..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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giovedì 29 settembre 2016

Anna Kuliscioff e la questione femminile italiana

Sin da quando era anarchica, Anna Kuliscioff diede grande importanza alla causa della discriminazione della donna. D'altronde, il logoramento del rapporto con Andrea Costa fu ingenerato proprio dalla gelosia del compagno (Anna aveva un buon rapporto con Carlo Cafiero e Costa ne era molto geloso), che mal tollerava la sua emancipazione. Ciò fu causa di numerosi conflitti che poi portarono alla separazione della coppia. Alla gelosia di Costa e alla tendenza degli uomini a vedere la propria donna come un oggetto di loro proprietà, Anna risponde così: «Io alla fine vedo una cosa: agli uomini come sempre è permesso tutto, la donna deve essere di loro proprietà. La frase è vecchia, banale, ma ha le sue ragioni d’essere e l’avrà chissà per quanto tempo ancora».
Quando poi giunge a Milano, entra in contatto con le principali esponenti del femminismo cittadino (Anna Maria Mozzoni, Paolina Schiff e Norma Casati), che nel 1882 avevano fondato la Lega per gli interessi femminili. Da questo momento in poi, la sua lotta femminista assumerà un carattere sempre più netto e marcato, che culminerà con l'intervento al Circolo filologico di Milano il 27 aprile 1890 intitolata Il Monopolio dell'uomo. La Conferenza da lei tenuta quel giorno può essere considerata il “Manifesto della questione femminile italiana” che pone sotto una nuova luce, anche per gran parte dei socialisti del tempo, la questione della subordinazione femminile nella società e nella famiglia, negando che sia un fatto naturale antropologico. Solo il lavoro sociale, retribuito AL PARI dell'uomo, può portare la donna alla conquista della libertà, della dignità e del rispetto; senza questo il matrimonio non fa che umiliarla in un dramma che le toglie la dignità e l'indipendenza. Netto è il suo distacco dal “femminismo“ che considera un fenomeno borghese. Continuando anche nella sua attività in favore del socialismo, Anna si scontra sulla questione femminile con il compagno Filippo Turati e con altri esponenti dell'area marxista: «L'esperienza di altre e molte donne che si alternarono a deviare dal binario tradizionale la vita femminile in genere, e soprattutto l’esperienza mia propria, m’insegnarono che, se per la soluzione di molteplici e complessi problemi sociali si affacciano molti uomini generosi, pensatori e scienziati, anche delle classi privilegiate, non è così quanto al problema del privilegio dell’uomo di fronte alla donna».
Quando all'inizio del novecento si sviluppa un dibattito intorno alla richiesta di estendere il diritto di voto a tutti gli uomini, l'ex-anarchica si batte per estenderlo anche alle donne. E quando il compagno Turati difende la posizione dei socialisti perché «la ancora pigra coscienza politica di classe delle masse proletarie femminili», Anna replica su Critica sociale: «Direte, nella propaganda, che agli analfabeti spettano i diritti politici perché sono anch'essi produttori. Forse le donne non sono operaie, contadine, impiegate, ogni giorno più numerose? Non equivale, almeno, al servizio militare, la funzione e il sacrificio materno, che da’ i figli all’esercito e all’officina? Le imposte, i dazi di consumo forse son pagati dai soli maschi? Quali degli argomenti, che valgono pel suffragio maschile, non potrebbero invocarsi per il suffragio femminile?».
Il 7 gennaio del 1912 Anna Kuliscioff fonda la rivista bimestrale «La Difesa delle Lavoratrici», che dirigerà per due anni insieme a Carlotta Clerici, Linda Malnati e Angelica Balabanoff.
Anna Kuliscioff muore il 29 dicembre 1925 a Milano. Durante il funerale alcuni fascisti si scagliarono contro le carrozze del corteo funebre che si dirigeva verso il Cimitero Monumentale di Milano.

