..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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sabato 30 aprile 2016

Primo maggio: non c’è proprio niente da festeggiare!

Non è proprio possibile parlare di festa del Primo Maggio. Il primo pensiero degli anarchici è infatti rivolto ai martiri di Chicago dove nel 1886 sette anarchici vennero ingiustamente condannati e successivamente impiccati con l’accusa di aver fatto scoppiare un ordigno durante un comizio di lavoratori. È trascorso oltre un secolo e da allora le cose non sono poi cambiate di molto, la repressione e il controllo si sono ancor più inaspriti facilitati dalle nuove tecnologie su chi lotta contro le ingiustizie sociali. Un pensiero particolare è rivolto a tutte le vittime strappate alla vita dalla violenza capitalista per sbarcare il lunario, morti inutili stritolate dall’ingranaggio del capitale.
Le devastanti politiche dei governi passati e non da ultime dell’attuale governo Renzi stanno sferrando colpi micidiali su chi tenta con unghie e denti di difendere la propria esistenza e i propri diritti di umani. In men che non si dica ci si può vedere tagliati i servizi primari come acqua luce e gas come previsto dall’articolo 5 del decreto Renzi denominato “piano casa”. Questo significa lasciare interi nuclei familiari con molti bambini abbandonati alle proprie esistenze negando loro un tetto ed ogni dignità di vita. Lo sfruttamento umano è la logica del profitto,tutti contro tutti, è stata creata una vera guerra tra poveri, giorno dopo giorno le nostre vite sono continuamente messe a rischio annullandole come biglietti da obliterare. Nessuno è escluso da questo gioco al massacro, anche chi solo fino a poco tempo fa si sentiva al sicuro delle proprie condizioni economiche e sociali oggi non lo è più tartassato vessato e derubato dal potere delle lobby bancarie.
Ormai vivere è un lusso, ogni diritto viene negato, è doveroso prendere atto della situazione e lottare contro chi affama e sfrutta prendendo per la gola col ricatto salariale, il tutto nel nome di una democrazia legittimata col consenso del voto, quella democrazia con la quale i politici sanno solo riempirsi le bocche la quale consente solo di dissentire sulla carta ma poi è subito pronta a brandire il bastone non appena si scende in piazza per rivendicare i propri diritti di umani. La parola d’ordine per il governo è tagliare e reprimere, si taglia sulla sanità, si taglia sul sociale, vengono tagliate le pensioni e i posti di lavoro, ma, al contempo si trovano soldi per costruire opere inutili probabilmente per giustificare e riciclare soldi provenienti da chissà dove, ma non solo, si salvano le banche con i nostri stessi soldi. Anche la sanità sta diventando un lusso, curarsi è impossibile, un piano prestabilito e ben congegnato che volge alla privatizzazione, in altri termini quella ché è una necessità primaria che dovrebbe essere garantita ad ogni essere umano è in realtà riservata solo a pochi privilegiati. 
Non esistono governi buoni, non ce ne sono mai stati e mai ce ne saranno.. Abbiamo tutti quanti il dovere di ribellarci a questa situazione drastica e di porre fine a questa barbarie riappropriandoci di ogni diritto umano per la costruzione di un mondo nuovo senza sfruttatori e sfruttati contro chi parla di pace e al contempo promuove e finanzia guerre in nome della legge e della democrazia rifiutando la chiamata alle urne che da oltre 70 anni non fa altro che rinnovare gli sfruttatori di turno che si avvicendano al potere. Questo Primo Maggio invitiamo tutti alla partecipazione e ad una seria riflessione affinché i termini pace amore e libertà possano quanto prima concretizzarsi e poter trovare i loro giusti significati e la loro giusta applicazione.

“Se mille uomini non pagassero le tasse quest’anno, ciò non sarebbe una misura tanto violenta e sanguinaria quanto pagarle e permettere allo Stato di commettere violenza e di versare sangue innocente. Questa è, di fatto, la definizione di una rivoluzione pacifica.”
(Henry David Thoreau)

Verso un 1° maggio di lotta - Un manifesto al giorno - 3


giovedì 28 aprile 2016

1° Maggio 1886 – 1° Maggio 1905

AMMAINA!

