si avranno. Chi si astiene dal percorrere nuove strade, e non contribuisce così alla loro formazione, o è felice della vecchia e dolorosa strada, o ha paura di qualcosa di diverso. Prendiamo questi due casi. Se una persona è felice della vecchia strada, una strada che ha sempre dimostrato di essere sterile e malvagia, non dovrebbe lamentarsene, mentre invece io sento lamenti che mi giungono in continuazione da questi viaggiatori che in realtà non viaggiano, ma ripetono noiosamente un cammino di schiavitù essendo convinti che sia libertà. Se invece la persona ha paura di qualcosa di diverso, questa persona ha seri problemi psicologico-culturali che sono soltanto suoi, sono suoi fantasmi, e dovrebbe porvi rimedio. Non si possono congetturare pericoli sulla base di pregiudizi, magari messi in testa da chi ha tutto l'interesse che si cammini sempre e soltanto sull'unica strada. E non si possono nemmeno ipotizzare dolori su una strada che non si conosce quando per cinquemila anni si è percorso un calvario costante e straconosciuto. Non c'è bisogno di scomodare analisti e cervelloni vari per capire che tutti quelli che denigrano o rigettano a priori qualcosa che non conoscono stanno soltanto difendendo e perpetuando qualcosa che ormai da troppo tempo il buon senso suggerisce di distruggere, abbandonare, cancellare.

venerdì 9 giugno 2017

Intossicati dalla credenza in un avvenire migliore

Intossicati dalla credenza in un avvenire migliore, gli individui cessano di fidarsi del proprio giudizio e chiedono che gli si dica la verità su ciò che «sanno». Intossicati dalla credenza in un migliore decision-making, stentano a decidere da soli e ben presto perdono fiducia nella propria capacità di farlo. La crescente impotenza dell’individuo a decidere da solo incide sulla stessa struttura delle sue aspettative. Mentre una volta gli uomini si disputavano risorse realmente scarse, oggi reclamano un meccanismo distributore per colmare una carenza che è solo illusoria.
Gli individui, che hanno disimparato a riconoscere i propri bisogni, come a reclamare i propri diritti, divengono preda del sistema che definisce in vece loro le loro esigenze e rivendicazioni. La persona non può più contribuire di suo al continuo rinnovamento della vita sociale. L’uomo arriva a diffidare della parola, pende da un sapere presunto. Il voto rimpiazza la discussione, la cabina elettorale il tavolino del caffè. Il cittadino si siede dinanzi allo schermo e tace
Le regole del senso comune che permettevano alla gente di unire e scambiarsi le proprie esperienze sono distrutte. Il consumatore-utente ha bisogno della sua dose di sapere garantito, accuratamente preconfezionato. Trova la propria sicurezza nella certezza di leggere lo stesso giornale del vicino, di guardare la stessa trasmissione televisiva del suo padrone. Si accontenta di avere accesso allo stesso rubinetto di sapere del suo superiore, anziché perseguire l’uguaglianza di condizioni che darebbe alla sua parola lo stesso peso di quella del suo padrone.
La dipendenza, che tutti accettano come ovvia, nei confronti del sapere altamente qualificato prodotto dalla scienza, dalla tecnica e dalla politica, erode la fiducia tradizionale nella veracità del testimone e svuota di senso i modi con cui gli uomini possono scambiarsi le proprie certezze. Riponendo la propria fede nell’esperto, l’uomo si spoglia prima della sua competenza giuridica e poi di quella politica. La fiducia nell’onnipotere della scienza induce i governi e i loro amministrati a cullarsi nell’illusione di poter eliminare i conflitti suscitati da un’evidente rarefazione dell’acqua, dell’aria o dell’energia, a credere ciecamente agli oracoli degli esperti che promettono miracolose moltiplicazioni.
Nutrita del mito della scienza, la società abbandona agli esperti persino la cura di fissare i limiti dello sviluppo. Una simile delega di potere distrugge l’intero funzionamento politico; alla parola come misura di tutte le cose sostituisce l’obbedienza a un mito, e alla fine legittima in un certo senso anche la conduzione di esperimenti sull’uomo. L’esperto non rappresenta il cittadino, fa parte di una élite la cui autorità si fonda sul possesso esclusivo di un sapere non comunicabile; ma questo sapere, in realtà, non gli conferisce alcuna particolare attitudine a definire i confini dell’equilibrio della vita. L’esperto non potrà mai dire dove si colloca la soglia della tolleranza umana: è la persona che la determina, nella comunità; e questo suo diritto è inalienabile. 

domenica 4 giugno 2017

Il dominio

Dominare significa avere sotto di sé, possedere, sottoporre al proprio controllo; in un concetto solo vuol dire regolare secondo un proprio ordine. Attraversata da una prospettiva irriducibilmente legata alla volontà di sottomettere, la realtà del mondo civilizzato è interamente pervasa da relazioni di dominanza-soggezione. Tutto, nel mondo moderno, e spiegato con l’esercizio del potere di qualcuno su qualcun altro o su qualcosa: dei genitori sui figli, dei maestri sugli allievi, dei principali sui dipendenti, dei governanti sui governati, del genere umano sulla natura. Invece di cercare di entrare in contatto con quanto ci circonda siamo abituati a guardare ogni cosa dall’alto verso il basso o dal basso verso l’alto: lo scopo non è mai quello di portare dentro ma quello di stare sopra, di gestire, di determinare. Controllare, nel suo significato corrente cioè mantenere nel proprio potere, è ciò che definisce le nostre relazioni con il mondo, sin dalle modalità con le quali lo percepiamo (sapere inteso come padronanza). Nella civiltà non può esistere il disordine, la dinamicità, la sorpresa, lo sbalordimento, l’ineluttabilità delle circostanze della vita, ma solo ciò che appare dominabile anche solo mentalmente: la prevedibilità dei fatti, l’assetto e la preparazione delle cose, la loro matematica comprensione attraverso i modelli fissi di una razionalità logico-scientifica che non ammette divagazioni sul tema. Quello che esiste deve essere costantemente organizzato, strutturato, trasformato, plasmato secondo la nostra volontà; quello che non ci pare a posto deve finire con l’esserlo a tutti i costi. Per l’individuo civilizzato vivere non è mai una apertura creativa verso ciò che esiste ma un’operosa attività di sottomissione del mondo a sé: è l’iniziazione insomma a un sistema di regole rigide da rispettare e da imporre a sua volta.