..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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sabato 27 maggio 2017

¡ Aquì no se rinde nadie, hijueputa!

Continuare a ribellarsi, continuare a lottare anche se tutto sembra vano.
Il battello chiamato Granma salpò la notte tra il 24 e il 25 novembre 1956 dalla foce del Rio Tuxpan nello stato messicano di Veracruz, con un carico di ottantadue uomini tra cui Fidel Castro ed Ernesto “Che” Guevara. All’alba del 2 dicembre approdarono sulla Playa de las Coloradas, a Cuba. L’esercito del dittatore Batista, già allertato, scoprì quasi subito la loro presenza, e si mobilitò in forze. Il 5 dicembre, i rivoltosi sfiniti ed affamati decisero di accamparsi in una piantagione di canna da zucchero ad Alegria de Pio. 
Al contrario del nome della località dove si stabilirono, l’umore dei “barbudos” era a terra; l’attraversata non fu facile a causa dell’eccessivo numero di persone a bordo, del continuo maltempo e delle pessime condizioni dell’imbarcazione, impiegarono sette giorni invece dei tre previsti, in pratica il loro sbarco fu un vero e proprio naufragio, perdendo l’intero equipaggiamento pesante e con otto uomini che risultavano dispersi.
E il posto in cui erano praticamente crollati aveva un nome macabramente beffardo: nessuna allegria, nessuna pia misericordia, ma una pioggia di piombo senza pietà. Centinaia di soldati si erano attestati a poche centinaia di metri, e di lì a poco gli aerei da ricognizione individuarono i ribelli.
Si scatenò una sparatoria generale, tre membri della spedizione caddero subito falciati dalle raffiche incrociate, ognuno cercava scampo tra le canne rispondendo al fuoco come poteva. Poi ci fu una pausa di silenzio irreale, rotto dalla voce dell’ufficiale della truppa che intimava la resa. Qualcuno, tra i ribelli, mormorò timidamente che, forse, era davvero tutto perduto…
Ad un tratto si sentì una voce:
¡Aquí no se rinde nadie, hijueputa!
Qui non si arrende nessuno, figlio di puttana!” Fu quell’incitamento, lanciato da Camilo Cienfuegos, un rivoluzionario di cui si sente parlare poco, fu quello spirito indomabile, quel desiderio di continuare a ribellarsi, a lottare, anche se tutto sembrava ormai perduto, che diede la spinta necessaria a rovesciare la situazione.
Il combattimento riprese con maggiore intensità di prima, i soldati non riuscirono nell’intento di circondarli; i sopravvissuti ripiegarono in piccoli gruppi, perdendo i contatti. Camillo “Centofuochi” rimase con due compagni, e soltanto quattro giorni più tardi riuscì a ricongiungersi con il Che e pochi altri. Ci furono abbracci e occhi lucidi, e la risata limpida di Camilo che riprese ad esortarli.
Niente di strano, per chi aveva deciso di dare l’assalto al cielo in ottantadue contro un esercito di trentacinquemila soldati con carri armati e aviazione, ritrovandosi poi in quindici, e decidendo di proseguire, senza il minimo dubbio, verso l’orizzonte della rivolta, anche se questo si va sempre allontanando, convinti del fatto che un giorno la rivoluzione avrebbe trionfato.