..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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sabato 28 novembre 2015

Anarchia non vuol dire bombe ma uguaglianza nella libertà

L’immagine che viene data degli anarchici sui libri, sulla stampa, alla televisione e nei film in cui si parla di loro (tranne qualche eccezione, a dire il vero) è sempre diffamante, contribuendo così a diffondere una conoscenza sbagliata sull’anarchia e sugli anarchici. Quante volte sentiamo dire nei dibattiti . “facendo così è il caos, è l’anarchia”, associando indebitamente l’ideale anarchico con il caos più totale, annullando così tutto il potenziale innovativo e sovversivo dell’idea. Non solo. Molte volte, nei servizi dei telegiornali e sui quotidiani, si associa anche anarchia con terrorismo, dando notizie di attentati che dicono di essere compiuti da anarchici.
Certo è che chi sostiene l’abolizione di ogni privilegio, la comunione dei mezzi di produzione, la distribuzione egualitaria dei beni, la libertà di pensiero e di azione, l’uguaglianza sociale, da fastidio a governanti e padroni, di conseguenza la classe dominante tende a criminalizzare gli anarchici additandoli come elementi pericolosi, come bombaroli, come terroristi. L’uso di quest’ultima parola è voluta dal potere per creare attorno agli anarchici una cortina di diffidenza e anche di paura.
Questo atteggiamento discriminatorio viene tenuto anche dai partiti pseudo democratici della sinistra, che quando sono all’opposizione trovano comodo il movimento anarchico che marcia nei cortei insieme (si fa per dire) a loro e che invece, quando sono al potere, condannano fermamente fino alla persecuzione.
Noi anarchici ci siamo fatti un’idea precisa sul mondo e sull’organizzazione della società in cui viviamo e facciamo il possibile per realizzare le nostre idee basate sulla fratellanza, sull’uguaglianza e sulla libertà. Da qui la nostra negazione dei sistemi verticistici; da qui la nostra diffidenza e disinteresse per il sistema dei partiti, per il sistema economico, per istituzioni autoritarie come governo e Stato.
Non possiamo comunque negare che in passato, a cavallo tra l’800 e il 900, ci siano stati dei gesti eclatanti compiuti dagli anarchici, ma sono stati attentati ben mirati contro re, tiranni, oppressori e contro istituzioni e simboli del potere; atti, spesso riusciti, che hanno sempre raccolto molta simpatia nei ceti popolari, il contrario di ciò che potrebbe provocare un gesto terroristico, teso cioè a terrorizzare la massa (vedi, purtroppo, il 13 novembre a Parigi). Terrorista è colui che spara nel mucchio, chi colpisce in maniera indiscriminata (leggi post: Esaminiamo l’aggettivo“rivoluzionario”)
L’anarchia è il grande sogno della libertà che ha spinto gli esseri umani a volere il meglio per sé e per l’ambiente che li circonda. Una sorte di fiamma che arde dentro, un sentimento istintivo che ogni essere vivente prova e che lo rende insofferente davanti a qualsiasi limitazione della propria libertà, davanti a qualsiasi regola coercitiva.

giovedì 26 novembre 2015

Eliseo Reclus e la violenza rivoluzionaria

Eliseo Reclus spiega la sua triplice posizione di pazienza, di etica e di tolleranza nei confronti della violenza rivoluzionaria: "Tra il difensore della giustizia e il complice del crimine non ci son vie di mezzo! In questo campo, come in tutte le altre questioni sociali, si pone il grande problema che si discute tra Tolstoi e gli altri anarchici, quello della non-resistenza o della resistenza al male. Da parte nostra, pensiamo che l'offeso che non resiste consegna in anticipo gli umili ed i miseri agli oppressori ed ai ricchi. Resistiamo senza odio, senza rancore né spirito di vendetta, con tutta la dolcezza serena del filosofo e la sua volontà intima in ciascuno dei suoi atti, ma resistiamo!" (...) "Dal punto di vista rivoluzionario, mi asterrò dal preconizzare la violenza e sono desolato quando degli amici trasportati dalla passione si lasciano andare all'idea della vendetta, tanto poco scientifica, sterile. Ma la difesa armata di un diritto non significa violenza" (...) "Quotidianamente si compiono tante ingiustizie, tante crudeltà individuali e collettive che non ci si stupirebbe di vedere nascere continuamente tutta una messe di odii... e l'odio è sempre cieco" (...) "Naturalmente, ammiro la nobile personalità di Ravachol, come si è andata rivelando persino durante gli interrogatorii di polizia. È pure superfluo aggiungere che considero ogni rivolta contro l'oppressione come un atto buono e giusto. "Contro l'iniquità la rivendicazione è eterna". Ma dire che "i mezzi violenti sono gli unici davvero efficaci", oh no, sarebbe come dire che la collera è il più efficace dei ragionamenti! Essa ha la sua ragion d'essere, ha il suo giorno e la sua ora, ma la lenta penetrazione della parola e dell'affetto nel pensiero ha tutt'altra potenza. Già per definizione, la violenza impulsiva non vede che lo scopo; sollecita la giustizia con l'ingiustizia; vede "rosso", ossia l'occhio ha perduto la sua chiarezza. Ciò non impedisce affatto che il personaggio di Ravachol, così come lo vedo io e come lo tramanderà la leggenda, non sia una figura grandissima".