1° Maggio 1886                              1° Maggio 1905
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Ammaina, proletario, la tua bandiera ed attendi....!
Sì, attendi!
Parlare oggi di Primo Maggio è parlare di una cosa che fu, di una cosa che ebbe un grande significato, una importanza preponderante .... ma che si perde nelle brune dei ricordi, gloriosi, ma pur sempre ricordi.
Ebbe la sua origine in America, ebbe il suo battesimo di sangue a Chicago prima, indi in Francia, in Italia, in Ispagna, un po' ovunque alitò più energico, più virile il sentimento rivoluzionario, lo spirito di ribellione rivendicatrice.
Come nacque?
Fu nel 1885 che, negli Stati Uniti, si decise di festeggiare il Primo Maggio e fu scelto quello del 1886 come data della grande manifestazione dei lavoratori medesimi per la giornata di otto ore.
Si comprese allora che una simile manifestazione non doveva restare platonica: un movimento di rivendicazione doveva unirsi ad essa e completarla nel suo significato più alto, di guerra al capitale
Come base di conquista operaia, fu posta la giornata di otto, ore di lavoro, ciò che significava allora un assalto vivace ai bastioni della rocca borghese.
E notorio come il Primo Maggio 1886, fu festeggiato nei grandi centri industriali dell'America, e come Chicago, il focolare rivoluzionario degli Stati Uniti rispondesse all'appello: al Primo Maggio 1886 tutti gli operai di Chicago abbandonarono il lavoro per la conquista della giornata di otto ore, decisi a non rientrare nelle officine che a vittoria completa.
L'atto fu bello, ammirevole per la spontaneità e compatezza dello slancio!
Questo urtò la sensibilità delle classi dominanti che compresero quanti tesori di energia e di volontà si trovino nelle classi operaie. Compresero che il regno loro barcollava sulle proprie basi.
Tentarono di soffocare, nel sangue, la grande manifestazione.
Il 3 maggio, mentre numerosi scioperanti si trovavano davanti alla porta della fabbrica di macchine di Mac Carmich, in attesa della sortita degli scabs", una masnada di poliziotti li assalì, scaricando i revolvers a bruciapelo. All'aggressione poliziesca risposero gli scioperanti, ma soprafatti dal sopraggiungere di altri poliziotti armati, dovettero ritirarsi, lasciando morti e feriti.
All'indomani L'Alarm e L'Arbeiter Zeitung, editi da Parsons e Spies, pubblicaron il seguente appello alla rivolta:
"La guerra di classe è cominciata. Ieri si fucilarono i lavoratori di fronte allo stabilimento di Mac Cormich. Il loro sangue grida vendetta!
Il dubbio non è più possibile! Le tigri che ci governano sono avide del sangue dei lavoratori!
Ma i lavoratori non sono delle pecore ed al terrore bianco, risponderemo col terror, rosso.
Meglio la morte che vivere nella miseria! Poiché si fucilano i lavoratori rispondiamo in modo che i nostri padroni abbiano a ricordarsene per lungo tempo.
La necessità ci impone di impugnare le armi!
Ieri, mentre le mogli ed i bimbi piangevano gli sposi ed i padri caduti sotto la mitraglia, nei sontuosi palazzi i ricchi riempivano i loro bicchieri di vini prelibati e brindavano alla salute dei banditi dell'ordine….
Asciugate le vostre lacrime," donne e  bimbi che piangete!
Abbiate cuore, schiavi! Insorgete!"
Questo appello fu inteso. La lotta continuò e non prese fine che a soddisfazione ottenuta. L,a giornata di otto ore di lavoro. fu conquistata dalla più gran parte di quei lavoratori; ma Parsoli, Spies, Fielden, Schwab, Neebe, Fischer, Ling ed Engel, pagarono colla propria vita, colla propria libertà lo slancio rivoluzionario della folla.
Salve a queste vittime, ancora in vendicate, della società borghese!
Dall'America, il Primo Maggio passò in Europa; l'aureola di gloria e di martirio che lo circondava, lo rese accetto a quanti avevano sentimenti schiettamente rivoluzionari.
Al Primo Maggio 1890, si inaugurò, in Europa, questa data, coll'astensione dal lavoro di migliaia di lavoratori. Tremarono i governi, malgrado il ramo di biancospino il Maggio riportato dai campi dalla giovane Maria Blondeau ed il vessillo tricolore sventato dal giovane Gilotoaux, nel 1891 a Fourmies; tremarono, alla grandiosa manifestazione organizzata, per lo stesso giorno, partecipe Amilcare Cipriani, a Roma; tremarono alla visione rossa dello spettro della rivoluzione che passava.
Fu breve la paura dei borghesi. Al battesimo di sangue, successe l'addomesticazione, la viltà, l'intrigo.
La manifestazione del Primo Maggio, fu dai politicanti, mercé i loro intrighi resa ufficiale.
Il Primo Maggio, non è oggi che una festa di più inscritta nei calendari esso non è più nostro, non è più dei lavoratori che lo crearono e lo fecondarono del loro sangue. Potrà servire ancora ai pagliacci della politica, ai cacciatori dei seggi parlamentari, agli arlecchini amanti delle parate ufficiali di governo o di partito. Per noi, non deve essere che giorno di raccoglimento, di ricordo; giorno di meditazione sulla fragilità delle convinzioni dei pretesi rappresentanti del popolo, di ricordo a coloro che la loro vita diedero in olocausto alla causa della rivoluzione.
Ammaina! ammaina la tua bandiera, passa una triste ora di domesticità e di viltà; la rialzeranno in faccia al sole ed ai venti i lavoratori del mondo quando insorgendo contro tutte le schiavitù e tutte le menzogne inaugureranno la nuova primavera umana, la santa pasqua proletaria della rivoluzione e della risurrezione.
A. Cavalazzi,

Questo articolo, apparso su “Cronaca Sovversiva”, settimanale anarchico americano indipendente pubblicato a Barre (nel Vermount, U.S.A.) il 29 aprile 1905, sta a dimostrare che già 100 e più anni fa le forze antirivoluzionarie hanno trasformato quella che doveva essere una giornata di lotta in una giornata di “festa” e di inganni dove, a tutt’oggi, politici e sindacalisti di turno insieme ai padroni, dopo aver sfilato in testa ai cortei dei lavoratori (come se lavoratori fossero anche loro), sono gli unici che hanno il diritto di salire sui palchi per tenere comizi, vomitando i soliti fiumi di promesse e di menzogne ai lavoratori che, ahimè, ancora oggi credono nei cambiamenti proposti dai venditori di fumo, da chi ci governa, da chi ci sfrutta e da chi ci rappresenta.



Verso un 1° maggio di lotta - Un manifesto al giorno - 1


mercoledì 27 aprile 2016

L'età comunale di Petr A. Kropotkin

Secondo Kropotkin, se si osserva la genesi dell’età medievale si potrà agevolmente constatare la sostanziale identità dello spirito societario presente nella formazione dei Comuni. Si potrà altresì accertare la creatività popolare sotto il segno di una fiorente spontaneità comunitaria che pervase tutte le istituzioni cittadine. Le città, infatti, non furono organizzate secondo un piano prestabilito, per volontà esterna di un legislatore, fosse questi un capo militare, un politico o un religioso. Nacquero e si svilupparono, invece, in perfetta autonomia le une dalle altre, e ciò spiega la grande diversità di forme che le attraversa. E tuttavia queste creazioni indipendenti non possono nascondere l’universale tendenza dell’umanità che si palesa, ad esempio, nelle comuni istituzioni, dalle assemblee di popolo al defensor civitatis, dalle corporazioni di mestiere alle organizzazioni di sussistenza. In esse è sempre operante una sostanziale identità d’origine, tanto che si può parlare delle città del medioevo come di una fase ben definita della storia dell’uomo.
L’età comunale raffigura, in generale, un modello societario fondato sull’autonomia e sulla decentralizzazione. Testimonia un epoca di libertà e creatività popolare, di autonoma iniziativa individuale e di spontanea edificazione collettiva, premesse fondamentali per una democrazia dal basso e per un esercizio effettivo del potere da parte del popolo. Lo stesso sentimento nazionale, inteso come senso di appartenenza organica ad una comunità etnica e culturale, nasce dalla libera federazione della città e dei Comuni. Non è il potere della spada secondo Kropotkin, a fondare la nazione, ma la spontanea coesione culturale sedimentatasi nel corso dei secoli. Ugualmente non sono le grandi personalità politiche, militari e religiose a costituire la linfa vitale della storia, la sua ricorrente fecondità creativa, ma, al contrario, le masse anonime popolari che con le loro migliaia di atti quotidiani di concreta e spontanea solidarietà collettiva contribuirono alla costruzione societaria, a stratificare, cioè, nel corso dei secoli, quella civiltà selezionata di pratiche, di consuetudini e di saperi che globalmente costituiscono il working in progress della perfettibilità umana. 