lunedì 26 settembre 2016

I veri padroni del mondo

I veri padroni del mondo non sono più i governi, ma i dirigenti di gruppi multinazionali finanziari o industriali, e di istituzioni internazionali opache (Fmi, Banca Mondiale, Ocse, Wto, banche centrali). Il potere di queste organizzazioni viene esercitato su una dimensione planetaria, il peso delle multinazionali nei flussi finanziari ha da tempo superato quello degli Stati, sono organizzazioni assai  più ricche degli Stati stessi, e allo stesso tempo fonte finanziaria degli stessi partiti politici di ogni tendenza che compongono le organizzazioni politiche e i governi di tutti gli stati. Organizzazioni al di sopra delle leggi e della politica, al di sopra della "democrazia" di ogni forma di proclamata "democrazia".
D'altra parte la democrazia da tempo ha cessato di essere una realtà, la democrazia è una finzione una presa in giro. una farsa che sta trasformando tutt 'l'esistente in tragedia.
I responsabili delle organizzazioni non sono eletti, e le popolazioni "il pubblico" non viene informato sulle loro decisioni. Il margine d’azione dei singoli stati è del tutto condizionato da accordi economici internazionali per i quali i cittadini non sono stati né informati nè tantomeno considerati: semplice carne da macello. Tutti questi trattati  (Gatt, Omc, Ami, Ntm, Nafta) hanno un unico scopo: trasferire il potere degli Stati verso queste organizzazioni tramite un processo chiamato “mondializzazione”.
Una sospensione proclamata dei sistemi democratici avrebbe senz’altro provocato una resistenza, una reazione. Ecco perché vengono mantenute queste rappresentazioni di facciata. I cittadini continuano a votare, ma il loro voto è privo di senso, di importanza, non determina alcun che, non c’è più nulla da decidere, è all'evidenza di tutti che i programmi politici della  “destra” e della “sinistra” si assomigliano sempre di più, si sovrappongono, sono indistinguibili in tutti i paesi occidentali.
Il piatto che ci è servito è una “nuova schiavitù”, il contorno può essere o piccante di destra, o agro-dolce di sinistra come la rappresentazione/farsa del momento propone. 