martedì 24 novembre 2015

Inceppare la macchina della contro-insurrezione, continuare la lotta! "28 novembre giornata di solidarietà diffusa"

Di nuovo, è arrivata la repressione: giovedì 12 novembre hanno arrestato, in Italia, quattro compagni e altri cinque in Grecia, tutti accusati di aver partecipato al primo maggio milanese. Arresti, denunce, indagini non sono estranei alla vita di chi lotta: attraverso la polizia il governo cerca di controllarci, di limitare il nostro agire e, attraverso provvedimenti esemplari, cerca di dissuadere chi, nella propria vita, decide di non accettare lo stato di cose presenti.
Così, a Milano il primo maggio, venne istituita una zona rossa per proteggere la passerella della borghesia e della classe industriale e finanziaria italiana che si trovava alla Scala di Milano, ma anche per proteggere quei simboli del potere e di Expo responsabili delle politiche di impoverimento a cui siamo sottoposti. Venne così posta una scelta: accettare di stare nel luogo preposto dalla polizia per l'espressione del dissenso, oppure non accettarne i confini, senza alcuna mediazione. É la scelta di non scivolare lungo quei confini predeterminati che, di nuovo, la repressione tenta di combattere.
Per questo preferiamo parlare di contro insurrezione, perché lo stato mira al governo e al controllo dei corpi, delle menti e dei territori. Quando ci colpiscono lo fanno per evitare che si ripeta e si riproduca all’infinito il conflitto, per mandare dei segnali a quegli operai, insegnanti, studenti che domani davanti a una legge e a un attacco politico decideranno di ribellarsi. In questo modo lo stato impone la propria egemonia culturale e politica.
Uno dei limiti degli ultimi anni è stato concentrarci al 100% sulla questione repressiva dimenticandoci di mettere in pratica quel famoso slogan “Il migliore modo per combattere la repressione è continuare la lotta”. Concentrando tutte le nostre forze sulla burocrazia della giustizia e le questioni legali si rischia di perdere la rotta, di fermare l’avanzamento delle nostre comunità e delle lotte che portiamo avanti. Certo, garantire il mantenimento dei compagni arrestati, raccogliere i soldi per questo e per la difesa legale, mantenere una buona comunicazione con i compagni colpiti e i propri familiari è qualcosa di fondamentale, ma ciò che permetterà a questi compagni di uscire, di far cadere i castelli giudiziari e soprattutto di non raggiungere il proprio obiettivo ai nostri nemici è continuare a lottare.
Su questa linea per quanto riguarda Expo, crediamo che non sia finito, che Expo è un sistema di governo e trasformazione dei territori, è il grande evento per mafie e speculatori. In fin dei conti quello che contava era distribuire gli appalti tra gli amici, rendere agli occhi del cittadino comune l’evento qualcosa da non perdere anche se per entrare bisognava fare ore di fila e si rischiava di non vedere niente.
Durante i 6 mesi di Expo gli sgomberi sono continuati, quattro scioperi sono stati precettati, ogni manifestazione a Rho, sito della fiera universale, è stata repressa con forza, la cantilena mediatica si è scagliata contro il movimento No Expo e giornali e tv non hanno fatto altro che raccontarci e farci vedere un’immagine di Expo falsata.
Infine sono arrivati gli arresti di Giovedì 12 novembre, guarda caso quando iniziava ad uscire la notizia dei 400 milioni di euro di buco di bilancio di Expo, guarda caso questa operazione repressiva era ferma da luglio. L’obiettivo dei signori di Expo, della polizia e della magistratura è quello di mantenere la pace sociale, soprattutto quando gli occhi del mondo sono puntati sulle nostre città e aspettare il momento giusto per colpire. Questo per legittimare le loro porcherie, il loro arricchimento, la devastazione dei territori e il saccheggio delle nostre vite in nome del progresso.
In questa strategia che continua e che ora si sposta a Roma, con il trasferimento del super poliziotto: il Prefetto Tronca, vediamo la continuità del modello di sfruttamento e arricchimento che si nascondeva dietro ad Expo e che ora agirà sulla piazza romana. Il Giubileo della misericordia che chiude gli occhi davanti all’emergenza abitativa, ai profughi che scappano dalle guerre create dall’occidente e che ora dopo l’attentato di Parigi rischiano di essere ancora una volta le uniche vittime di questa guerra che non ci appartiene e che ha due facce quella dell’Isis e quella delle democrazie occidentali. 


