..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

Translate

martedì 7 febbraio 2017

Le radici dell’anarchia

Lao-tse
Le radici dell'anarchismo e il bisogno di libertà affondano nell'origine stessa dell'umanità. Sin dal paleolitico gli esseri umani hanno cercato di mettere in piedi organizzazioni sociali di tipo libertario, l'autorità e la gerarchia storicamente hanno potuto imporsi solo con l'indottrinamento, la falsificazione storica e la violenza della repressione. Poiché il movimento anarchico organizzato nasce nel XIX secolo, si suole catalogare tutti i fatti libertari ad esso precedenti nell'ambito dei precursori dell'anarchismo.
In ogni tempo vi sono stati individui e correnti di pensiero e d'azione, che negarono le leggi scritte, affermarono che ciascuno deve governarsi secondo la propria coscienza, e cercarono di fondare una nuova società, basata su principi di uguaglianza e di libertà. Troviamo impronte dell'idea anarchica nel filosofo cinese Lao-tse, che visse nel sesto secolo a. C.; questo il suo pensiero era questo: «Giacché solo la natura esiste, ciò che viene da essa è buono, ed il bene consiste nel vivere senza passioni complicate, senza leggi pervertenti, senza vane guerre. Per ristabilire la pace, la virtù, la felicità, è necessario sopprimere la proprietà; è necessario demolire l'autorità, ed impedire ad essa anche di fare del bene».
Diogene di Sinope 
Tracce profonde d'anarchismo si ritrovano fra alcuni dei più antichi filosofi greci. Atene ha visto apparire sulle sue piazze degli uomini scalzi e sdegnosi, declamanti (simili a profeti) contro la corruzione dei costumi, l'oblio delle leggi della natura, l'amore sfrenato del lusso, le spregevoli passioni per la ricchezza. Antìstene, drappeggiato in un logoro mantello, errante di piazza in piazza ad infiammare le genti con la sua irresistibile eloquenza, a gettare strali infuocati contro i costumi, le credenze, gli usi, i pregiudizi, e le leggi, fu il fondatore della scuola cinica, attorno alla quale si riunirono i più profondi pensatori dell'antichità, che proclamavano l'uguaglianza delle condizioni umane, la solidarietà delle razze e la abolizione della schiavitù, In un'epoca, e in paesi, in cui il pregiudizio della città o della nazione era così potente, che i più grandi spiriti ne subivano il giogo, essi osarono gloriarsi d'essere senza patria, o più esattamente, d'avere per patria la terra intera, e tutti gli uomini per concittadini.
Il filosofo greco Diogene di Sinope fu il primo a dire: «Sono cittadino del mondo intero!»
Lo storico greco Zenone propugnava la libera comunità senza governo, e l'opponeva all'utopia governativa: la repubblica di Platone. Egli prevedeva un tempo in cui gli uomini si sarebbero uniti al di sopra delle frontiere, e avrebbero costituito il «cosmos» cioè l'universo, e non avrebbero avuto più bisogno né di chiese, né di denaro, né di leggi, né di tribunali.
Nell'Iliade, poema che esalta la disciplina e dimostra gli inconvenienti delle collere intempestive di Achille, nell'Iliade che risplende di lance, di corazze, di caschi superbi, tra il fragore delle mischie e delle trombe, l'anarchismo spunta imprevisto nelle indignate rivolte di Tersìte. Non importa se Omero, beffardo ed atroce verso di lui, lo svillaneggia, lo rabbuffa e lo percuote con lo scettro di Ulisse. In quell'uomo dalle spalle curve, dallo sguardo losco, dal corpo deforme, v'è un'anima nostra, allorquando s'erge da solo contro gli Dei, contro il Re, contro la turba servile; e scaglia, fra gli insulti, le beffe e le percosse, le sue giuste rampogne.
Promèteo
Con Eschilo (il misterioso tragico della democrazia ateniese) lo spettacolo si eleva, si purifica e si ammanta di sfolgorante bellezza. L'anarchismo è in Promèteo, figlio della Giustizia, che accese nella mente dell'uomo la scintilla del pensiero, e mise nel suo cuore le vaste speranze. Punito e fatto incatenare da Giove sulla più alta vetta delle montagne; sospeso fra cielo e terra; fra l'urlo dei venti ed il fracasso delle folgori, non apre bocca per un accento di dolore e di rimpianto. Nulla può spezzare l'orgoglio di questo vinto sovrumano, che preferisce languire, incatenato fra le rocce, piuttosto che essere il figlio e il messaggero di Giove; nulla può vincere la resistenza di questo irremovibile odiatore degli Dei; nulla intenerisce l'animo di questo ribelle, che aspetta, impassibile fra le torture, l'ora della giustizia e della liberazione. E la sfida ammirevole ch'egli lancia a Giove, è una di quelle scene dove l'essere pare si elevi verso il cielo, e diventi una emanazione d'azzurro. «Ed ora cadete su di me, fulmini dai solchi tortuosi e dalle punte omicide; scatenate sopra di me la vostra rabbia, tuoni e venti furiosi; sradicate la terra, e confondetela con gli spaventosi turbini del mare e col fuoco degli abissi; precipita, o Giove, il mio corpo nel fondo del baratro nero; io sono, io sono oggi, immortale!».