lunedì 25 aprile 2016

I fatti di Sarzana per un 25 aprile diverso

I fatti di Sarzana rappresentarono uno dei pochi episodi di resistenza armata all'ascesa del fascismo in Italia.
Il capo riconosciuto delle squadracce fasciste nello spezzino era Renato Ricci, ex-legionario e futuro onorevole: fra le altre imprese, fu lui a guidare personalmente una spedizione punitiva contro i centri di Pontremoli e di Sarzana (12 giugno 1921). La reazione popolare antifascista fu allora così decisa che gli squadristi furono costretti a ripiegare, e le autorità non poterono fare a meno di arrestare il Ricci e di rinchiuderlo nelle carceri di Sarzana.
Privati momentaneamente del loro capetto locale, i fascisti decisero di liberarlo, e soprattutto di dare una storica lezione alla popolazione di Sarzana, scelta come simbolo della lotta dei “sovversivi” contro la reazione padronale e fascista. Il mattino del 21 giugno 1921, gli squadristi guidati da Amerigo Dumini (uno dei più noti criminali fascisti, futuro correo nell'assassinio del deputato socialista Matteotti), calarono da molte province della Toscana nelle zone circostanti Sarzana, preparandosi ad attaccarla in forze. Prima di entrare in Sarzana, furono informati che nel paese di Arcola (La Spezia) un loro camerata, tal Procuranti, era stato ucciso, subito iniziarono la spedizione punitiva, compiendo violenze ed uccidendo un contadino a Santo Stefano Magra (La Spezia). Giunti a Sarzana, i fascisti si concentrarono alla stazione ferroviaria per inquadrarsi bene e per sferrare l'attacco; fu allora che accolsero sparando 7 carabinieri e 4 soldati, che, comandati dal capitano Jurgens si erano schierati per fermare la spedizione fascista.
Dopo il breve scontro a fuoco con le forze dell'ordine, i fascisti si trovarono a dover affrontare l'assalto armato da parte degli Arditi del Popolo che, organizzati dall'anarchico Ugo Boccardi detto “Ramella”, dettero per primi il benvenuto ai fascisti. Ma non furono i soli, poiché sopraggiunsero presto gli arsenalotti, cioè quei lavoratori che ogni mattina prendevano il treno da Sarzana a La Spezia per recarsi a lavorare all'arsenale spezzino. Quel treno quotidiano, infatti, quella mattina non era partito, nell'attesa del previsto attacco squadrista; l'intera popolazione partecipò alla sollevazione contro le camicie nere, che ebbero dei morti e furono costrette a cercar scampo nelle campagne circostanti. Ma anche qui non trovarono sorte migliore, anzi i contadini (anch'essi perlopiù anarchici, e comunque decisamente antifascisti), collaborarono con gli Arditi del Popolo alla cattura degli aggressori, molti dei quali furono uccisi. Si parlò allora di circa venti fascisti uccisi, e così afferma anche la storiografia ufficiale, ma da testimonianze pervenute da compagni che erano presenti ai fatti risulta che furono molti di più. Ad ogni modo resta la realtà della grande vittoria popolare di Sarzana, che, con la collaborazione degli Arditi del Popolo prontamente giunti dai centri circostanti, segnò un duro colpo alla violenta protervia fascista.
Pochi giorni dopo, però, firmando il Patto di Conciliazione con i fascisti su scala nazionale, i socialisti contribuiranno a disarmare il popolo, lasciandolo inerme vittima dello squadrismo fascista. La stessa responsabilità toccherà ai comunisti, da pochi mesi costituitisi in partito, che preferiranno ritirare i propri militanti dagli Arditi del Popolo pur di non collaborare con gli anarchici.

domenica 24 aprile 2016

Torino 24 aprile 1945

 Il 24 aprile 1945 il compagno Ruju, partigiano della 23a Divisione autonoma “Sergio De Vitis”, fu inviato ad Avigliana alle porte di Torino, per organizzare la resistenza e la difesa di alcuni stabilimenti industriali.
Giunto sul posto, mentre cercava di contattare alcuni giovani antifascisti incrocia una pattuglia tedesca e approfittando di un attimo di disattenzione dei nazisti li cattura e li porta a Giaveno dove già si trovavano altri tedeschi arrestati.
Quando tornò ad Avigliana gli si fece incontro il parroco che lo implorò di restituire i tre prigionieri perché altrimenti la città sarebbe stata distrutta alle due del pomeriggio di quella stessa giornata.
Recatosi subito al comando tedesco accompagnato da due pubblici funzionari, il compagno Ruju ebbe modo di parlare con il comandante; questi lo pregò di liberare i tre soldati catturati perché, altrimenti, sarebbe stato costretto ad ordinare la distruzione della città secondo gli ordini ricevuti dalla 5a divisione Alpina. Il compagno Ruju gli fece notare che 10.000 partigiani circondavano il centro e che allo scadere di 30 minuti sarebbero passati all’attacco; non solo, ma gli eventuali tedeschi superstiti sarebbero stati considerati criminali di guerra e quindi passati per le armi.
Tutto ciò era un bluff, ed i 10.000 partigiani esistevano solo nella mente di Ruju. Ma il comandante gli credette e si arrese con i 500 uomini del suo presidio, consegnando tutte le armi ai partigiani.
Per questo episodio lo Stato democratico volle decorare Ruju con una croce al valor militare, ma il partigiano rifiutò l’inutile decorazione come fecero altri partigiani anarchici per testimoniare nuovamente la loro fede anarchica.