In mezzo i poveri , il mondo del basso che subisce le politiche neoliberaliste . Lo sciacallaggio governativo sulla pelle delle vittime di Parigi e la scusa della sicurezza del grande evento cercheranno di limitare l’agire nella capitale attraverso misure eccezionali create per l'occasione.
Per questo crediamo sia necessario da una parte rafforzare le nostre comunità e le nostre lotte, continuare a combattere questo modello di sfruttamento non dimenticandoci di costruire gli anticorpi nel quotidiano guardando all’appuntamento romano anche come una sfida per le lotte di ribaltare la rappresentazione mediatica del grande evento e riprenderci quella agibilità che ci vogliono togliere smascherando e combattendo la logica di sfruttamento e rapina dei grandi eventi.
Dall’altra parte è necessario cogliere i segnali che arrivano dall’Europa, soprattutto dalla Grecia dove i percorsi e le lotte dei compagni arrestati hanno permesso la loro liberazione e cercheranno di impedire con ogni mezzo necessario la loro estradizione. Fuori dal “bel paese” le bottigliette di succo di frutta e la carta igienica sono bottigliette di succo di frutta e carta igienica e non molotov, la resistenza e la rivolta di piazza non sono devastazione e saccheggio.
La nostra sfida è quella di impedire l'estradizione dei compagni e attaccare definitivamente il reato di devastazione e saccheggio tratto dal codice Rocco fascista.



Per questo, raccogliamo l'appello dell'assemblea in solidarietà ai 5 studenti in lotta di Atene e con loro lanciamo il 28 novembre una giornata di solidarietà diffusa nei territori, contro l'estradizione dei compagni greci, contro l'accusa di devastazione e saccheggio e per la libertà di tutti gli arrestati.


venerdì 20 novembre 2015

La gestione elettronica della società

La società gestita dai computer, fa suonare un campanello di allarme, in quanto contiene una chiara previsione del fatto che le macchine che scimmiottano gli esseri umani tendono ad infiltrarsi in ogni aspetto della vita delle persone e le costringono a comportarsi come macchine, I nuovi dispositivi elettronici hanno in verità il potere di costringere  le persone a “comunicare” con essi e con gli altri esseri umani nei termini dettati dalla macchina stessa. Ciò che strutturalmente non rientra nella logica della macchina viene filtrato, e in pratica scompare da una cultura dominata dal loro uso.
Il comportamento meccanico degli esseri umani incatenati all'elettronica corrisponde ad un deterioramento del loro benessere e della loro dignità, a lungo andare insopportabile per la maggior parte di essi. Le osservazioni sulla nocività degli ambienti elettronicamente programmati dimostrano che in essi le persone diventano indolenti, impotenti, narcisisti, e apolitiche. Il processo politico si deteriora perché la gente diviene incapace di governarsi e chiede di essere gestita.
La gestione elettronica della società è questione di ecologia politica. I dispositivi di gestione elettronica devono essere considerati come mutamento tecnico dell'ambiente umano che per essere innocuo deve essere affrontato in termini politici non solo tecnici. Non dobbiamo dimenticare che i dispositivi elettronici, i computer sono risorse produttive e in quanto tali necessitano di un regime di polizia, che sarà presente in forme sempre maggiori e in forme sempre più sottili.

martedì 17 novembre 2015

Morire a Parigi


Bérurier Noir - Mourir a Paris (2015)

En un instant tout est parti
Les assassins sont dans Paris
Chargés d'une haine inassouvie
Propagateurs d'une tyrannie
En un instant bref de la vie
Tout est parti, tout est fini
Pourquoi, comment, se sont-ils dits
L'image provoque une telle tuerie ?

Pour les profanes ou les prophètes
Où sont les dieux, où est la fête ?
La lumière douce de l'amitié
A disparu dans l'encrier
Prédicateurs de malheur
Fabrication de la terreur
Ni dieu ni maître ni feu ni fer

Pourquoi les hommes font-ils la guerre ?

