..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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giovedì 28 maggio 2015

Crossroad Blues di Robert Johnson


Crossroad Blues

Ah went to the crossroad fell down on mah knecs.
Ah went to the crossroad fell down on mah knees.
Asked the Lord above «Have mercy, now save poor Bob, if you please».

Yeeoo, standin' at the crossroad tried to flag a ride
ooo ooee eeee. Ah tried to flag a ride.
Didn't nobody seem to know me, babe, everybody pass me by.

Standin' at the crossroad, baby, risin' sun goin' down.
Standin' at the crossroad, baby, eee eee eee, risin' sun goin' down.
Ah believe to mah soul, now po' Bob is sinkin' down.

You can run, you can run teli mah friend Willie Brown
'at Ah got the crossroad blues this mornin',
Lord, babe, Ah'm sinkin' down.


And Ah went to the crossroad, mama,
Ah lookes east and west.
Ah went to the crossroad, baby,
Ah looked east and west.
Lord, Ah didn't have no sweet woman ooh-well, babe in mah distress.
Il blues dell’incrocio

Sono arrivato all'incrocio e sono caduto in ginocchio.
Sono arrivato all'incrocio e sono caduto in ginocchio.
Ho chiesto al Signore lassù «Abbi pietà, ora salva il povero Bob, per piacere».

Sììì, lì all'incrocio mi sono sbracciato per un passaggio
oooo ooee eeee. Mi sono sbracciato per un passaggio.
Ma pare proprio che nessuno mi fili, cara, hanno tirato tutti dritto.

Lì all'incrocio, baby, mentre il sole tramontava.
Lì all'incrocio, baby, eee eee eee, mentre il sole tramontava.
Io sono pronto a giurare sull'anima mia che ora il povero Bob sta andando a fondo.

Puoi correre, puoi correre e dire al mio amico Willie Brown
che mi sono venuti questi blues dell’incrocio stamattina,
Signore, cara, sto andando a fondo.

E sono arrivato all'incrocio, cara,
ho guardato ad est e ad ovest.
Sono arrivato all'incrocio, baby,
ho guardato ad est e ad ovest.
Signore, non ho nessuna dolce donna con me, ooh, beh, cara, nella mia pena.


domenica 24 maggio 2015

Gino Lucetti

Nel giugno del 1925 Lucetti è ad Avenza, dove abitano amici anarchici fidati e, con tutta probabilità, comincia a progettare l’attentato a Mussolini. Il piano subisce una battuta d’arresto perché, la notte del 26 settembre Lucetti è coinvolto in uno scontro a fuoco con alcuni fascisti di Avenza e l’indomani, aiutato dal fratello Andrea, fugge di nuovo in Francia a bordo di una imbarcazione carica di marmo. Rientra in Italia alla fine del maggio 1926 e vi rimane per più di tre mesi muovendosi indisturbato o quasi tra Avenza, Roma e probabilmente Viareggio. Durante questi spostamenti, si ritiene vengano sia reperite le bombe e la pistola usate per l’attentato, sia informati del progetto Malatesta e Damiani. La mattina del 11 settembre 1926 Lucetti è nei pressi del piazzale di Porta Pia a Roma in attesa della vettura che conduce Mussolini dalla sua residenza di Villa Torlonia al Ministero degli Esteri a Palazzo Chigi. È certo che Lucetti conosce i particolari del tragitto della vettura grazie agli appostamenti che Stefano Vatteroni suo compaesano e amico d’infanzia aveva compiuto direttamente o con l’aiuto di altri, nei mesi precedenti. Lucetti attende l’arrivo della macchina presso il bar Nomentano, di angolo fra la via omonima e via Ancona, nascosto dietro un chiosco di giornali e quando passa l’auto presidenziale le lancia contro una bomba SIPE che, causa il ritardo e la troppa vicinanza, impatta la fiancata posteriore deflagrando a terra dove lascia visibili tracce sul selciato. Datosi alla fuga Lucetti è bloccato da due carabinieri scesi dalla vettura di scorta, trascinato all’interno di un portone dove, non prima di aver lanciato contro di loro un secondo ordigno rimasto inesploso, viene arrestato e trovato in possesso di una pistola Browning con il colpo in canna e altre sei nel caricatore. Le pallottole, a un successivo esame, risultano intaccate e immerse nell’acido muriatico. Lucetti sostiene di essere un anarchico individualista arrivato direttamente dalla Francia per l’attentato. In commissariato dichiarò: «Non sono venuto con un mazzo di fiori per Mussolini. Ero intenzionato di servirmi anche della rivoltella qualora non avessi ottenuto il mio scopo con la bomba». Il 15 settembre, nei locali della polizia vengono tratti in arresto Leandro Sorio, factotum dell’albergo romano in cui ha pernottato Lucetti nei giorni precedenti l’attentato, e Vatteroni, entrambi poi condannati a 20 e 18 anni di reclusione. Lucetti è condannato a 30 anni di reclusione ed il 6 agosto del 1927 è trasferito al penitenziario di Portolongone; il 14 febbraio 1930, al termine dei previsti tre anni di reclusione speciale, passa a quello di Fossombrone per giungere, il 20 giugno 1932, al suo ultimo carcere sull’isola di S. Stefano nell’arcipelago Pontino. L’11 settembre 1943 viene liberato dagli alleati che stanno sbarcando a Salerno e trasferito a Ischia. Napoli però è ancora controllata dai tedeschi che, nell’ambito di una decisa controffensiva, iniziano un violento cannoneggiamento sulla vicina isola ed è proprio nel corso di questo attacco che colpito da una scheggia di granata, Lucetti muore il 17 settembre 1943.

