..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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mercoledì 31 agosto 2016

I visionari

In tutte le epoche vi sono sempre stati degli uomini che hanno lottato contro i costumi, le leggi, le morali, i vincoli, le relazioni sociali del loro tempo. Senza questi insofferenti, senza questi inadattabili, l'umanità non sarebbe avanzata sulla via del progresso.
E, come tutti i ribelli, saranno sembrati pazzi o criminali alla loro generazione contemporanea che li guardava stupita, soddisfatta o rassegnata del suo tempo, e incapace di comprendere che sarebbe venuto un giorno in cui quegli eretici sarebbero stati i vittoriosi e gli immortali, e che più tardi sarebbero stati pure essi sorpassati da più alte ed ampie visioni del pensiero umano.
È facile esaltarsi oggi alla memoria di Socrate che beve, con fermezza stoica, alla tazza ferale. È facile commuoversi alla memoria di Spartaco, che raduna truppe di schiavi dolenti e mal nutriti, inchiodati alla terra o ai remi, senza speranze e senza difese e marcia contro Roma carica di armi e di oro. È facile infiammarsi oggi al ricordo di Giordano Bruno, rapito tra le fiamme che lo avvolgono; di Galileo che infrangendo il mistero degli astri irritò la Chiesa.
I Bruno, i Galileo, i Colombo, dovevano apparire realmente come dei perfidi profanatori delle «Idee sacre» pensate dagli avi; come dei dèmoni, che ponevano una bomba al centro del perno della vita, delle idee della società di allora. Quanta ragione avevano invece quegli innovatori, e mentre oggi il nome dei loro persecutori e dei loro carnefici è sepolto nell'oblio, ed è coperto d'infamia, il mondo non è abbastanza vasto per raccogliere e rievocare la memoria dei martiri.
L'umanità sa bene quanto deve ad essi; sa bene, che se in tutto il dominio della vita l'uomo ha progredito, fu perchè nella notte buia e tetra dei secoli, pochi audaci sfidarono leggi, morale, famiglia, gloria, onori, avvenire, la morte stessa, pur di non rinunciare a proteggere un barlume di luce, fatto filtrare attraverso le tenebre dense della superstizione, col valore dell'esperimento o della intuizione.
La critica storica conosce oggi, che prima ancora degli eroismi della scienza, è stata necessaria la lotta per conquistare alla scienza la tolleranza sospettosa prima, e il diritto all'esistenza pubblica dopo. Sa che fu nella oscurità, nelle ostilità, nella illegalità, che la scienza cercò le sue prime affermazioni, circondata dovunque da tenebrosi timori, da paure, da grossolani pregiudizi che sembravano invincibili.
Ebbene, ciò che è vero per i grandi pensatori, è vero per ogni essere umano; ciò che è vero per i fatti storici, le invenzioni e i rivolgimenti famosi, è anche vero per tutte le rivolte dell'uomo, perchè anche la più umile e modesta vita umana può essere il tarlo silenzioso e costante, la lima sorda e insinuante, il roditore muto e penetrante, il bacillo dissolvente, che corrode e consuma la base e l'ossatura di una costruzione sociale.

martedì 30 agosto 2016

Gerarchia è dominio dei pensieri

Talvolta si dividono gli uomini in due classi, i colti e gli incolti. I primi si occupavano, se erano degni del loro nome, di pensieri, dello spirito, e poiché nell'era cristiana, il cui principio è appunto il pensiero, avevano il dominio, esigevano rispetto e sottomissione ai pensieri che avevano riconosciuto. Lo Stato, l'imperatore, la Chiesa, Dio, la moralità l'ordine etc..: ecco i pensieri o spiriti che esistono solo per lo spirito. Un semplice essere vivente, un animale, se ne cura tanto poco quanto un bambino. Ma gli incolti non sono appunto altro che bambini e chi è tutto preso dai suoi bisogni vitali è indifferente verso quegli spiriti; ma poiché è anche debole differente verso quegli spiriti nei loro confronti, soggiace al loro potere e viene dominato da pensieri. Questo è il senso della gerarchia.
Gerarchia è dominio dei pensieri, dominio dello spirito!
Gerarchici, noi lo siamo ancora oggi, oppressi da coloro che si appoggiano sui pensieri. I pensieri sono il sacro.
Ma il colto cozza sempre contro l'incolto, e viceversa, non solo nello scontro fra due persone, ma anche all'interno di una sola persona . Infatti non c'è uomo che sia cosi colto da non provare piacere anche per le cose del mondo (e in ciò che è incolto) e nessuno cosi incolto da non avere nessun pensiero.