Miroir des conflits du Levant
Déracinement de nos enfants
Les va-t-en guerre, aux dents de sang
Se foutent des peuples innocents

Démocratie ou barbarie
Que restent-ils de nos vies ?
Ni soumission ni inconscience
Lève le crayon de l'espérance (bis)

(Nos crayons contre l'ignorance
Nos chansons contre l'intolérance
Nos valeurs sans arrogance
Notre humanisme sans violence)

Il n'y a pas de guerres saintes
Il n'y a pas de guerres justes
Il n'y a que des guerres sales
Aux frappes chirurgicales
Il n'y a pas de guerres saintes
Il n'y a pas de guerres justes
Il n'y a que des guerres lâches
La souffrance des otages
Il n'y a pas de guerres propres
Il n'y a pas de guerres justes

Demande à tous ces morts
Bérurier Noir - Morire a Parigi (2015)

In un attimo tutto è andato
Gli assassini sono a Parigi
Caricati di un odio insoddisfatto
Propagatori di una tirannia
In un breve momento della vita
Tutto è andato, tutto è finito
Perché, come, hanno detto
L'immagine provoca un tale massacro?

Per chi non lo sapesse o profeti
Dove sono gli dèi, dov'è la festa?
La luce soffusa di amicizia
Una scomparsa nel calamaio
Predicatori di sventura
Produzione del terrore
Né Dio né padrone né fuoco né di ferro

Perché gli uomini fanno la guerra?

Specchio dei conflitti del Levante
Sradicamento dei nostri figli
La volontà di guerra, a denti insanguinati
Non si preoccupano di persone innocenti

Democrazia o barbarie
Che cosa rimane nella nostra vita?
Né sottomissione o incoscienza
Innalziamo la matita della speranza (bis)

(Le nostre matite contro l'ignoranza
Le nostre canzoni contro l'intolleranza
I nostri valori senza arroganza
Il nostro umanesimo senza violenza)

Non ci sono guerre sante
Non ci sono guerre giuste
Solo guerre sporche
Attacchi chirurgici
Non ci sono guerre sante
Non ci sono guerre giuste
Solo codardi guerre
La sofferenza degli ostaggi
Non ci sono guerre pulite
Non ci sono guerre giuste