venerdì 23 settembre 2016

Per una libertà senza confini

Il 19 luglio del 2012 le regioni del Rojava, il Kurdistan siriano, proclamarono l’autonomia, sancendo formalmente un processo rivoluzionario di segno chiaramente libertario.
Una rivoluzione democratica radicale, che è divenuta l’unico baluardo contro lo Stato Islamico, le formazioni quaediste, il regime del Baas, il partito della dinastia Assad.
La resistenza all’assedio di Kobane e la liberazione della città tra il settembre del 2014 e il gennaio del 2015 ha acceso i riflettori su quest’angolo di Siria.
La Turchia dell’islamista Erdogan, ha sostenuto – sia pure non ufficialmente – l’ISIS in Siria ed ha poi scatenato una vera guerra civile in ampie zone del Bakur, il Kurdistan turco.
Città bombardate, rase al suolo, centinaia di morti, profughi, senza casa.
Il fallito colpo di stato animato dai seguaci del ex alleato islamista Fethullah Gulen lo scorso luglio ha dato mano libera al governo turco contro ogni forma di opposizione sociale. Sono decine di migliaia le persone imprigionate, licenziate, torturate; sono decine le sedi politiche e i giornali chiusi.
A fine agosto il governo turco, dopo aver ripreso le relazioni con la Russia e il governo siriano, ha deciso di intervenire direttamente in Siria. I suoi tank e aerei si sono scagliati contro le milizie di autodifesa popolare del Rojava.
L’esperienza del Rojava è oggi sotto attacco mortale dell’esercito turco. Il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu, dopo un incontro con il suo omologo saudita, ha annunciato la soluzione finale per l’autogoverno del Rojava.
L’Unione Europea ha già, di fatto, dato il via libera al massacro dei curdi stanziando, il giorno stesso della dichiarazione di guerra, 348 milioni di euro a favore della Turchia che si aggiungono ai 6 miliardi già decisi per i “profughi”.
La tregua annunciata dai ministri degli esteri russo e statunitense potrebbe avere come prezzo l’annullamento o il sostanziale ridimensionamento dell’esperienza curda, con le truppe del sultano di Istanbul stanziate nel nord ed il resto del paese diviso tra zone sotto il controllo di Assad e zone lasciate a formazioni islamiste vicine ai sauditi.
La posta in gioco in quest’area del pianeta è molto alta. Lo sanno bene gli uomini e le donne in armi che difendono la propria autonomia dalle truppe dell’ISIS, da quelle turche, di Al Nusra e dell’esercito siriano.
Presto il silenzio, che certa stampa rompe solo per fare folclore sulle donne in armi, potrebbe calare sulla storia di gente che si organizza dal basso in comuni e comitati per decidere da sé come amministrarsi.
Negli ultimi anni, in varie zone del pianeta, si sono sviluppati movimenti di lotta che sia nelle modalità organizzative, sia negli obiettivi hanno modi libertari. Partecipazione diretta, costruzione di reti solidali su base locale, mutazione culturale profonda che investe le relazioni di dominio nel corpo sociale ne sono il segno distintivo, oltre alla durezza dello scontro con le istituzioni statali e religiose che controllano i vari territori.
La caratteristica importante di questi movimenti è il radicarsi in aree del pianeta dove negli ultimi quindici anni si sono sviluppati movimenti di stampo religioso reattivi all’occidentalizzazione forzata.
Si va dalla Kabilia, la regione berbera dell’Algeria, al Messico all’India, sino al Rojava.
Qui, dal 2012, profittando del “vuoto” lasciato dal governo di Damasco per la guerra civile che sta ancora insanguinando il paese, uomini e donne stanno sperimentando il confederalismo democratico. Ispirato alle teorie del municipalismo libertario dell’anarchico statunitense Murray Bookchin, l’autogoverno in Rojava rappresenta un tentativo laico, femminista e libertario di praticare un’alternativa ai regimi autoritari che si contendono la Siria.
In Rojava si stanno sperimentando modalità di partecipazione diretta di segno marcatamente libertario.
Non solo. Per la prima volta tra la gente di un popolo senza stato, diviso da frontiere coloniali, c’è chi dichiara esplicitamente di non volere un nuovo Stato, di rifiutare ogni frontiera, di lottare perché la gente si autogoverni su base territoriale, senza più frontiere. Se non ci sono frontiere non possono esserci nemmeno stati. Un’attitudine rivoluzionaria che inquieta tutti i governi in ogni dove.
Per la prima volta l’illusione che lotta di classe e indipendentismo siano ingredienti di una stessa minestra rivoluzionaria, capaci di catalizzare una trasformazione sociale profonda, tipica della sinistra autoritaria, si scioglie come neve al sole, aprendo la possibilità di un percorso libertario.
L’integralismo religioso e le satrapie mediorientali non sono un destino.
La solidarietà con il Rojava ci riguarda tutti, perché la storia che hanno cominciato a costruire apre uno spazio di libertà e uguaglianza importante per tutti. In ogni dove.

Federazione Anarchica Torinese

mercoledì 21 settembre 2016

L'Anarchia non è utopia

È in quell'immenso vulcano delle rivoluzioni (megafoni che ingrandiscono e universalizzano le voci dei popoli) che le grandi idee si elaborano, e si sviluppano, perché è allora che gli uomini spezzano i freni, schiantano le vecchie abitudini, rovesciano il passato e calpestano tutto quanto il giorno prima avevano creduto che fosse sacro.
L'Anarchia non è utopia. Essa è allo stato di aspirazione nel fondo dell'animo umano. Essa si rivela nel perpetuo moto che è sorgente e scopo della vita stessa. Quel continuo travaglio interiore, quel costante bisogno di ricerca, di lotta e di sogno, che agita l'individuo, nell'insofferenza del presente, in uno sforzo perenne di superamento e di liberazione, è legge eterna della vita, eterna aspirazione all'Anarchia. Poeti, artisti, letterati, hanno sempre avvertito il suo palpito, il suo respiro, nelle visioni e nelle lotte dell'opera loro: essi hanno demolito qualcosa di ciò che l'Anarchia vuol demolire; hanno portato chi una pietra, chi un marmo, chi un mosaico all'edificio che essa va pazientemente costruendo.