Da l'unico e la sua proprietà di Max Stirner

domenica 21 agosto 2016

Ned Ludd

The Leader of the Luddites (Il leader dei Luddisti), pittura del 1812
Il luddismo è stato un movimento di sabotatori che agì principalmente in Gran Bretagna, soprattutto nei primi decenni del XIX secolo, opponendosi in questo modo alla violenza dell'industrializzazione forzata e alle conseguenze che ne derivarono. Il luddismo trae il suo nome da Ned Ludd, operaio, sulla cui effettiva esistenza non si hanno certezze, che sarebbe divenuto il leader dei rivoltosi.
La rivoluzione industriale, che si sviluppò principalmente in Inghilterra determinò un epocale cambiamento socio-economico. In particolare si radicalizzò lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo: divisione del lavoro e conseguente alienazione. A questa massiccia introduzione di macchine nelle fabbriche, molti operai reagirono istintivamente contro di esse, distruggendole e compiendo azioni di sabotaggio.
A capo della rivolta contro le macchine e lindustrializzazione si pose un certo Ned Ludd, un operaio tessile presumibilmente di Anstey, vicino a Leicester. Nel 1779, dopo essere stato frustato con l'accusa di pigrizia sul lavoro o dopo essere stato schernito da giovani del posto, distrusse due telai per maglieria in ciò che fu descritto come un «impeto di passione». Tutto ciò fa riferimento ad un articolo del 20 dicembre 1811 pubblicato sul The Nottingham Review, tuttavia non vi è alcuna prova della veridicità della storia.
John Blackner's, nel suo History of Nottingham, fa invece riferimento ad un certo Ludnam che distrusse alcuni telai per protesta e fu poi imitato da altri operai tessili. Secondo altri ancora Ned Ludd era solo un'invenzione di coloro che distruggevano le macchine e dietro il quale si nascondevano per celare la verità, ovvero che si trattava di una rivolta popolare spontanea che giungeva dal basso, senza capi o guide avanguardistiche ma non senza esser disorganizzati.
In ogni caso, a prescindere dall'esistenza o meno di Ned Ludd, si formò un gruppo di sabotatori che si faceva chiamare i Riparatori di ingiustizie e che si definivano seguaci di Ned Ludd. Essi venivano chiamati luddisti o ludditi e furono particolarmente attivi soprattutto tra il 1811 e il 1817. La prima azione di cui si ha notizia certa fu messa in atto il 12 aprile 1811, quando diverse centinaia di uomini, donne e bambini assaltarono una fabbrica di filati del Nottinghamshire di proprietà  di William Cartwright, distruggendo i grandi telai a colpi di mazza e appiccando il fuoco alle installazioni. I luddisti si scagliarono violentemente contro la presenza delle macchine nelle fabbriche, considerate una vera e propria minaccia alla loro vita (alienazione, perdita del lavoro, ecc.), anche in numerose altre città della zona e nel tempo tali azioni si ripeterono costantemente. Secondo lo storico Edward Palmer Thompson il luddismo fu l'ultimo atto dei lavoratori dopo il fallimento di tutte i mezzi che la legge consentiva (petizioni, appelli alle autorità ecc.).
La maggior parte dei casi di luddismo o comunque di contestazione delle conseguenze sociali ed economiche della rivoluzione industriale si ebbero in Gran Bretagna. L'anno seguente all'attacco contro la manifattura di William Cartwright, si tenne un processo di massa (164 imputati) che si concluse con tredici condanne a morte. Infatti, il governo inglese aveva introdotto la Framebreaking bill: la pena di morte per la distruzione di una macchina. Solamente Lord Byron aveva osato contestare pubblicamente (27 febbraio 1812) nella Camera dei Lords tale criminale legge, ma nessuno l'aveva ascoltato. Poco prima di abbandonare l'Inghilterra, Byron pubblicherà  un poema in cui si legge Down with all the kings but King Ludd («Abbasso tutti i re tranne Re Ludd»).
Nel 1813, George Mellor, uno dei pochi capitani luddisti catturati, fu impiccato. Stessa sorte subirono in seguito altre persone e così, a causa della durissima repressione subita, il movimento ebbe un periodo di stasi, salvo riesplodere nel 1816 in concomitanza con la crisi economica. Un episodio si ebbe il 16 agosto 1819 quando a Saint Peter's Fields, vicino a Manchester, l'esercito caricò una pacifica manifestazione di 50000 persone, provocando undici morti e circa cinquecento feriti. Al di fuori del Regno Unito uno delle rivolte più famose si ebbe a Vienna nel 1819 contro il telaio Jacquar (alienante e precursore di nuovi licenziamenti) e in Svizzera con l'incendio di Uster nel 1832.
Marx ed Engels, sin dal 1848, bollarono il luddismo come un ostacolo al normale evolvere degli eventi che scientificamente avrebbero portato alla rivoluzione sociale.
Storicamente quindi, anche a "sinistra", il luddismo, e l'azione diretta in genere, è stato spesso denigrato, incompreso o marginalizzato rispetto all'importanza che realmente ebbe. È da sottolineare che il luddismo nasce e si sviluppa nel periodo in cui gli inglesi concentrarono industrialmente al massimo il loro sforzo anti-napoleonico. In un periodo inoltre in cui l'associazionismo operaio e lo sciopero erano considerati gravissimi reati cospirativi. forse solo un caso che il parlamento inglese abrogò nel 1824 la Combination Acts (una legge anti-operai del 1800), riconoscendo il diritto di associazione, e poi concesse il diritto di sciopero nel 1831?