Chiedi a tutti questi morti

lunedì 16 novembre 2015

Il contrario di guerra non è pace: è conflitto

Ci sono tanti modi, tutti parziali, per analizzare gli attentati di Parigi. Partiamo da noi, cioè da alcune brevi considerazioni su ciò che ci sta intorno, che possiamo definire opinione pubblica di movimento, visibile da una rapida osservazione sui social network e dalle valutazioni a caldo in rete. Lo diciamo così, in modo secco: l’opinione pubblica di movimento riflette drammaticamente l’opinione pubblica dominante, aggiungendo magari qualche secondario e ininfluente accenno di distinzione ideologica. In queste ore l’attivista medio (usiamo appositamente questo termine debole) sembra essere mosso alla tastiera da una doppia urgenza. La prima è il bisogno di dire che l’Isis non ha niente a che vedere con noi (!). La domanda è: con chi vi state giustificando? La seconda è di aggiungersi al coro dell’orrore, urlare alle bacheche degli amici che gli attentatori sono nazisti, esprimere cordoglio per le vittime, affermare come sia brutto quello che è successo. Come se l’opinione dell’individuo contasse qualcosa, soprattutto di fronte ad eventi di natura globale e tellurica.
Primo dovere per un militante – in senso forte – è invece innanzitutto di capire, senza farsi travolgere dalle emozioni individuali (“quello è il ristorantino in cui ero andato durante le mie vacanze a Parigi”) o dall’opinione pubblica dominante, che è l’opinione dei dominanti, per di più espressa sulle piattaforme tecnologiche dei dominanti. Per esempio guardando alle biografie degli attentatori, probabilmente simili a quelli dell’azione contro Charlie Hebdo o di chi va a combattere con l’Isis, quando scopriamo che si tratta di cittadini francesi, giovani, di seconde o terze generazioni che portano sulla propria pelle i segni di storie lunghe di oppressione e marginalizzazione, che magari alla religione islamica ci sono arrivati dopo aver visto le immagini di Abu Ghraib o dei bombardamenti occidentali in una delle tante guerre combattute nelle ex colonie. Persone a cui l’Isis offre un reddito, un’aspettativa mistificata, la possibilità di un perverso riscatto alla rabbia accumulata, fosse anche nella forma di teste da tagliare o di persone lasciare stesi per terra.
Dobbiamo poi guardare a come pezzi differenti della composizione sociale reagiscono rispetto a questo tipo di attentati: a gennaio la segmentazione geografica della metropoli francese, di classe e di razza, emerse con chiarezza, con buona parte del ceto medio bianco raccolto attorno ai valori della Republique e buona parte delle banlieue indifferente o addirittura ostile al cordoglio per Charlie. Pensare che ciò ci restituisca da una parte i nemici e dall’altra gli amici sarebbe caricaturale, perché i nemici e gli amici sono sempre il prodotto di un processo di lotta e di organizzazione. Al momento, gli uni e gli altri in forma diversa sono perlopiù le figure soggettive prodotte dallo sfruttamento e dalla crisi, dall’impoverimento e dal declassamento, dall’assenza di futuro e dalla privazione di aspettative. Sono i soggetti così come vengono costruiti dal capitale, quindi da destrutturare e trasformare radicalmente, da scomporre e ricomporre in una direzione opposta.
Ma per farlo, dobbiamo capire che – piaccia o non piaccia – da qui partiamo. Senza capire questo, cosa opponiamo alle retoriche degli sciacalli che, sentendo odore di sangue, si fiondano su media e social network per eccitare le passioni popolari? Certo, è semplice associare il termine sciacalli a chi lo è per definizione, i Salvini, i fascisti e le varie risme di reazionari conclamati. Ma costoro non sono altro che il prodotto dei progressisti per bene, degli Hollande, degli Obama e dei buffoni di corte alla Renzi, che con l’elmetto in testa chiamano alle armi per difendere i valori universali della civiltà. Parlate per voi, sciacalli, perché quell’universale è da sempre fratturato da una linea di classe, da secoli di guerra e di colonialismo, dalle divisioni razziali che avete cerato per costruire la vostra civiltà capitalistica e imporla, appunto, come universale. Al netto dalle dietrologie e dei mostri usciti dai laboratori della geopolitica imperiale, l’Isis e l’orrore di Parigi sono il prodotto dell’orrore della civiltà che ci hanno imposto.
Questa guerra è la loro guerra, non possiamo combattere l’effetto senza combattere la causa. Chi oggi pensa che basti urlare ai nazisti perché colpiscono le zone della città “progressiste” o “libertine”, imposta la questione su basi sbagliate, applicando degli schemi di lettura completamente inadeguati e autoreferenziali. Per gli attentatori di Parigi, probabilmente, quelle zone rappresentano il consumo e la forma-merce, questi sì i valori che il capitale ha imposto sul piano globale. Chi oggi dirige tali azioni indiscriminate non lo fa per mettere fine ai rapporti di oppressione e sfruttamento, ma per costruirne di nuovi. Non per dare nuove prospettive alle periferie, ma per costruire un nuovo centro. Questa è la contraddizione, dura e difficilissima, da agire.
In questo scenario, infatti, non abbiamo bisogno di mitologie sugli ultimi o codismo verso i primi. Da anni siamo in guerra, chi se ne accorge solo quando approda a New York o Parigi ne è complice. Dobbiamo sapere che la guerra ci pone sempre di fronte a una situazione radicale, nel senso letterale del termine: siamo cioè alla nuda radice dei problemi, rispetto a cui non tengono quelle forme di mediazione e compromesso che in altre circostanze possono invece funzionare. Oggi la guerra è alimentata dalla difficoltà delle lotte collettive e del conflitto radicale. Se vogliamo batterci contro la guerra, che è la loro guerra, non possiamo farlo con i buoni sentimenti o vaghe idee di giustizia: bisogna porsi il problema di come quelle radici vengono destrutturate e organizzate in una forma opposta a quella attuale. Da quei pezzi di composizione apparentemente impazziti bisogna passare, per rovesciarli in un’altra direzione; altrimenti faremo esclusivamente gli spettatori di eventi su cui l’unico potere che abbiamo è quello del “like” o del “dislike”. Citare quello che stanno facendo i curdi è semplice e corretto, ma non basta. Il punto è come facciamo come i curdi qui, nel ventre della bestia, contro l’unico nemico e le sue molte teste.

Circa l’attacco a Parigi

Mentre proviamo a ragionare sui fatti di Parigi, mentre cerchiamo di non "essere parlati" da retoriche che non ci appartengono, cominciamo col proporre questo contributo, pubblicato da Quartiers libres collettivo di militanti della banlieu di Parigi, che dia le coordinate per sviluppare un discorso di parte che rompa con gli appelli all'unione nazionale e alla guerra santa.