venerdì 16 settembre 2016

Piacenza. Operaio travolto e ucciso da un crumiro alla GLS

Un operaio di 53 anni che stava picchettando insieme a molti altri lavoratori all'esterno di un'azienda di logistica a Piacenza, durante lo sciopero indetto Dall'USB, è stato travolto e ucciso da un crumiro che guidava un camion della ditta logistica.
E' successo questa notte, durante uno dei picchetti che i lavoratori della GLS di Piacenza stanno portando avanti da settimane: durante lo sciopero indetto dall' USB davanti al magazzino della GLS di Piacenza, un Tir uscente dalla stabilimento, su ordine di un preposto aziendale GLS, ha tirato dritto uccidendo un lavoratore. Abdesselem El Danaf, padre di 5 figli ha perso la vita mentre metteva in prima fila il proprio corpo e il proprio cuore nella lotta per i diritti dei lavoratori.
Riportiamo qui sotto la nota con cui il sindacato USB ne dà notizia:


Un lavoratore dell'Unione Sindacale di Base durante un picchetto è stato assassinato alla GLS di Piacenza

PIACENZA 14 settembre ore 23.45 si muore per lottare si muore per i diritti.

"Ammazzateci tutti" è il grido dei lavoratori della logistica di Piacenza.
Un nostro compagno, un nostro fratello è stato assassinato
durante il presidio e lo sciopero dei lavoratori della SEAM, ditta in appalto della GLS questa notte davanti ai magazzini dell’azienda.
Il gravissimo fatto è l’epilogo di una serata di gravi tensioni, la USB aveva indetto una assemblea dei lavoratori per discutere del mancato rispetto degli accordi sottoscritti sulle assunzioni dei precari a tempo determinato.
Di fronte al comportamento dell’azienda i lavoratori, che erano rimasti in presidio davanti ai cancelli, hanno iniziato lo sciopero immediato. Proprio durante azione di sciopero, un lavoratore, padre di 5 figli e impiegato nell’azienda dal 2003, è stato assassinato, sotto lo sguardo degli agenti di polizia da un camion in corso che ha forzato il blocco.
Questo assassinio è la tragica conferma della insostenibile condizione che i lavoratori della logistica stanno vivendo da troppo tempo. L’USB si impegna alla massima denuncia dell’accaduto: violenza, ricatti, minacce, assenza di diritti e di stabilità sono la norma inaccettabile in questo settore.

giovedì 15 settembre 2016

Fermati! Leggi! Rifletti!

Compagno, soldato dell'Armata Rossa! Il tuo commissario e il tuo comandante ti hanno mandato a catturare gli insorti machnovisti. Per ordine dei tuoi capi, distruggerai pacifici villaggi, inseguirai, arresterai e ucciderai gente che ti dicono essere nemica del popolo. Ti dicono che i machnovisti sono banditi e controrivoluzionari.
Ti dicono quello che devi fare, te lo ordinano, non ti chiedono, ma ti mandano, e tu, umile schiavo dei tuoi padroni, vai a catturare e ad uccidere. Chi? Perché? Per che cosa? Pensaci, compagno soldato dell'Armata rossa! Pensaci, operaio e contadino, coinvolto con la forza nella cabala dei nuovi padroni che si gloriano del titolo di potenza operaia e contadina.
Anche noi insorti e machnovisti siamo operai e contadini, proprio come i tuoi fratelli, i soldati dell'Armata rossa. Siamo insorti contro la tirannide e l'oppressione. Lottiamo per una vita migliore e più serena. Il nostro obiettivo immediato è l'instaurazione di una comunità di lavoratori al di fuori dello stato, senza parassiti e commissari burocratici. Nostro fine immediato è l'instaurazione di una ordine di soviet liberi non sottoposti al potere dei bolscevichi né di qualsiasi partito. Per questo il governo bolscevico-comunista invia spedizioni punitive contro di noi. Si affretta a far pace con Denikin, con i possidenti terrieri polacchi e con gli altri porci della Guardia bianca in modo da poter sopprimere più agevolmente il movimento popolare degli insorti rivoluzionari che lottano per gli oppressi e contro il giogo di qualsiasi autorità.
Non temiamo le minacce del comando supremo bianco-rosso. RISPONDEREMO ALLA VIOLENZA CON LA VIOLENZA. Se sarà necessario noi, benché in pochi, metteremo in fuga le divisioni statali dell'Armata rossa. Perché siamo rivoluzionari insorti amanti della libertà e difendiamo una giusta causa.
Compagno, pensaci! Da che parte stai e di chi sei nemico? Non essere schiavo - sii uomo!!!