 
«Non deporremo mai le armi prima che la Camera dei Comuni voti una legge per distruggere tutto il macchinario nocivo alla comunità ed abroghi quella per l'impiccagione dei Fracassatori dei telai. Ma noi, noi non presenteremo mai più nessuna petizione: non serve a nulla! Lotta deve essere». (Proclama di Ned Ludd Tratto da La Rivoluzione industriale, di P. Mantoux)

sabato 20 agosto 2016

Ventimiglia. La disarmante banalità del bene

Continua la lotta dei migranti per bucare la frontiera di Ventimiglia, per continuare un viaggio che le frontiere chiuse dell’Europa hanno interrotto.
Ad un anno di distanza da un’altra estate di lotta tante cose sono cambiate. Il governo Renzi ha raggiunto l’obiettivo di escludere le spese per il trattenimento e la deportazione dei migranti dal conteggio sul bilancio dello Stato italiano ed ha accantonato ogni ambiguità, tentando di serrare le frontiere.
Ma il desiderio di libertà è più forte di ogni confine e tanti cercano e trovano un varco da cui passare.
Il campo gestito dalla Croce Rossa è stato spostato lontano dal mare, in una zona dismessa dalle ferrovie nei pressi del parco Roja. Gli operatori della Croce Rossa agiscono di concerto con le forze dell’ordine. Nel campo si mangia male, non si riceve alcuna informazione sulla propria situazione, ma si rischia la deportazione alla minima protesta.
Nei pressi del campo ufficiale era sorto un campo spontaneo, gestito dagli stessi migranti, sgomberato pochi giorni prima dell’avvio del campeggio No Border.
Nella notte tra giovedì 4 e venerdì 5 agosto circa trecento migranti sono usciti dal campo della Croce Rossa diretti alla frontiera. Bloccati nell’area dove lo scorso anno c’era il campo No Border, sono stati violentemente caricati dalla polizia. Con loro c’erano anche alcuni compagni che li avevano raggiunti per dare appoggio e solidarietà. Durante la carica circa 120 migranti sono riusciti a bucare la frontiera e ad entrare in Francia, dove è scattata la caccia all’uomo. Un gruppo è stato bloccato manganellato e caricato sui furgoni della gendarmeria in una spiaggia di Mentone.
Dei migranti rastrellati alcuni sono stati riportati al campo della CRI, altri sono stati deportati a Taranto. I No Border fermati hanno ricevuto tutti il decreto di espulsione dall’Italia o il foglio di via dalla provincia di Imperia.
Il giorno successivo, dopo un volantinaggio in spiaggia che annunciava il corteo della domenica, i No Border si sono avviati in direzione del campo della Croce Rossa per fare un saluto ai migranti.
La polizia ha prima gasato, poi ha cercato di bloccare gli attivisti chiudendo loro la strada. Undici compagni sono rimasti intrappolati su un ponte dove sono stati picchiati insultati e ammanettati.
Trattenuti in questura per quasi tutta la notte hanno subito altre angherie, prima di essere rilasciati con foglio di via e con la denuncia di resistenza e adunata sediziosa aggravate.
Altri due No Border, Beppe ed Alessia, presi poco lontano dal ponte, sono stati arrestati e richiusi nei carceri di Imperia e Genova Pontedecimo: rilasciati con divieto di dimora tra giorni dopo, saranno processati in autunno per resistenza, adunata sediziosa e lesioni.
Durante la mattanza sul ponte un poliziotto dell’antisommossa, che stava per unirsi ai colleghi che stavano lavorando di manganello, è morto d’infarto appena sceso dal furgone.
L’episodio è stato usato dai media come pretesto per scatenare una campagna di ulteriore criminalizzazione nei confronti degli attivisti che si battono contro le frontiere. Il Freespot è stato perquisito e due giorni dopo sgomberato con un pretesto, nonostante i locali fossero in affitto.
Il giorno successivo il corteo non è riuscito a partire, perché la polizia ha intercettato e dato il foglio di via a buona parte dei compagni che stavano raggiungendo Ventimiglia.
La strategia di Alfano è chiara: alleggerire la pressione sulle frontiere, deportando al sud i migranti e chiudendo in una morsa di ferro chi si oppone alle frontiere.
Il clima di emergenza serve a fare terra bruciata intorno a migranti e attivisti No Border, per nascondere una verità banale, che senza frontiere non ci sarebbero clandestini, campi, controlli. Senza frontiere Ventimiglia sarebbe solo uno dei tanti luoghi dove passa la gente in viaggio.
Senza frontiere, stati, sfruttamento e guerre, tanti neppure partirebbero.
É la disarmante banalità del bene.

