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venerdì 7 aprile 2017

Il popolo degli uomini

Nel 1804, quando la spedizione guidata dagli esploratori Lewis e Clark attraversò per la prima volta l’intero continente nordamericano dall’Atlantico al Pacifico, sul territorio che oggi chiamiamo Stati Uniti vivevano un milione di indigeni e galoppavano liberi almeno 50 milioni di bisonti.
Alla fine del secolo, quando il West fu vinto dagli emigrati europei, erano rimasti 1000 bisonti e 237.000 indiani. In 90 anni erano morti, in guerra o di malattia, il 75% degli indiani e quasi il 100% dei bisonti, che erano alla base della loro civiltà e della loro esistenza.
Fra le parentesi di questo doppio genocidio umano e animale sta la storia di una guerra e di un popolo: la storia della invasione europea del Nord America, dello sterminio dei Indiani delle Grandi Praterie del Nord.
Per noi figli del secolo successivo, del XX secolo, che abbiamo imparato a conoscere gli indiani nell'oscurità di una sala cinematografica o sulle pagine di fumetti sfogliati fino al disfacimento, l'immagine di quei popoli e dei loro capi è sempre stata violentemente distorta dalla fantasia commerciale dei registi e dei produttori di Hollywood. Dipinti prima come «ombre rosse», come primitivi urlanti e assetati del sangue dei pionieri, e poi, dopo gli anni Settanta, come vittime innocenti e mansuete della crudeltà imperialista dei bianchi, gli indiani sono intrappolati negli opposti stereotipi costruiti dalla cultura dei vincitori. Marionette, comparse, figurine di cartapesta plasmate e riplasmate secondo gli umori e le ideologie mutevoli del pubblico. Il Sioux buono di Balla coi lupi, o la principessina melensa di Pocahontas possono rispondere meglio alla nuova sensibilità, e ai nuovi rimorsi, di noi bianchi, ma sono in sostanza altrettanto falsi e distorti dei Sioux cattivi con le piume in testa e il tomahawk spacca cranio in pugno, impersonati da comparse messicane e raccontati dal cinema in bianco e nero di John Ford, Errol Flynn e John Wayne.
Nella nostra foga di demonizzare gli indiani prima, e di beatificarli poi per espiare le nostre colpe al modico prezzo di un biglietto di cinema, ci siamo dimenticati sempre di una verità tanto ovvia quanto fondamentale: che i Sioux, gli Cheyenne, i Corvi, gli Aràpaho, gli Apache, i Comanche, i Seminole e tutte le 500 nazioni indigene che popolavano il Nord America prima dell'arrivo di Colombo non erano né santi, né poeti, né scotennatori, né ecologisti ante litteram, ma esseri umani capaci di violenza e di tenerezza, di ingordigia e di generosità, di odio e di amore. Padri e madri, mogli e mariti, artigiani e cacciatori, guerrieri implacabili e fidanzatini timidi, secondo le circostanze conquistatori e conquistati, nell'implacabile ciclo della storia umana che non risparmia mai a nessun popolo la corona del martire e la spada del persecutore. Insomma erano semplicemente uomini.