Stringiamo i denti, serriamo i ranghi, teniamo la linea

Dopo la carneficina, il numero del circo degli idioti, dei razzisti e degli scappati-di-casa è lanciato. In funzione del grado di porcheria o di perdizione degli uni e degli altri, ognuno farà le sue condoglianze più o meno sincere per le vittime, omaggerà il coraggio delle forze dell’ordine, poi in funzione del grado di razzismo e di autoritarismo intimerà ai musulmani di scusarsi e reclamerà un inasprimento delle leggi. Dopodiché verrà il tempo della reazione dei potenti per mantenere il loro ordine sociale violento.
Noi non omaggiamo le forze dell’ordine, cani da guardia di un sistema che ogni giorno distrugge vite. Non siamo il tipo di persone che si scusa per ciò che non ha fatto. Per contro, il nostro pensiero va ai nostri fratelli e sorelle che si sono messi/e in prima linea per salvare delle vite. Ai fratelli del Bataclan: Kayana e Camille, siete degli eroi che con le vostre braccia e il vostro cuore avete salvato delle vite facendo salire delle persone sul tetto... dall’abbaino con la forza delle vostre mani... la fratellanza operaia del roading.
Manu non ti dimentichiamo, l’angolano, tu che hai fatto entrare 1519 persone quella sera e sei riuscito a farne uscire un bel po'. Rispetto a voi fratelli e a tutti coloro che in questo momento hanno ancora la forza di pensare agli altri. Siete dei fari nella tempesta.
Il governo, in un remake dell’11 gennaio, ripete in loop le stesse parole: “autorità”, “fermezza”, “la Repubblica è in pericolo”. Tanto blaterare per niente: cosa possono fare di più e che non hanno già fatto dato che non vogliono affrontare le cause di questa cieca violenza politica? E rispetto alle conseguenze: sono chiari. Le loro forze di sicurezza sono già pronte. La polizia e l’esercito sono già dappertutto nelle nostre strade a piantonare gli edifici. Questo venerdì 13 novembre 2015 è la dimostrazione che tutto ciò non serve a niente. Non c’è un solo tizio in uniforme con un fucile d’assalto sulla strada dei tak-tak. I soldati della NATO non sono là per proteggerci, sono là per prepararci al fatto che “noi” siamo in guerra.
La loro guerra, i nostri morti
La Rèpublique è in guerra contro chi? In ogni caso, non contro coloro che finanziano, addestrano e indottrinano i tak-tak. Stasera i principi Wahabiti del Qatar, dell’Arabia Saudita o i sultani turchi dormiranno ben tranquilli nel cuore di Parigi dentro i loro ricchi hotel o dentro i palazzi, mentre le loro creature astiose e degenerate prodotto della globalizzazione capitalista seminano morte per le strade di Parigi come hanno fatto ieri per le strade di Beirut e il giorno prima ad Ankara. Il nostro dolore è identico per tutte le famiglie dei martiri della periferia del sud che sotterrano le 47 vittime dell’attentato di ieri a Bourj e le 102 di Ankara, quelle di Parigi e quelle che muoiono in Siria ostaggio di un gioco mortifero tra delle potenze imperiali e un tiranno. Questi morti, da Damasco a Beirut, a Parigi, sono i morti della globalizzazione capitalista, di una corsa ai profitti completamente caotica e disgustosa.
Invece di cercare di punire coloro che finanziano, addestrano e indottrinano i soldati di un califfato fantasma, assistiamo a un’ondata di odio razzista, di stupidi amalgami per impedire al nostro popolo di connettere le conseguenze alle cause.
Allora, dobbiamo restare calmi. Continuare a proteggere i più vulnerabili tra noi. Lasciamo che gli eccessi della febbre razzista si sfoghino nei commenti su Facebook, il nostro campo d’azione non è quello. Astrologi e altri ciarlatani della geopolitica invaderanno il web e le televisioni per venderci le loro teorie e i loro prodotti derivati che servono a mantenere questo ordine sociale e legittimare una cieca repressione. Lasciamoli su quel terreno. Teniamoci il nostro, quello del quotidiano nei nostri quartieri, sui nostri posti di lavoro. Conosciamo dove sta il nostro nemico. Teniamo la linea. Vivremo dei periodi in cui la storia accelererà. Prepariamoci.