domenica 14 agosto 2016

La guerra civile spagnola

Nel febbraio 1936 il Fronte Popolare (le sinistre unite) vince le elezioni, sconfiggendo la destra, ed in Spagna si intensificano le agitazioni popolari; i fittavoli cessano di pagare gli affitti, i braccianti occupano e lavorano la terre, i ferrovieri scendono in massa in sciopero. I capi militari capiscono che la vittoria delle sinistre non può soddisfare le attese del popolo spagnolo, che in buona parte punta non ad un semplice cambiamento di governo, ma ad una profonda rivoluzione sociale. Oltre mezzo secolo di propaganda e di lotte anarchiche ed anarco-sindacaliste hanno lasciato un segno profondo nella vita politica spagnola e l’influenza fra gli sfruttati della Confederacion Nacional del Trabajo (C.N.T.), la grande organizzazione anarco-sindacalista, è estesa in tutta la Spagna e soprattutto in Catalogna. Nel luglio 1936 a questi prodromi di rivoluzione, i capi militari, sotto il comando del colonnello Francisco Franco, rispondono con un colpo di stato. La risposta spontanea del popolo spagnolo è immediata. Ad eccezione di Siviglia, nelle maggior parte delle grandi città, a Madrid, a Barcellona, a Valenza soprattutto, il popolo prende l’offensiva, assedia le caserme, erige barricate nelle vie, occupa i punti strategici. Il golpe militare viene così sconfitto sul nascere in oltre metà della Spagna. In molte località l’autogestione contadina ed operaia prende corpo immediatamente, sostituisce le “autorità ufficiali” e coordina la vita sociale e la lotta antifranchista. Onnipresente l’organizzazione della C.N.T. che ispirava e collegava dovunque i diversi comitati di base. La caratteristica più notevole della Rivoluzione Spagnola fu proprio la grande diffusione raggiunta dagli esperimenti e dalle realizzazioni dell’autogestione, tanto nei piccoli villaggi di campagna quanto nei grossi centri industriali come Barcellona.  Per più di quattro mesi le industrie di Barcellona, su cui sventolava la bandiera rosso-nera della C.N.T., furono gestite dai lavoratori raggruppati in comitati rivoluzionari, senza aiuto o interferenza dallo stato, prima che il governo, riorganizzatosi, cominciasse ad occuparsene. Anche la rete dei trasporti pubblici venne autogestita dai lavoratori, in maggioranza aderenti alla C.N.T.. Dopo lo slancio dei primi mesi, però, la rivoluzione si fermò o retrocedette, in proporzione inversa con il rafforzamento del governo repubblicano di coalizione antifascista, via via sempre più dominato dal P.C., che andava acquistando maggiore consistenza e potere, grazie alla sua politica moderata (che attirava nelle sue file bottegai, i piccoli e medi proprietari, i professionisti, i burocrati) ed gli aiuti russi.
Lo scontro fra il moderatismo e la logica di potere dei comunisti da un lato e la rivoluzione libertaria degli anarchici dall’altro, era facilmente prevedibile. Nonostante la volontà degli anarchici di evitare fratture nel fronte antifascista, le provocazioni dei comunisti e dei loro alleati piccolo borghesi (ad esempio il generale comunista Lister si diede a devastare con le sue truppe le collettività agricole libertarie dell’Aragona; a Barcellona la polizia controllata dai comunisti assaltò la sede dei telefoni autogestita dalla C.N.T.; agenti della polizia segreta comunista assassinarono l’anarchico italiano Camillo Berneri.) condussero necessariamente a scontri sempre più aperti e violenti. La situazione militare, da posizioni iniziali (luglio 36) di quasi equilibrio, in termini territoriali, tra fascisti e repubblicani, andò lentamente ma continuamente deteriorandosi e l’avanzata delle truppe di Franco continuò inesorabile, grazie ai massicci aiuti in armi e uomini di Hitler e Mussolini. I paesi baschi caddero nel giugno del 37; l’Aragona nell’aprile del 38; la Catalogna nel gennaio del 39, Madrid nel marzo del 39.