sabato 23 aprile 2016

Ragionare con la propria testa, camminare con le proprie gambe

I conflitti che avvengono tra gli uomini non sono sempre combattuti con armi fisiche, ma assai spesso con armi psicologiche (non per niente gli uomini si distinguono dalle bestie!) le quali colpiscono ed uccidono come le prime. Il potere versa sui suoi nemici montagne di menzogne, favole, esagerazioni e pregiudizi. Ora, la propaganda non è che un surrogato della lotta e come tale miete le sue vittime. A lungo andare la pressione deformante della falsità propagandistica finisce per avere ragione del vero e del giusto.
Capisco che è difficile parlare con un linguaggio diverso da quello inculcato dai potenti e che non è facile imparare su due piedi un linguaggio “proprio”. Bisogna intendersi sul significato delle parole, bisogna imparare a distinguere i fatti tra loro. Bisogna sempre più liberarsi da tutto ciò che ci è stato “fissato” come un chiodo dai nostri governanti, dalla chiesa, dai poteri forti; non accettare niente per sola consuetudine, ma passare tutto al vaglio rigoroso della ragione, non riconoscere limiti di giudizio imposti da una qualsiasi fede (che non sia fede ragionata nel sentimento), non aver paura dei dubbi. “Ragionare con la propria testa, camminare con le proprie gambe”, mi diceva mio padre.
L’inerzia trascina con se atteggiamenti dell’infanzia, cioè quelli che ci furono infusi sin da quando eravamo  piccoli, quando non avevamo alcuna capacità critica, insomma nessun dispositivo di sicurezza della nostra coscienza. In questo modo si diventa portatori di materiale che non ci appartiene, che non è nostro, che ci è stato addossato da altri per calcolo o (se fatto in buana fede) per ignoranza, anche se l’abbiamo scambiato per roba nostra e l’abbiamo difeso a spada tratta. Non può essere nostro ciò che contraddice al nostro sviluppo essenziale. Ci si trova a vivere un grande paradosso: difendere ciò che non è nostro, difendere ciò che è contro di noi. Nel bagaglio dell’infantilismo che ciascuno si porta con se c’è qualcosa rivolta contro noi stessi che noi dobbiamo estirpare senza pietà.
Fin da piccoli, tramite la scuola, i media, la chiesa, ci hanno persuaso che senza lo Stato non possiamo vivere, che senza padrone non abbiamo lavoro, che se non credi in Dio patirai le pene dell’inferno, che se non deleghi la tua vita a qualcuno non avrai un futuro, che gli anarchici, i sovvertitori dell’ordine pubblico sono pericolosi, generatori di caos, violenza e che vogliono distruggere tutto; avete mai pensato che tutto questo potrebbe essere falso? Avete mai pensato che siamo stati presi in giro e avvolti dalle menzogne fin da quando eravamo in fasce? Un proverbio siciliano recita :«pietra smossa nun pigghia lippu», sulla pietra che si muove non cresce il muschio. Tutto ciò che è vivo non si atrofizza, il muschio cresce solo sulle pietre ferme. Una società, oppure un individuo, non deve mai smettere di ricercare, di pensare, di vivere intensamente, pena la morte. Lo Stato, ogni potere, cerca di appiattire i cervelli, di bloccare il pensiero, di impedire la libertà di espressione, di incanalare le energie della società per sfruttarle ai suoi fini oppure spegnerle.
L’uomo può dirsi veramente maturo e, in tal senso, colto, quando ha ricostruito se stesso su basi razionali.

martedì 19 aprile 2016

Il mutuo appoggio di Petr A. Kropotkin

Per spiegare il mutuo appoggio Kroptkin considera centrale demistificare la concezione conflittualistica del mondo (bellum omniun contra omnes che va da Hobbes a Huxley): qualora infatti risultasse che essa risponde a verità, sarebbe impossibile pensare ad una società anarchica che, al contrario pone l’armonia, l’uguaglianza e l’amore tra gli esseri umani quali premesse indispensabili per il suo stesso costituirsi.
Kropotkin afferma che il mutuo appoggio tra gli individui è un fatto della più alta importanza per il perpetuarsi della vita, per la conservazione di ogni specie e per il suo superiore sviluppo, anzi è il fatto dominante in natura, per cui vi sono migliori probabilità di sopravvivenza per quelli che sanno meglio aiutarsi nella lotta per la vita. La solidarietà tra gli esseri viventi è una legge della natura ed un fattore dell’evoluzione progressiva, tanto da poter dire che la guerra di ciascuno contro tutti non è la legge della natura.
Kropotkin ha cura di precisare, naturalmente, che l’aiuto reciproco all’interno di ogni specie non costituisce il fattore dell’evoluzione, ma uno dei principali fattori; esso è una legge della natura quanto la lotta, e a differenza di Darwin e del darwinismo, nega che il conflitto tra gli individui all’interno della stessa specie costituisca la condizione generale dell’evoluzione, anche se ammette l’esistenza del conflitto tra le specie.
Kropotkin quindi vede una correlazione strettissima tra la pratica del mutuo appoggio e la tendenza associativa, nel senso che queste forme sono aspetti di un’unica realtà: quella della vita in generale. La vita animale è di per se stessa eminentemente sociale. L’associazione è la regola, la legge della natura perché si riscontra in tutti i gradi dell’evoluzione, essendo all’origine stessa dell’evoluzione nel regno animale, tanto da delinearsi come l’arma più potente nella lotta per la vita, intesa nel senso più largo del termine. Ugualmente la vita umana risponde alla medesima tendenza. Poiché non esiste soluzione di continuità tra il regno animale e quello umano, ne deriva che in quest’ultimo l’associazione, oltre ad assumere le stesse funzioni, diventa più cosciente. Essa perde il carattere semplicemente fisico, cessa di essere unicamente istintiva, diventa ragionata.

Puoi scaricare IL MUTUO APPOGGIO di P. A. KROPOTKIN collegandoti al seguente link:

domenica 17 aprile 2016

Né Dio né Stato, né servi né padroni [parte 3]

… né servi né padroni

Le banche rappresentano una forma di di potere non soltanto economico. Sono proprietarie di beni di ogni tipo: alloggi, industrie, società. Controllano l'economia, condizionano le politiche degli Stati, e con le regole attuali della finanza mondiale sono uno degli elementi del dominio planetario del capitale. La loro etica è rappresentata dal denaro e dal potere, la loro pratica è tutta improntata al ricatto e al sopruso. Bertolt Brecht, un drammaturgo tedesco della prima metà del novecento, giustamente diceva che il vero ladro non è lo scassinatore di una banca ma il fondatore della banca stessa. Le banche hanno rovinato e continuano a rovinare milioni di individui, non solo i propri clienti ma tutti quelli colpiti indirettamente dalle loro iniziative.
Noi anarchici vogliamo l'abolizione del denaro. Ovvero, vorremmo che fosse instaurato un sistema in cui non si sentirà la necessità di accumulare oggetti, beni e denaro per possederli, poiché di ogni cosa sarà data a chiunque la possibilità di goderne, e questo eliminerà l'accumulazione di tipo privato che oggi è all'origine delle ingiustizie.
Nella società egualitaria, avendo ognuno la possibilità di soddisfare i propri bisogni, non avrà più alcun senso la proprietà privata, cesserà ogni possibilità per chiunque di arricchirsi. Diciamo pure che a nessuno interesserà farlo. Il denaro che oggi determina posizioni di potere e di privilegio e, di conseguenza, di subalternità e di povertà, non avrà ragione di esistere, così come la banche. In questo tipo di società tutto sarà più semplice; provate solo a pensare quanti oggetti di consumo oggi vengono inventati, prodotti e commercializzati per la soddisfazione di bisogni che generano alienazione, schiavitù fisica (con il lavoro) e culturale nei confronti di questo sistema… Oggetti, mode e miti utili solo a permettere l'accumulazione di ricchezza ad una fetta ristretta di popolazione agiata. Auto che sfrecciano a 300 all'ora, appartamenti sfarzosi, abiti super costosi, gioielli e accessori dal costo spropositato perderanno ogni valore, ogni interesse. La vita tornerà ad essere normale, una volta liberata dalle spinte egoistiche di una società produttrice di merci, che ha mercificato anche le nostre esistenze per poter esercitare su di esse il più bieco controllo. E non crediate che per questo sarà una vita meno interessante, anzi. Eliminata la schiavitù indotta dal sistema capitalistico, sarà molto più ricca in quanto sostituirà al pagamento materiale la soddisfazione individuale, la completezza dell'essere, il godimento della libertà, la gioia di vivere. Non sarà più una vita vissuta contro qualcuno per affermare una propria ingorda individualità, ma con tutti gli altri, nello sforzo comune di realizzare una società quanto più vicina possibile all'ideale dell'uguaglianza sociale.
In una società libera e senza denaro non esisteranno più né servi né padroni.


venerdì 15 aprile 2016

La lotta paga! I referendum, invece…?

