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mercoledì 8 marzo 2017

Olga e le altre. Dalla violenza in casa alla violenza di Stato

Tante, troppe, le donne che faticano a liberarsi da una relazione violenta. Il ricatto dei figli, la mancanza di un reddito proprio, le minacce di morte rendono difficile riprendersi la propria vita. I tribunali che indagano le vite delle vittime, gli assistenti sociali che scrutano la quotidianità di chi dice no alle botte, agli stupri, alle umiliazioni condiscono il tutto del sapore acre dell’aceto.
Per le migranti senza documenti la strada è una salita ancor più ripida. Per molte il permesso di soggiorno è legato al quello del marito, per tutte le altre, se perdi il lavoro perdi il permesso.
É successo anche ad Olga, badante ucraina, che non è riuscita a trovare un nuovo impiego, dopo la morte della donna anziana di cui si occupava.
Olga non è il suo nome vero, ma la sua storia è lo specchio di quella di tante altre donne, che un giorno bussano alla polizia per denunciare la violenza di quello che per un po’ è stato il proprio compagno. La polizia le ha chiesto i documenti, il permesso, e l’ha subito spedita al CIE di Ponte Galeria a Roma, uno dei quattro rimasti aperti dopo anni di rivolte ed evasioni.
Di oggi la notizia che il governo ha stanziato i soldi per finanziare l’apertura di altri 15 CIE, ora ribattezzati CPR – centri per l’espulsione e per coprire le spese per le deportazioni.
Olga sarebbe dovuta partire oggi: la polizia italiana le aveva prenotato un posto in un volo di sola andata per l’Ucraina. All’ultimo è stata presa la decisione di lasciarla al CIE. Forse l’eco mediatica della sua vicenda ha indotto il ministero dell’Interno a una maggiore prudenza. Forse. Forse è stato solo uno dei tanti inghippi burocratici che ingarbugliano la vita dei migranti.
Olga è una delle tante donne che restano impigliate nella rete delle espulsioni. Una delle tante donne che, oltre ai controlli e agli abusi che investono tutti i senza documenti durante controlli e retate, subiscono violenze in quanto donne. Molestie e stupri nei centri di detenzione sono stati raccontati dalle donne che hanno corso il rischio di raccontare la propria storia. Donne che hanno lottato ed hanno avuto la fortuna di incrociare chi era disposto ed ascoltare e far circolare le loro voci.