martedì 9 agosto 2016

Louis Michel raccontata da Pietro Gori

[…] Lo zelo di Louis nel soccorrere le sofferenze altrui non si ferma all'umanità, ma tenta di abbracciare perfino l'animalità.
E mi raccontava certe sue ingenuità commoventi verso bestiole malate o fameliche, per le quali la casa ospitale della comunarda diventava prima un rifugio, e poi un condominio con tutti gli altri esseri colà sospinti dalla risacca sociale.
Una volta – era stata gravemente malata di bronchite quell'inverno – tornò a casa, dopo una conferenza; si sentiva affaticata, sfinita. La buona Carlotta, la   fida compagna di lei, aveva preparato del latte caldo. Esso fumava lì presso, sulla tavola. Ma intanto che Luisa parlava con alcuni amici, che l'avevano accompagnata, una gatta malaticcia, salita sulla tavola, aveva tranquillamente vuotato la tazza.
Quando Carlotta se ne accorse, non fu a tempo che a regalare un solenne scapaccione alla bestiola, la quale chissà per quali complicazioni tra la bevuta furtiva e lo scappellotto giustiziero nella notte morì.
Fu tutto un piccolo dramma domestico di rimpianti per il quadrupede defunto in seguito a quell'atto di tirannide padronale, ed anche una sequela di rimbrotti verso Carlotta, che se ne era resa colpevole. Si dovettero immischiare nella faccenda parecchi amici; e la pacificazione degli animi non riuscì completa, se non dopo che fu convenuto che là in quella casa, nessun atto di violenza sarebbe stato più commesso da inquilini o da ospiti verso gli animali inferiori.
Da quel giorno anch'io, a cui molto Luisa perdonava per la mia giovanile impetuosità, dovetti tenere a me le mani ed i piedi – giacché una sera che un cane, insopportabile per petulanza, eppur cittadino libero sotto quel tetto ideale, provocò il mio piede ad assestargli un rapido correttivo, dovetti ascoltare dalla cara vecchia tutta una calda allocuzione in difesa degli esseri inferiori.
« – Ah, gli esseri inferiori, ecco il pretesto d'ogni dominazione!... Inferiori perchè? Perchè altri più violenti, o più astuti, riuscirono ad assoggettarli o ad ucciderli?...O non sono invece inferiori di senso morale quelli che formano la felicità propria sulla infelicità altrui divorando, sfruttando, asservendo?... Voi mi risponderete con la dura legge di selezione, col trionfo del più adatto, con l'impero del più forte. Ma io conosco un'altra legge, che non è di oppressione nè di morte – ma di libertà e di vita: quella della solidarietà... Voi vi deliziate degli uccellini allo spiedo, ed io preferisco il trillo del cardellino, che canta là, su quell'albero, a tutte le orazioni di voi avvocati... Diversi sì, inferiori no...»
« – Ma tra l'umanità, e le altre specie zoologiche...» azzardai io.
« – Ebbene – incalzò l'ardente vegliarda – è appunto perchè l'umanità volle calpestare gli altri esseri, che voi chiamate inferiori, che essa si trovò esercitata ad inferocire e a dilaniar se stessa. Le razze inferiori, le classi inferiori, il sesso inferiore, che per dileggio chiamate gentile – ecco la stessa classificazione trasportata dal campo animale a quello umano... Ma la lotta, direte, fu la condizione d'ogni progresso... Sì, ma io non amo la lotta per la lotta; la voglio solo perchè da essa scaturisca invece dell'antagonismo la fratellanza di tutti gli esseri...»