Il 17 aprile, i cittadini sono invitati a recarsi alle urne. Non dovranno questa volta scegliersi i propri padroni (vicini o lontani), o almeno non direttamente. Dovranno esprimersi in materia di trivellazioni petrolifere in acque nazionali entro le 12 miglia marine.
I buoni samaritani dell’ambientalismo, della sinistra (o di quel che ne resta), dell’associazionismo sono già lì, pronti, per la grande pantomima della “partecipazione”: “Tutti a votare SI contro le trivellazioni”, ci dicono in coro… Peccato che si tralasci il fatto che l’unico quesito referendario ammesso alla consultazione riguardi il periodo di concessione dei permessi di estrazione di gas e petrolio in mare, con una domanda che recita più o meno cosi: “vuoi che le compagnie petrolifere continuino ad estrarre gas e petrolio nei pozzi già attivi in mare entro le 12 miglia marine anche dopo la fine del periodo di concessione del permesso oppure no?”. Nulla si dice circa i permessi sulla terraferma già esistenti e su quelli a venire, nulla su quelli a mare già esistenti o a venire oltre le 12 miglia. Vi sembra che risolva la questione?
“I referendum sono lo strumento per eccellenza per esercitare la Democrazia”. Peccato che, se non ci si vuole proprio rifare alle esperienze storiche in cui il referendum ha sancito il definitivo recupero/normalizzazione di antagonismi sociali e tensioni emancipatrici, basta sfogliare un manuale di diritto qualsiasi per rendersi conto che quello del referendum è solo un blando correttivo (con una serie infinita di limitazioni e cavilli) della democrazia rappresentativa.
Completamente scevro da qualsiasi velleità di democrazia diretta il mezzo referendario, lungi dal voler scavalcare o depotenziare il potere legislativo/esecutivo, per riconsegnarlo alla gente, è in realtà il suo potenziamento e la sua riconferma. A maggior ragione se il quesito referendario non è frutto o espressione della volontà popolare o di movimenti popolari, ma figlio delle beghe insite nei palazzi del potere della politica nazionale e regionale. Sono state alcune regioni ad indire il referendum, le stesse che fino a qualche tempo fa, prima di vedersi scippare potere decisionale in materia di trivelle, si prodigavano tanto diligentemente nell’aprire le porte ai petrolieri!
“Questo referendum ci darà la possibilità di diffondere il verbo NoTriv”. Se ci si riferisce ai mezzi di comunicazione, sappiamo bene come essi funzionino, così come sappiamo che parecchie aziende del settore energetico contribuiscono a definire bilanci, e quindi contenuti, delle testate giornalistiche e dei canali televisivi; se ci si riferisce alla possibilità di organizzare iniziative pubbliche ed informative sulla questione trivellazioni, non riusciamo a capire come il referendum in questione possa incidere ulteriormente, su ciò che già si fa o, semplicemente, si dovrebbe fare, anche senza l’appuntamento referendario
“Vinceremo”, ci dicono i nostri. “Ma cosa?” chiediamo noi! Il referendum sull’acqua pubblica è stato vinto. Ma l’acqua è pubblica? Il referendum dell’86 sul nucleare è stato vinto. Ma ciò ha impedito che si provasse di nuovo ad introdurre il nucleare in Italia (scongiurato dalla tragedia di Fukushima) solo qualche anno fa ?
La Storia ci insegna che tutto ciò che può essere considerato un progresso ed un tassello ulteriore nell’emancipazione dell’Umanità è stato conseguito sulla strada della Lotta. E che chiunque abbia abbandonato questa strada, ha conseguentemente abbandonato la volontà di andare fino in fondo a dove questa strada portava.
Il 17 aprile c’è chi non andrà a votare. Per una serie infinita di ragioni. A chi farà lo stesso, a chi ci andrà “in maniera critica”, a chi ci andrà perché “sinceramente convinto che quella è la sola occasione per potersi esprimere”, chiediamo di cominciare a riflettere sul da farsi il giorno dopo. Quando il quorum non sarà raggiunto; quando sarà raggiunto ma avrà vinto il “NO”; quando sarà raggiunto il quorum, avrà vinto il “SI”, ma verrà disatteso; quando gli “interessi nazionali”, che poi, guarda caso, coincidono sempre con gli interessi dei padroni, abrogheranno ancora una volta quella “vittoria” referendaria, o semplicemente proveranno a materializzarsi per scavalcare i territori e la vita di chi li abita, come fanno tutti giorni in ogni parte del mondo in favore del profitto e dell’accumulazione capitalistica.
Quel giorno (che poi è già stato ieri, è oggi e sarà domani) resterà la Lotta. Organizziamoci!



giovedì 14 aprile 2016

Né Dio né Stato, né servi né padroni [parte 2]

… né Stato ...