GLI INSORTI MACHNOVISTI, giugno 1920

domenica 11 settembre 2016

A quali bambini lasceremo questo mondo?

Il superamento del capitalismo non può consistere nel trionfo di un soggetto creato per lo stesso sviluppo capitalista. Tuttavia, le teorie di emancipazione hanno da tempo concepito il superamento esattamente in questa maniera. Il capitalismo è stato considerato come la cattiva gestione, ingiusta e parassitaria, di qualcosa che in quanto è altamente positiva: il progresso e la società industriale creata dal lavoro proletario, le scienze e la tecnologia. Sovente, il comunismo è stato perciò concepito come la semplice continuazione delle "acquisizioni" del capitalismo, portata avanti da altri soggetti e per mezzo di un altro regime di proprietà, e non come una profonda rottura. La valorizzazione positiva del "soggetto" nelle teorie di emancipazione tradizionali presupponevano che il soggetto era la base del superamento (e non la base dello sviluppo) del capitalismo e che bisognava aiutare il soggetto a dispiegare la sua essenza, a sviluppare il suo potenziale, soggetto che in quanto tale non ha niente a che vedere con il sistema di dominio. La rivoluzione avrebbe permesso allora, per esempio, di estendere il lavoro a tutta la società, facendo di ciascuno un lavoratore. Tutt'al più, avrebbero dovuto sbarazzarsi di qualche influenza corruttrice; ma non c'era bisogno di mettere in discussione la loro esistenza in quanto operai, lavoratori informatici, ecc. La speranza rivoluzionaria nel soggetto non si domanda cosa costituisca questo soggetto e se esso non contenga, nella sua struttura profonda, degli elementi del sistema delle merci, cosa che spiegherebbe la sorprendente capacità di questo sistema di perpetuarsi, di rigenerarsi e di "recuperare" i suoi critici. La sostanza di questo soggetto può essere descritta in modo diverso, e perfino in maniera opposta. Per il movimento operaio tradizionale, si tratta del lavoro produttivo che è la medaglia del proletariato; per l'estrema sinistra degli anni settanta, poteva trattarsi della resistenza al lavoro, della creatività personale, del "desiderio". Ma la struttura concettuale rimane identica: lo sforzo rivoluzionario al fine di permettere alle questioni fondamentali del soggetto di emergere e trionfare contro le restrizioni che gli vengono imposte da una società artificiale che serve solo gli interessi di una minoranza.
Alla ricerca del famoso "soggetto rivoluzionario": sono stati indicati, di volta in volta, gli operai, i contadini, gli studenti, gli emarginati, le donne, gli immigrati, le popolazione del sud del mondo, i lavoratori "immateriali", i lavoratori precari. Questa ricerca era destinata al fallimento; ma non perché non esista il soggetto, come predicano lo strutturalismo ed il post-strutturalismo. I soggetti esistono assai bene, ma non sono l'espressione di una "natura umana", anteriore ed esterna ai rapporti capitalisti; sono il prodotto dei rapporti capitalisti che, in cambio, riproducono. Gli operai, i contadini, gli studenti, le donne, gli emarginati, gli immigrati, i popoli del sud del mondo, i lavoratori immateriali, i precarizzati, di cui la forma-soggetto, con il suo modo di vita, le sua mentalità, le sue ideologie, ecc., viene creata o trasformata dalla socializzazione di mercato, non può essere mobilitata, in quanto tale, contro il capitalismo. Di conseguenza, non ci possono essere delle rivoluzioni operaie, contadine oppure di precarizzati, ma solo delle rivoluzioni di coloro che vogliono farla finita col capitalismo e colla forma-soggetto che gli viene imposta, e che ciascuno ritrova in sé stesso.
"Invece di chiederci, come fanno gli ecologisti: che mondo lasceremo ai nostri figli? Dovremmo domandarci: a quali bambini lasceremo questo mondo?" (Jaime Semprun).