E le labbra della vergine dolorosa tremolavano ancora, nell'improvviso silenzio – come se avessero proseguito il filo mentale di quella sua corruscante visione di ardimenti e di tenerezze...
[…] Nel processo di beatificazione di San Martino uno dei titoli, che più gli valse la laurea di beatissimo, fu l'aver donato, una volta in sua vita, metà del proprio mantello ad un mendico.
Luisa, centinaia e centinaia di volte (Carlotta ormai aveva perduto ogni lena a riprenderla) aveva dato via l'ultima camicia al primo indigente che bussava alla porta. E tutta la pena degli amici era sempre di trovare una maniera delicata, onde sostituire, almeno l'indispensabile, al gettito, ch'ella faceva di ogni suo avere.
Un inverno, ch'essa aveva molto sofferto di petto, i suoi antichi compagni di deportazione alla Nuova Caledonia, allora residenti in Londra, pensarono di donarle un pesante e ricco mantello, per l'anniversario della Comune parigina, tanto più, ch'ella doveva recarsi appunto la sera del 18marzo, al Mass-Meeting commemorativo, che si teneva nel centro della metropoli, a sì grande distanza dal sobborgo, ove essa e Carlotta abitavano.
Quando Luisa entrò nella sala gremita, i compagni, che avevano fatto il dono, stupirono nel vederla ravvolta in un meschino scialletto, e Charles Malato ebbe l'incarico di fare le dovute rimostranze.
«– Voi venite a sgridarmi, Carlo – si affrettò a dir Luisa al veniente – però avete torto. Il pensiero fu gentile, ma quel ricco mantello sarebbe stato un rimorso per me...»
E Carlotta spiegò, come non le fosse stato possibile impedire che Luisa regalasse il mantello (non la metà come S. Martino, ma tutto intero) ad una povera vedova del vicinato, sovraccarica di cinque piccini, la quale tremando era venuta a chieder la carità, in memoria dei poveri assassinati della Comune di Parigi.
[…] Parecchi anni or sono, a Parigi si costituì un Comitato di soccorso in pro' dei profughi russi – in seguito ad uno dei periodici deliri acuti della reazione autocratica – e del comitato facevano parte le personalità culminanti della scienza, dell'arte, della politica. Ne erano presidente Victor Hugo e cassiera Luisa Michel.
Ebbene: alla casa di lei era un continuo pellegrinaggio di sollecitatori, che si qualificavano profughi russi, per quanto essi non avessero oltrepassato i boulevards di Montmartre, e le buvettes del quartiere Latino.
E nessuno tornava indietro, per quanto poco russo egli fosse, con le mani vuote.
Victor Hugo, che grandemente amava e stimava la Michel, credette opportuno esortarla a qualche cautela nella erogazione dei soccorsi, onde i veri proscritti russi non ne fossero defraudati da codesti russi... d'occasione.
Luisa, dopo avere ascoltato con deferenza l'autore dei Miserabili, gli chiese con quel suo fervore traboccante di ingenua pietà:
«– Posso io domandare alla miseria che invoca aiuto, la carta di nazionalità?»
Il  poeta sorrise, e la sua fronte radiosa si chinò perplessa. Da quel giorno però non si parlò più di controllare la nazionalità degli indigenti – anche a costo che qualche mariuolo sfruttasse il fondo raccolto per la Russia fuggiasca e martire.