Cresciamo in un ambiente ostile, che forgia i nostri cervelli, incanala l’educazione in modo da inibire la libertà e sviluppare la nostra subalternità a forme autoritarie: Dio, lo Stato, il partito, il Papa e così via.
Ci sono, comunque, individui che riescono a vincere la battaglia interiore tra autorità e libertà. In qualsiasi società c’è sempre chi riesce a dare forma al bisogno naturale di vivere in maniera libera, senza condizionamenti e senza sfruttare i simili. Noi anarchici siamo tra questi.
Attraverso una riflessione libera abbiamo messo a fuoco il funzionamento dei meccanismi di conservazione delle disuguaglianze e delle ingiustizie, siamo riusciti a costituirci in corrente di pensiero e in movimento per combatterli. Il nostro scopo è quello di “contaminare” tutti gli altri individui soggiogati da una cultura autoritaria (anche questo blog, nel suo piccolo, tenta di diffondere il “seme anarchico”).
Errico Malatesta, tornando ai cervelli forgiati, portava un esempio: provate a legare gli arti inferiori ad un bambino in tenera età e poi continuate a dirgli che egli non è in grado di camminare, che deve ringraziare quelle corde che lo legano se si regge in piedi. Egli crescerà ringraziando infinitamente quelle corde che lo legano perché gli evitano le cadute.
Ecco quelle corde rappresentano lo Stato. Sin dalla nascita ci dicono che senza lo Stato è impossibile vivere, che dobbiamo ringraziare lo Stato che ci offre la protezione, che ci aiuta e ci accompagna tutta la vita. Ma se un individuo nasce e cresce in un ambiente libero non avrà bisogno dello Stato e dell’autorità.
Nei secoli lo Stato si è affermato come l’organizzazione sociale più diffusa, come l’unico sistema politico in grado di assicurare l’organizzazione di un territorio e di un popolo, soddisfacendo le esigenze di dominio di monarchici, politici, religiosi e classi sociali privilegiate. Lo Stato moderno, quello che noi conosciamo, ha aggiunto alle tecniche tradizionali di dominio, rimaste nella sostanza immutate (scuola, chiesa, ecc.), anche meccanismi nuovi tale da rendere lo sfruttamento, insito nella sua natura, una cosa apparentemente accettabile, al passo coi tempi; ad esempio la capacità condizionante del consumismo, che crea uno stato di appagamento dovuto al possesso dei beni e di merci e perciò abbassa la presa di coscienza sui reali rapporti tra ricchi, potenti e subalterni, rendendo questi ultimi complici e difensori di un sistema che gli concede quel livello di comfort. Oppure la funzione dei mezzi di comunicazione di massa, i quali sotto la parvenza di libertà inculcano contenuti ideologici ben precisi e diffondono l’alienazione, il qualunquismo e la passività fatalista.
Società organizzate in maniera diversa sono sempre esistite, parallelamente con quella statale; nel Medioevo, ad esempio, nascevano le piccole città che preferivano trovare tra loro un legane di tipo federalista, che ne garantisse l’autonomia, mettendole in condizione, in caso di bisogno, di venire in soccorso le une alle altre attraverso un patto di mutuo appoggio. Questa idea di federalismo è stata la bandiera di tanti territori e popoli che non desideravano venire cancellati da una struttura centralizzata.
Il federalismo è una concezioni di relazioni politiche di tipo orizzontale, basate sull’autonomia e sull’indipendenza di ogni soggetto rispetto all’altro. Può essere applicato ad un ‘organizzazione sociale completamente alternativa a quella statale, ma anche a più stati o regioni per quanto riguarda il livello delle relazioni fra essi. È questa concezione di federalismo in campo politico, affiancato ad una concezione comunista in campo economico, ad aver animato alcune rivoluzioni dell’età moderna, come la Comune di Parigi del marzo 1871, la rivoluzione in Ucraina del 1917-18 durante la rivoluzione russa, oppure la più importante di tutte, quella che si è avvicinata di più alla realizzazione di una società senza Stato: la rivoluzione spagnola del 1936-39.
Lo Stato nasce invece per permettere ad una classe di dominarne un’altra.
Dobbiamo tentare di far aprire gli occhi alle vittime di questa società, di svegliare questo gigante addormentato che non ha coscienza della propria forza perché spesso non si rende conto neanche più di quali siano le catene che lo rendono schiavo.

mercoledì 13 aprile 2016

Né Dio né Stato, né servi né padroni [parte 1]

Né Dio …

Tutto ciò che può alterare lo stato psichico di una persona è una droga. La religione è una delle più potenti, se non la più potente, altera lo stato psichico condannando l'individuo ad una perpetua assuefazione, ad una dipendenza che lo porta a rinunciare alle proprie capacità di giudizio. Poi lo trasforma in una specie di soldato a difesa dell'ordine costituito, della tradizione autoritaria, del sistema di potere, sempre in prima linea contro ogni rivendicazione di maggiore autonomia, contro tutto ciò che è cambiamento, contro tutto ciò che è lotta al privilegio, perché tra i privilegiati in testa troviamo sempre gli alti dignitari della Chiesa. Credere in un Dio creatore e padrone di tutto ciò che esiste è innanzitutto rinunciare alla propria unicità come individuo. É porsi in una condizione di subalternità nei confronti di un'autorità, questo caso astratta, ma che nella sostanza viene vissuta in modo reale da milioni e milioni di individui. Se si crede in un Dio non si può certo desiderare la libertà, perché non si è liberi ma subordinati a questo essere presunto «creatore del cielo e della terra». La religione è una droga perché addormenta le coscienze, alimenta gerarchie divine e terrene, mantiene gli esseri umani nella soggezione e nella superstizione, quindi nell'ignoranza.
Se poi consideriamo le grandi religioni monoteiste, cristianesimo, Islam ed ebraismo, vediamo come esse, disputandosi da sempre il monopolio della verità, non abbiano fatto altro che fomentare discordie, guerre, confini, muri di incomprensione e di discriminazione verso donne ed omosessuali. In tutto il mondo dominato da istituzioni religiose queste categorie si portano dietro una storia di violenza inaudita, di discriminazioni ancora oggi dure a morire. Le religioni monoteiste hanno contribuito a diffondere nelle culture il concetto di superiorità maschile e di razza, condannando milioni di donne e di omosessuali alla morte civile, alla schiavitù, al silenzio, a ruoli subalterni e degradanti.
La Chiesa e le istituzioni religiose non sono altro che centrali di potere, legittimano ogni genere di oppressione, amministrano i consensi che hanno ricavandone ricchezze materiali e predominio politico e morale sulla società. Inoltre si negano loro, contendendosi il possesso della verità assoluta, non sopportando rivalità e concorrenze. Avversano l'ateismo è tutto ciò che si mantiene al di fuori del loro controllo.
Il buonismo, il continuo a far uso di parole come” fratellanza”, gli atti caritatevoli definiti “solidarietà”, permettono di approfittare della buona fede dei fedeli per accrescere il loro peso politico ed economico sulla società. Praticando la solidarietà e la fratellanza tra ricchi e poveri, tra governanti e governati, tra padroni e servi, che cosa si fa se non rafforzare la struttura classista di questa società, e perciò le disuguaglianze? Quando chi sta bene è solidale con chi sta male non vengono messe in discussione le posizioni nella scala gerarchica sociale, i ruoli rimangono immutati e così le differenze sociali. La Chiesa intende conservarli, a questo servono le carità e l’elemosina dei ricchi verso i poveri. L’elemosina non ha mai cambiato un povero in un ricco.
Sono pienamente convinto che non è Dio che ha creato l’uomo ma l’uomo che ha creato Dio. Le religioni nascono come risposte che gli uomini hanno dato alla loro ricerca di spiegazioni ai tanti problemi e fenomeni naturali che li inquietavano e preoccupavano, o semplicemente a tutto ciò che li incuriosiva; quando non riuscivano a dare una spiegazione ad un evento, ecco allora che ne davano il merito ad una volontà, ad una forza soprannaturale non ben definita, descrivendola poi come qualcuno che vuole e può tutto; eccoti creato Dio. Hanno così dato una risposta essenziale alle loro domande, ma è una risposta fortemente basata sulla paura e sull’ignoranza.
Beninteso, noi anarchici non siamo avversari dei credenti; se uno che crede si limita a coltivare i propri sentimenti in privato, nella propria sfera personale, senza cercare di imporre le proprie idee religiose agli altri, non nuoce alla collettività. Credere o non credere rientrerebbe nella sfera della libertà personale. Noi anarchici avversiamo tutti coloro che tentano di imporre agli altri le proprie idee; e questo invece è ciò che hanno sempre fatto le chiese e le caste sacerdotali.
Tutta la storia dell'umanità negli ultimi due millenni è costellata di carneficine, guerre di conquista, inquisizioni, roghi, violenze perpetrate dalla chiesa cattolica (per rimanere a quella a noi più vicina) verso quanti ne mettevano in discussione le presunte verità, o ne rifiutavano il potere politico, o avevano semplicemente comportamenti ritenuti non consoni con i propri dettami. Dubbio, relativismo, ricerca e libertà sono stati considerati peccati da pulire con la pena capitale, non solo con la minaccia delle fiamme dell'inferno. Per secoli intolleranza ha fatto rima con cattolicesimo. Questo non ha nulla a che vedere con la fede individuale o con la libera scelta di ognuno di credere in quello che gli piace o di non credere affatto. L'ateo non impone il suo ateismo ad altri, e tanto meno ai bambini, come invece fanno le religioni di ogni tipo e di ogni luogo.
La Chiesa si è sempre interessata più delle cose terrene che non alle cose spirituali, ha sempre messo lo zampino nelle leggi, ha sempre cercato trattamenti di favore per sé; proprio perché fortemente agganciata al potere temporale, la religione non è neutrale, viene spesso usata come arma ideologica per dare una giustificazione morale alla disuguaglianza.. Ha sempre strumentalizzato i pubblici poteri per avere un trattamento di favore dai risvolti economici incredibili, e la sua vera forza consiste nella capacità di condizionare la sfera pubblica e istituzionale. Avete mai pensato come sarebbe molto più logico e giusto che la scuola non inserisca le materie religiose per i suoi programmi, e che i credenti dovrebbero (se proprio lo desiderassero) andare a lezione di catechismo in parrocchia? Non sarebbe più giusto che i cattolici finanziassero direttamente la loro Chiesa anziché attingere continuamente alle casse dello Stato, contributi che oggi in Italia si aggirano intorno ai 6 miliardi di euro all'anno?
La Chiesa fa parte di un sistema consolidato che vede partiti, sindacati, industriali ed organi d'informazione usufruire di lauti finanziamenti a fondo perduto, dovuti tutti a leggi di favore che si son fatti approvare dai deputati che hanno contribuito ad eleggere. Si tratta di denaro pubblico ricavato dalle tasse e dalle imposte dirette o indirette pagate da tutti, che vanno a finanziare iniziative di pochi, gruppi, partiti, enti, società che rappresentano gli interessi di determinate famiglie, caste, azionisti. Moralmente un inganno istituzionalizzato, nei fatti un furto bello e buono; il tutto organizzato alla perfezione dallo Stato. Ma di quest'ultimo ne parleremo in seguito.