Quartiers libres (collettivo di militanti della banlieu di Parigi)

venerdì 13 novembre 2015

La libertà di Errico Malatesta

La libertà è il solo mezzo per arrivare, mediante l'esperienza, al vero ed al meglio: e non vi è libertà se non vi è libertà dell'errore.
Libertà dell'errore, vale a dire libertà come concetto laico di verità e quindi come possibilità, per tutti, di dare seguito alle proprie idee purché non limitino la realizzabilità di quelle altrui. Questa libertà, scopo e mezzo di ogni progresso umano, deve essere infatti per noi e per i nostri amici, come per i nostri avversari e nemici. Gli anarchici, cioè, amano correre i rischi della libertà. Noi siamo per la libertà non solo quando ci giova, ma anche quando ci nuoce. E solo così vi può essere libertà. Essa si definisce come possibilità di pensare e propagare il proprio pensiero, libertà di lavorare e di organizzare la propria vita nel modo che piace; non libertà s'intende di sopprimere la libertà e di sfruttare il lavoro degli altri. Per conseguenza gli anarchici intendono conquistare la libertà per tutti, la libertà effettiva, s'intende, la quale suppone i mezzi per essere liberi, i mezzi per poter vivere senza essere obbligati di mettersi alla dipendenza di uno sfruttatore, individuale o collettivo.

lunedì 9 novembre 2015

Decadenza della terra e del corpo

Mentre i signori si inventano un’ascendenza celeste per razziare la terra in nome degli dei, il corpo si rattrappisce insieme alla comunità sulla quale si richiudono i muri e confini della proprietà.
Con quale decadenza hanno osato colpire quel corpo senza il quale l’uomo non esiste, luogo di tutte le sensazioni, di tutte le conoscenze, di tutti i diletti e di tutte le pene; questo centro luminoso delle realtà tangibili, crogiuolo in cui l’alchimia di tre regni trasmuta la sensibilità del cristallo, del vegetale e dell’animale nella facoltà umana di compiere la grande opera della natura!
L’hanno ridotto a due principi funzionali, a due organi ipertrofici, una testa che comanda, una mano che obbedisce. Il resto ha il valore calcolato delle frattaglie sul bancone di un macellaio: il cuore, riservato non alla funzionalità dell’amore, ma al coraggio delle armi e dell’utensile; lo stomaco, destinato a sostenere lo sforzo fisico e che i piaceri della tavola rischierebbero di confondere fastidiosamente; l’apparato genitale e urinario, destinato alla riproduzione ed all’evacuazione, il cui uso voluttuoso è causa di peccato, di sofferenza e di malattie.
Che qualità possono avere i godimenti quando, una volta che i meccanismi del corpo al lavoro hanno espletato le proprie funzioni, la felicità differita dagli affari ha finalmente l’opportunità di essere soddisfatta?

giovedì 5 novembre 2015

Senza confini

 

Torino, "giovani padani" e polizia cacciati dall'Università

La mattina del 2 novembre uno sparuto gruppetto di militanti del Movimento Universitario Padano, formazione giovanile della Lega Nord, si è presentato al campus universitario Einaudi di Torino accompagnato come da copione dal solito codazzo di celerini e agenti della Digos, il tutto per distribuire dei volantini in cui denunciavano non meglio precisati benefici per i migranti iscritti all'ateneo torinese (tutto ciò con una discreta faccia tosta e un'abbondante dose di ipocrisia dato che il diritto allo studio sul territorio è stato cancellato a colpi di tagli proprio sotto la guida regionale del leghista Cota). La comparsata, però, è durata una manciata di minuti grazie al tempestivo intervento di un gruppo di studenti che li ha letteralmente cacciati fino all'esterno della palazzina, respingendo qualsiasi presenza o propaganda xenofoba e razzista all'interno della propria Università.
Di seguito il comunicato del Collettivo Universitario Autonomo di Torino sui fatti della mattinata 