sabato 6 agosto 2016

Il ribelle

In mezzo a questo schifoso brulicame di menzogne sociali, sorge talvolta un Uomo.
Quale nobile figura! Chi è mai costui? Che cosa vuole? … É un ribelle cosciente: vuole benessere, giustizia, libertà …
Egli non implora.
Inflessibile alle altrui imposizioni, abbatte ogni ostacolo che si frappone a l’integrale sviluppo delle sue facoltà fisiche ed intellettuali. Compreso che adagiarsi allo stato di cose attuale è rendersi responsabile di tutte le umane infamie che da quello derivano, disprezza le ingiuste istituzioni che lo circondano, odia gli apostoli di qualunque forma di dogma, di tirannia. Geloso della propria autonomia, non vuole annegare il suo Io nel grande mare dei convenzionalismi. É il nemico mortale della società…
Nemico della società?
Certo!
Che cosa è la società odierna?
Non è forse quell'insieme complesso di rapporti intesi ad annientare !’individuo a tutto vantaggio di una crudele collettività anonima? Non è l'ordinamento d'una ributtante accozzaglia di predoni e di ruffiani, di poliziotti e di preti, di impiccatori e di pecore?…
Voi potreste dire: e amare tutto ciò?
Ah no, perdio! Non si può amare il male ad alcun costo, a meno che non si sia perduto il bene dell'intelletto.
Il coccodrillo fossilizzato gridi pure all'assassinio, quando un uomo cosciente, indignato del terribile spettacolo di rapine, di repressioni, di sangue, di supplizi, di lamenti inauditi, che si offre giornalmente ai suoi occhi, si erge a giustiziere e condanna una tale società; gridi pure, ma quell'anima generosa ha sempre il diritto di rispondergli: “Miserabile ruffiano! Vergognati, nasconditi nel tuo sozzo pantano e continua a guazzarvi come un verme, qual sei, ma taci!”
Gridino pure i frati di ogni misura e colore a l'atto "anti-sociale", credendola questa un'ingiuria ... Ma se per atto antisociale s'intende il gesto diretto a colpire questo mostro in decomposizione, quale dolce ingiuria! Per me, anzi, sarebbe una prova d'aver colpito nel segno!
Al contrario, una loro lode mi offenderebbe: nella mia coscienza sentirei il rimorso di avere, forse, anch'io dato la mano a le ingiustizie che la folla di pastori e gregge ogni giorno commette. Delitto, per me, è qualunque atto che concorra a puntellare questo maledetto edificio in rovina, detto società civile; delitto è lo starsene con le mani in mano, senza lottare in alcun modo per abbatterlo del tutto; detesto ugualmente carnefici è vigliacchi, governanti e mummie ....
Odio e maledico tutto l'ordine presente, perché di "ordine" non ha che il nome!