martedì 6 settembre 2016

Democrazia, ovvero la dittatura della maggioranza

Molte persone (ma per fortuna sempre meno) si lasciano affabulare dalla terminologia utilizzata dalla politica di Stato, pensando davvero che quest'ultimo sia un'entità buona che accudisce amorevolmente i cittadini. Ecco che persino una delle menzogne più grandi, cioè la democrazia, diventa per queste persone miraggio di libertà.
La democrazia non è mai esistita, per il semplice motivo che là dove ci fosse un'autorità del popolo, lo Stato e i suoi governi non avrebbero motivo di esistere. Ancora peggio è la democrazia rappresentativa (la nostra), dove gli elettori affidano la propria vita, le decisioni più importanti per l'intera comunità, a perfetti sconosciuti che mirano esclusivamente all'arricchimento personale e a godere dei privilegi. Come può un tizio con queste mire, che neppure conosce il vostro nome e la vostra stessa esistenza, farsi carico dei vostri problemi e di quelli di milioni di cittadini? Credete o aspettate ancora che un San Francesco possa candidarsi a premier? Non è successo in 2000 anni, mettetevi il cuore in pace.
La democrazia è una vera dittatura, quella di una maggioranza che impone la sua scelta ad una minoranza. Questo metodo potrebbe andare bene (ma neanche tanto) per le futili questioni, ma quando si tratta di scegliere in nome di tutto un popolo, di decidere sui problemi esistenziali di tutti, problemi anche gravi e critici, la decisione di una sola parte di popolo rischia di essere un oltraggio e una grave ingiustizia per l'altra parte, come sempre avviene. Questo non è corretto, non è umano, non è solidale, non è politica.
Tempo fa abbiamo assistito alle vicende legate a una decisione importante di fabbrica, al voto relativo al ricatto Marchionne. Quel voto, non soltanto finì per mettere il cappio al collo a quella parte di operai che non volevano cadere nella trappola, ma fu decisivo per tutti gli operai d'Italia. Si parlò di “modello Marchionne”. Non è giusto, ma è proprio questa la dittatura della maggioranza.
Ci stupisce il fatto che nessuno si ponga almeno un dubbio sul motivo per cui un certo Licio Gelli, fascista, abbia denominato il suo piano criminale “di rinascita democratica”. E ci stupisce anche il fatto che nessuno si sia posto la domanda: ma perché sia la destra sia la sinistra parlano di democrazia? Ancora di più ci stupisce il fatto che nessuno si sia dato una risposta o, se se l'è data, faccia finta di nulla. E inoltre: perché i despoti e gli imperialisti parlano di democrazia? Ma davvero pensate che i governanti vogliano un governo del popolo? Non vi sembra un controsenso?
Certo, alcuni di voi pensano che non vi sia alternativa, che non vi siano altre soluzioni. Forse pensate davvero che la democrazia abbia dei difetti, ma siete rassegnati. Alcuni di voi addirittura difendono la democrazia e la osannano, la invocano. Abbiamo persino sentito dire: “io esigo la democrazia”. Ma eccovela, la democrazia, non è mai stata più viva e “rinata” come adesso, con questo governo (ispirato dai banchieri). Chi inneggia alla democrazia, non sa che sta chiedendo di essere uno schiavo. Siete accontentati. Questa è la democrazia, nella sua migliore espressione. Perché vi lamentate? Leggete ancora.
Quando i nostri nipoti, lavorando in fabbrica, si chiederanno il motivo per cui debbano vedersi negato il diritto di sciopero; quando si domanderanno il motivo della loro immane fatica a sopportare orari inumani; quando si accorgeranno di somigliare a servi, piuttosto che a lavoratori, dite loro che fino all'anno 2010 gli operai lavoravano nel pieno dei diritti conquistati con il grandissimo sacrificio dei loro avi, i quali, in lunghi anni di lotte, morti e scioperi, cortei e proteste, non hanno mai voluto cedere ai ricatti, con orgoglio e a testa alta, con la fierezza di essere anzitutto persone, non schiavi. Dite loro che il loro dolore, causato dall'annientamento della persona in quanto tale, risiede nella decisione maturata da un ricatto messo ai voti, valutato secondo “democrazia”. Ma dite anche che la colpa di quel risultato referendario non è stata dei votanti, ma del metodo imposto, dove SEMPRE la minoranza subisce le decisioni della maggioranza. Dite loro che la democrazia non è mai esistita, che semmai è solo una bella parola usata per vendere fumo e creare oppressione.
L'anarchia è una alternativa politica allo status quo, e bandisce sia la democrazia, sia la dittatura.