martedì 12 aprile 2016

Una ribellione

Una ribellione, non vediamo nemmeno più da dove possa iniziare. Sessant’anni di pacificazione sociale, di sospensione di tutti i ribaltamenti storici, sessant’anni di anestesia democratica e di gestione degli eventi hanno indebolito in noi una certa percezione sconnessa del reale, il senso partigiano della guerra in corso. È questa percezione che bisogna ritrovare, tanto per cominciare. Non c’è da indignarsi che si applichi ormai da tempo una legge notoriamente anticostituzionale come quella sulla Sicurezza quotidiana. È vano protestare legalmente contro l’implosione compiuta del quadro legale. Bisogna organizzarsi di conseguenza. Non c’è da impegnarsi in tale o tal’altro collettivo di cittadini, in quella o quell’altra impasse di estrema sinistra, nell’ultima impostura associativa. Tutte le organizzazioni che pretendono di contestare l’ordine presente hanno loro stesse, in versione più posticcia, la forma, i costumi e i linguaggi di Stati miniaturizzati. Tutte le velleità di fare politica alternativa non hanno mai contribuito, sino ad oggi, che all’estensione indefinita dei presupposti statali. Non c’è più da reagire alle novità del giorno, ma comprendere che ogni informazione è un operazione in un terreno ostile di strategie da decifrare nell’informazione apparente. Non c’è più da attendere: un fulmine, la rivoluzione, l’apocalisse nucleare o un movimento sociale. Aspettare ancora è una follia. La catastrofe non è quella che arriva, è quella in corso. Noi siamo situati, d’ora innanzi, dentro il moto di inabissamento di una civiltà. È qui che bisogna prendere parte. Il non attendere, significa in un modo o nell’altro, entrare nella logica insurrezionale. Tutti gli atti di governo non sono null’altro che un modo di non perdere il controllo della popolazione. Noi partiamo da un punto di estremo isolamento, di estrema impotenza. Tutto è da costruire in un processo rivoluzionario. Niente sembra meno probabile di un insurrezione, ma niente è più necessario.

martedì 5 aprile 2016

La Famiglia e lo Stato

La famiglia è il primo banco di prova per la creazione di cittadini ubbidienti alle leggi dello Stato. L’ambito famigliare, inteso come composto da coppia con figli, è il luogo in cui fin da piccoli/e veniamo forgiati/e a vivere relazioni asimmetriche. Come avverrà poi con lo Stato, i genitori sono tenuti a sapere tutto dei figli (controllo sociale), a fornire delle regole da seguire (leggi), a punire se vengono infrante (carcere). I genitori si occupano di soddisfare i bisogni primari dei figli, così come nell’età adulta ci penserà lo Stato attraverso la sua gestione della società basata sul lavoro: non dovremo preoccuparci di nulla per la nostra sopravvivenza, sarà sufficiente uno sforzo minimo da parte nostra, consistente nell’ubbidienza e nella sottomissione sul posto di lavoro. Il rapporto genitori-figli/e, tranne in pochi casi, è spesso iperprotettivo, o conflittuale da una delle due parti, o basato su una forte disciplina. Anche nel caso di rapporti abbastanza equilibrati, non vi è mai una vera relazione orizzontale tra i due coniugi: uno/a dei due detiene più potere dell’altro/a, e guida o influenza maggiormente la relazione. La figura del padre-marito autoritario tipica del patriarcato è molto cara allo Stato, poiché ricalca e modella la relazione autoritaria Stato-cittadino.
Ogni individuo cresce in un ambiente che è già un prodotto del potere: le prime idee sulla coppia eterosessuale, sulle relazioni tra i sessi, su come comportarsi in società, sulla necessità di obbedire ad alcune regole e di reprimere le proprie reali pulsioni, vengono apprese dai propri genitori.
Il nucleo familiare è il primo mezzo attraverso il quale il potere pone un controllo sulla formazione dei nuovi individui e li educa a vivere rapporti asimmetrici di svantaggio, che poi si moltiplicheranno nell’ambito degli studi e del lavoro fino ai megameccanismi di controllo impliciti nel sottostare alle leggi emanate dallo Stato e nel condizionamento psicologico basato sulla paura della punizione.