Da “Cronaca Sovversiva” 1905

mercoledì 3 agosto 2016

La necessità dell’Azione diretta

La condizione positiva della libertà, scriveva Bakunin, è questa: nessun uomo deve obbedienza ad un altro; egli non è libero se non a condizione che tutti i suoi atti siano determinati, non dalla volontà di altri uomini, ma dalla sua volontà e dalle sue proprie convinzioni”.
Il delegato (o rappresentante) è una persona alla quale si sono trasmessi i propri poteri e che agisce, o che dovrebbe agire, non in nome proprio ma nel nome dei suoi mandanti. Gli interessi dei delegati devono scomparire davanti a quelli dei gruppi che li hanno nominati perché compiano una missione o un lavoro qualsiasi, ed hanno il dovere di dimenticare totalmente la propria personalità per non sovvenirsi che dell’organizzazione o degli individui che hanno riposto in loro la propria fiducia.
Ora, anche se fosse possibile che un individuo, nominato rappresentante, possa a tal punto annullare la propria personalità, sarebbe impossibile e oltretutto inumano pretendere che un essere ragionevole, cosciente e libero si annulli davanti alla propria funzione di rappresentante fino al punto di diventare un automa delle volontà altrui; oltretutto non è conforme ai principi anarchici che non pretendono mai l’impossibile e non tendono mai a schiacciare la dignità dell’uomo.
L’anarchismo è per definizione la rivendicazione della libertà e della dignità dell’individuo. Come anarchici noi non riconosciamo ad alcun individuo, per quanto degno e meritevole compagno, il mandato di rappresentare le opinioni di una massa assente; ed un anarchico, per rimanere coerente, non può accettare delegazione alcuna da gruppi, gruppetti o da singoli.
Ogni membro della società è libero di contribuire personalmente, col proprio lavoro e col proprio pensiero, al benessere suo e di tutti, senz’altro limite al di fuori di quelli che gli segnano le sue facoltà e le sue capacità.
Finora non si è badato che alla sovranità del popolo (anche se sarebbe meglio dire ad una parte privilegiata del popolo) e non del singolo, ma noi dobbiamo cambiare rotta e pervenire alla sovranità dell’individuo. E la sovranità dell’individuo non significa il diritto di pretendere, né la facoltà di illudersi che altri facciano per noi; significa soltanto che noi possiamo fare direttamente quel che riteniamo necessario od utile fare, e che gli altri non abbiano al facoltà o il diritto di vietarcelo, a condizione, naturalmente, che non sia lesa l’eguale libertà dei nostri simili.
Questo è quello che intendiamo, e che intesero i nostri precursori, quando proclamiamo la necessità dell’Azione diretta: agire in prima persona, anche come iniziativa di propaganda e attività di ogni specie svolte dall’individuo a vantaggio del movimento e dell’ideale.