Intanto il progresso, superate le fasi lente dello sviluppo del pensiero, il quale è costretto ad avanzare brancolante nelle tenebre del pregiudizio, e tra gli agguati e la tormenta delle oppressioni medioevali, incomincia a divorare il tempo, allo stesso modo che un corpo solido cadendo divora lo spazio, e aumenta di velocità col precipitare.
Così, dall'epoca dei Comuni, all'ombra delle cui bandiere sventolanti dai torrioni e dalle mura, si inizia la rivolta del pensiero, e s'accende lo splendore delle Università libere, noi ci avviamo man mano verso la Rinascenza, che è una delle epoche, direi, riassuntive, sintetiche della civiltà.
Ed è là, tra le bellezze non più raggiunte dell'arte, tra la audacia delle scoperte ed il movimento anabattista, che sorge con un fondo anarchico, è là, in una delle illustrazioni del tempo, in Francesco Rabelais, che ritroviamo il nostro pensiero. La fantastica sua ideazione dell'abbazia di «Thélème»in Gargantua e Pantagruel è una condanna dell'organizzazione sociale autoritaria, ed una visione dell'ordinamento anarchico. I voti di castità, di povertà e di obbedienza non esistevano: ognuno poteva amare, godere e vivere libero. Preclusa l'ammissione solo «ai bigotti, agli ipocriti, agli usurai, ai prepotenti». Entrassero invece i buoni compagni, uomini e donne, nella cinta della civiltà a godere di tutte le gioie più alte del corpo e dello spirito. La loro vita era regolata non da leggi, non da statuti, ma solo dalla loro volontà, da questa massima piena di spirito libertario: «fa ciò che vuoi».
Poi in quel vulcano pieno di rombi e di fiamme, in quella fornace dello spirito che fu il diciottesimo secolo, il nostro pensiero trova uno sbocco più ampio e solenne, e s'afferma artiglio di leone – nella penna demolitrice di Diderot, picconiere formidabile, che colpì alle sue fonti vitali il principio d'autorità, d'ogni autorità divina ed umana.
Il progresso che ha acquistato intanto maggiore velocità l'utilizza per renderla ancora più vertiginosa, e dove occorre, colma gli abissi con le rivoluzioni.
Ormai la storia matura nel suo segreto i destini scaturenti da tutto un passato di erosione, di corrosione, di accertamenti scientifici, di libero esame, di penetrazione, di rivolte morali, di insurrezioni di fatto.
Un paese che si era formato fuori dell'orbita europea, coi reietti di tutte le patrie; un paese che aveva ereditato dalla vecchia Europa il bene della civiltà, senza il peso morto del suo tradizionalismo secolare, aveva compiuto la sua rivoluzione.
E la rivoluzione americana, erede di quella inglese, precipiterà l'1789 in Francia. Ed è proprio la Rivoluzione Francese che la parola “Anarchia” fu usata per la prima volta, dal girondino Brissot, che la utilizzò in senso dispregiativo nel 1793 per definire la corrente degli Enragé (Arrabbiati).
Ed è in quell'immenso vulcano delle rivoluzioni (megafoni che ingrandiscono e universalizzano le voci dei popoli) che le grandi idee si elaborano, e si sviluppano, perchè è allora che gli uomini spezzano i freni, schiantano le vecchie abitudini, rovesciano il passato e calpestano tutto quanto il giorno prima avevano creduto che fosse sacro.
L'idea della uguaglianza civile doveva abolire la schiavitù e fare di ogni uomo un cittadino.
Ma l'idea della uguaglianza sociale doveva fare di ogni uomo un uomo, e porre il problema che l'individualità umana fosse emancipata dalla schiavitù tutta intera: da quella dello Stato: da quella del capitale.
È allora che l'idea della emancipazione umana, non più attraverso la rivoluzione di palazzo o di governo; ma attraverso la rivoluzione sociale, si fa strada e si concreta: passa nella mente di Godwin, primo teorico nostro; soffocata nelle reazioni successive risorge nel '30, si rinfocola nel '48, alla spinta di Proudhon. È grazie a quest’ultimo che dall'800 il termine anarchia comincerà ad assumere un significato positivo, e che nel 1840 in “Che cos'è la proprietà?” scrisse: «La proprietà è un furto. Il grado più elevato dell'ordine nella società viene espresso dal grado più alto di libertà individuale, ossia dall'anarchia».
L’idea anarchica si propaga per il mondo, si esalta nella Comune di Parigi, e finalmente l'anarchismo si ritrova, non più solo idea di solitarie stelle del firmamento filosofico ma si ritrova solida forza militante nella Prima Internazionale. Là deve insorgere ancora, contro la vecchia anima autoritaria che si riaffaccia attraverso il dogmatismo statale marxista, e Bakunin elabora la concezione del comunismo senza frateria; dell'Internazionale senza vaticani rossi; dell'individualismo senza dominazioni individuali; dell'Anarchia, ordine di volontà libere e pensanti, di rapporti mutevoli e franchi da ogni coazione; e della rivoluzione non più dall'alto, per un Potere che ci emancipi per via di leggi, di decreti, di suffragi universali, di costituenti, di dittature; ma della rivoluzione dal basso, contro ogni potere, anche sedicente emancipatore. E siamo alla mozione di Saint-Imier, del 1872, che è la scissione nella Internazionale e sancisce la costituzione del movimento anarchico.