sabato 2 aprile 2016

Alexandre Marius Jacob e i Lavoratori della notte

L'azione di Jacob è una dichiarazione di guerra. Dall'altra parte della barricata i preti con le loro chiese lussuose, i ricchi, i nobili, giudici e magistrati, strozzini. Come si vede, una scelta precisa dei nemici da colpire. Nemici che per tre anni tremarono di paura per i loro beni, per le loro ricchezze. Tutta la Francia ricca e potente non ha più tranquillità, non riesce più a godersi in santa pace i proventi dello sfruttamento dei poveri. La figura di Jacob e dei "Lavoratori della notte" cala come un'ombra minacciosa sul quieto vivere della classe padrona. Le azioni di questa "banda" inafferrabile e sarcastica gettano un panico mal contenuto su tutta questa gente, tanto più che il suo buon cane da guardia, la polizia, viene da essa continuamente beffato e non riuscirà ad averne ragione che alcuni anni dopo.
A differenza degli altri riappropriatori, Jacob ha un senso innato dell'ironia. Egli quasi mai si limita a colpire le vittime, ha bisogno di più. Ha bisogno di sfotterle. In tal modo la sua vendetta è completa. In occasione del furto in casa di un giudice di pace, furto che diede un bottino di "156 collane, medaglie, gioielli rarissimi, alcuni dei quali del XV secolo", Jacob lascia la sua firma sul caminetto: "A te, giudice di pace, noi dichiariamo la guerra". É la sua prerogativa che lo accompagnerà in tutte le azioni che porterà avanti.
Due libri divennero ben presto i favoriti di Alexandre: l'orario ferroviario, che permetteva le più sottili acrobazie geografiche se solo si sapeva leggere tra le coincidenze; e l'elenco telefonico edito dal Bottin, orgoglio dello snob che vi si vedeva inserito e provvidenza del "ricuperatore" a caccia d'indirizzi. Certe descrizioni di castelli facevano sognare. Non rimaneva che andare a verificare sul posto.
Jacob aveva dichiarato guerra alle ricchezze, non agli uomini. Assalire una banca, che avrebbe evidentemente reso di più (anche se l'uso dei conti in banca non era ancora generalizzato) significava trovarsi quasi costretti a sfoderare il revolver e forse a sparare su degli innocenti impiegati. Entrare in una casa abitata aveva lo stesso rischio. Non c'era neppure da discutere: Stalin non manifesterà gli stessi scrupoli.
Ognuno in cambio manteneva il diritto di difendersi come meglio credeva contro chi era armato. Alexandre, da parte sua, si dichiarava pronto, se fosse stato il caso, a comportarsi come Etiévant, ex collaboratore del "Libertaire", che, ricercato dalla polizia per complicità con Ravachol, si recò al commissariato di rue Berzélius, crivellò il piantone con ventidue colpi di coltello, ne trafisse un altro tredici volte, scaricò il suo revolver su un terzo e al processo dichiarò: "Non ci tengo a vivere; la vita per me non è fatta che di miserie. Capisco che ci teniate voi, signori giurati e anche voi, signor sostituto procuratore generale, ma per me è indifferente e io vi chiedo di non accordarmi le circostanze attenuanti."
In funzione di questi diversi imperativi, egli prese l'abitudine di delegare nella città prescelta un solo uomo, colle mani in tasca, meno vistoso e meno costoso di un gruppo organizzato. Costui aveva il compito di far scivolare delle zeppe, dei sigilli o dei normali pezzetti di carta, nell'interstizio delle porte dei palazzi più allettanti. Se ventiquattro o quarantotto ore dopo non erano caduti, significava che il locale era, almeno provvisoriamente, disabitato. L'uomo allora spediva a Parigi un telegramma il cui contenuto poco importava, ma che, se firmato “Georges” significava “Venite in due”, se firmato “Louis” “venite in tre”: Inoltre la prima parola usata indicava, secondo un codice convenuto, Il materiale da portare. Non rimaneva quindi, dopo aver verificato ancora una volta i sigilli, che visitare il posto prima di riprendere il primo treno dell'alba o della notte per Parigi.
Un altro dettaglio: una sentinella, a mezzanotte in una strada deserta, poteva farsi notare. Alexandre ebbe dunque l'idea machiavellica e campestre di munirsi di un rospo, quando il tempo lo consigliava. L'animale veniva abbandonato nel canaletto di scolo dinanzi alla casa prescelta. Finché quello gracidava, si stava tranquilli: nessun intruso s'avvicinava nei paraggi. In caso contrario, ci si preoccupava di far fagotto.
La scelta della vittima rispondeva ad un ultimo criterio. Nessuna pietà per i forzieri dei tre "parassiti" di Cimourdain: il prete, il giudice, il soldato, né per i responsabili più in vista dell'ingiustizia sociale: i grandi latifondisti, i possidenti e altri profittatori.
Rispetto, invece, per quelli che s'erano guadagnati il loro denaro lavorando, purché quel lavoro fosse stato costruttivo: medici, architetti, scienziati o scrittori. Fu così che un giorno, a Rochefort, dopo essersi introdotto nella sontuosa dimora di un capitano di fregata, scoprì che in realtà il proprietario era Pierre Loti, pseudonimo di Viaud. Vuotò immediatamente i sacchi che aveva già riempito, rimise accuratamente ogni oggetto al suo posto e lasciò in vista un biglietto così concepito: "Entrato da voi per sbaglio, non saprei prender nulla a chi vive della sua penna. Ogni lavoro merita il salario. Attila (Attila fu uno dei tanti pseudonimi usati da Jacob). - P.S. Aggiungo dieci franchi per il vetro rotto e la persiana danneggiata." L'eleganza, va a vantaggio di Jacob. Oltre al caso di quella visita a Pierre Loti, un giorno che si trovava da un marchese che egli credeva ricchissimo e che scoprì coperto di debiti, fece meglio: invece di derubarlo, gli lasciò 10.000 franchi (30.000 franchi pesanti). Il marchese non fu da meno, come cortesia: non andò a testimoniare al suo processo.

“Secondo il mio punto di vista, io non sono un ladro. La Natura, creando l’uomo, gli da il diritto di esistere e tale diritto l’uomo ha il dovere di esercitarlo nella sua pienezza. Se dunque la società non gli rifornisce di che vivere, l’essere umano può legittimamente prendere quanto gli abbisogna laddove vi sia il superfluo”

Alexandre Marius Jacob