Ogni tanto, in sporadiche mattinate, l’università viene attraversata da loschi personaggi che pur di ottenere un minimo di visibilità e di consenso si ridicolizzano dietro un imponente schieramento di forze dell’ordine e di digos per poter anche solo sperare di essere degnati di un minimo di attenzione dal corpo studentesco. Persone che non passeranno di certo alla storia per il coraggio con cui difendono le schifezze che propagandano perché sempre molto timorosi di ricevere una ferma risposta da chi non accetta che nel proprio luogo di studio vengano autorizzati e distribuiti volantini dai chiari contenuti xenofobi e razzisti.
È quanto accaduto questa mattina al Campus Luigi Einaudi, quando 4/5 “attivisti” del Movimento Giovani Padani erano impegnati nella distribuzione di volantini con cui denunciavano la condizione di "privilegio" riservata ai migranti per quanto riguarda i benefici universitari. Che non riescano a vedere più in là del loro naso lo sappiamo bene, conosciamo i loro amichetti del Fuan. Saremmo curiosi di scoprire questi presunti benefici di cui godrebbero i migranti nella nostra università ma sappiamo bene che questi figuri preferiscono vivere di balle e nutrirsi di odio tra poveri. Ci basta questo a convincerci che queste persone non debbano condividere i nostri spazi di studio, dato che anziché fare i conti in tasca a chi nel loro stesso partito ha rubato soldi pubblici (non è il caso di ricordare gli scandali di Cota), preferiscono alimentare odio e colpevolizzare persone che non sono per nulla responsabili dei disservizi dell’università.
Da subito si è quindi organizzato un cospicuo numero di studenti e studentesse, che allergici alla diffusione di materiale propagandistico di questo genere ha deciso di allontanare dal polo universitario i Giovani Padani.
Non appena ci si è avvicinati alla zona di volantinaggio, i 4/5 militanti (si fa fatica a capire il numero dei conigli quando se la danno a gambe levate) sono scappati scortati dalla polizia. Abbiamo voluto sin dall’inizio difendere l’università, presidiandola fino all’ultimo, abbiamo cacciato leghisti e polizia, con quest'ultima che si ostinava a rimanere in maniera provocatoria anche dopo che i Giovani Padani erano stati "accompagnati" fuori dal Cle. Non è ammissibile che ogni volta che i razzisti vogliono prendere parola il Campus debba essere militarizzato.
Chiediamo quindi al rettore Ajani, perché le spiegazioni le vogliamo e pretendiamo da lui, per quale motivo ancora una volta abbia autorizzato la presenza e la distribuzione di volantini carichi di odio razzista da parte di questi personaggi e l'ingresso della polizia all'interno dell'Università. 
Chi propaganda razzismo in Università deve anche essere pronto alle conseguenze, e non saranno le solite lagne dei fascisti del Fuan (per voce del loro capetto Edoardo Cigolini) ad impietosirci perché al termine dell'iniziativa alcuni studenti se la sono presa con la loro auletta…un motivo forse c’è! Se continuate a seminare odio, odio raccoglierete.
Come sempre, ci congediamo dicendo ai Giovani Padani e agli sfigatelli del Fuan che per ogni volantino e materiale razzista, xenofobo e fascista che diffonderanno all’università, sempre ai nostri posti ci troveranno. Noi senza Questura, voi i codardi protetti dalla polizia!

Collettivo Universitario Autonomo - Torino




lunedì 2 novembre 2015

Mercoledì 4 novembre. Giornata dei disertori

Mercoledì 4 novembre ore 17
Presidio dei disertori
in piazza Castello angolo via Garibaldi
Torino

Il 4 novembre è la festa delle forze armate. Viene celebrata nel giorno della “vittoria” nella prima guerra mondiale, un immane massacro per spostare un confine. Il 4 novembre è la festa degli assassini. La divisa e la ragion di stato trasformano chi uccide, occupa, bombarda, in eroe.
Oggi l’Italia è in guerra ma la chiama pace.
È una guerra su più fronti, che si coniuga nella neolingua del peacekeeping, dell’intervento umanitario, ma parla il lessico feroce dell’emergenza, dell’ordine pubblico, della repressione.
Gli stessi militari delle guerre in Bosnia, Iraq, Afganistan, gli stessi delle torture e degli stupri in Somalia, sono nei CIE, nelle strade delle nostre città, sono in Val Susa
Guerra esterna e guerra interna sono due facce delle stessa medaglia.
Dal 17 al 19 novembre si terrà a Torino “Aerospace & defence meeting”, mostra mercato internazionale dell’industria aerospaziale bellica.
Il focus sarà sulle cinque aziende piemontesi, leader nel settore: Alenia Aermacchi, Thales Alenia Space, Avio Aero, Selex Es, Microtecnica Actuation Systems / UTC. 280 SMEs.
Le immagini dei profughi che premono alle frontiere chiuse dell’Europa, il dibattito sull’accoglienza umanitaria, la retorica su chi muore in mare o in fondo a un tir nascondono una verità cruda ma banale. Le guerre sono combattute con armi costruite a due passi dalle nostre case.
A Torino e Caselle c’è l’Alenia, dove costruiscono bombardieri.
Un business milionario. Un business di morte.
Per fermare la guerra non basta un No. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d’armi, uomini armati che pattugliano le strade.

Sabato 14 novembre ore 15
Presidio e corteo da piazza Boschiassi a Caselle torinese

Mercoledì 18 novembre
Presidio e corteo al Lingotto
Dalle 17 in via Nizza angolo via Biglieri
Torino

Assemblea antimilitarista