venerdì 15 maggio 2015

È morto B. B. King

Lucille piange in silenzio la sua scomparsa e molto probabilmente non suonerà più. B.B. King, l’ultimo esponente del "Delta", l'ultimo gigante del blues, che ha ispirato decine di musicisti, se n'è andato a 89 anni (i 90 li avrebbe compiuti in settembre) dopo 60 anni di una carriera che lo ha portato dalle piantagioni di cotone alla leggenda. Apparteneva a quella straordinaria generazione di musicisti che aveva elettrificato il Blues e lo aveva trasformato in musica urbana ponendo di fatto le basi per quello che oggi è il rock'n'rol. L'influenza esercitata è immensa, a cominciare dai grandi padri del rock inglese che si sono formati studiando nota per nota il repertorio di questi musicisti (vedi John Mayall ed Eric Clapton).
Riley B. King (il suo vero nome) è stato uno dei chitarristi più celebri e importanti di sempre: con la sua Lucille (la leggendaria Gibson 335 ribattezzata così con il nome di una ragazza per la quale due uomini avevano litigato provocando un incendio in cui aveva rischiato di morire) aveva creato uno stile più morbido e chiaramente ispirato al jazz e al rhythm and blues rispetto a quello, decisamente più "rootsie" di gente come Muddy Waters e Howlin' Wolf.
Nel 1999, in un incontro pubblico, BB King raccontò perché aveva scelto di dedicare la vita al blues: «Raccoglievo cotone in Mississippi dal lunedì mattina al mezzogiorno di sabato, e al sabato pomeriggio andavo in città, all’angolo di una strada del centro. Se cantavo gospel, la gente si complimentava con me ma non sganciava un soldo, se suonavo il blues mi davano sempre una mancia e a volte mi pagavano anche una birra. Ero capace di tirar su anche cinquanta o sessanta dollari». Storie di un altro mondo,
È nato il 16 settembre 1925 nella campagna del Mississippi, viveva (anzi, sopravviveva) raccogliendo il cotone e sognava di fare il musicista, una professione che aveva scoperto ascoltando la radio durante la pausa pranzo. Nel 1947, di ritorno dal servizio militare, già sposato, fece i quasi duecento chilometri che separavano la sua piantagione da Memphis per presentarsi da Rice Miller: la sera stessa lo sostituì in un club e si mise in tasca dodici dollari. Un giorno di lavoro a raccogliere cotone valeva meno della metà. King, non ancora B.B., non tornò mai più indietro. 
Musicalmente parlando, si era formato a Memphis. B.B., il suo nome d'arte, era l'abbreviazione di Blue Boy ma in principio era l'abbreviazione di Beale Street Blues Boy: Beale Street a Memphis è la strada dei club di blues e ancora oggi è uno dei luoghi principali del culto di B.B. King.
Come molti musicisti neri della sua generazione, a parte le collaborazioni, B.B. King è sempre rimasto fedele a un modo classico di fare musica. Che vuol dire: concerti, concerti, concerti. Era sempre in tournée, si era rassegnato solo da poco a non viaggiare in pullman con i suoi orchestrali e solo perché lo aveva costretto la figlia preoccupata dal suo stato di salute. Un suo concerto era come un appuntamento con un vecchio amico: l'orchestra cominciava a swingare un brano, l'annuncio, l'ingresso in scena sparando note dalla sua Lucille mentre i trombettisti suonavano ballando. Lui sempre sorridente e sudatissimo, con le sue giacche damascate e le grandi mani a dispensare prelibatezze swing, cantava i suoi classici. Era davvero una leggenda ma non concepiva una vita lontano dal palco: è andato avanti fino all'ultimo, sfidando il diabete e gli acciacchi dell'età e di una carriera lunghissima, vissuta senza gli agi delle star. Lucille non suona più e il mondo ha perso uno degli ultimi grandi di una generazione che ha cambiato la storia della musica.


martedì 12 maggio 2015

Espropriamo i padroni

Ci raccontano che viviamo nei migliori dei mondi possibili, che liberismo e democrazia garantiscono pace, libertà, benessere. Ci raccontano le favole e pretendono che ci crediamo. Intanto piovono pietre.
Nelle nostre periferie tanti non ce la fanno a pagare il fitto e il mutuo e finiscono in strada. A Torino si moltiplicano gli sfratti, mentre ci sono migliaia di appartamenti vuoti..
Il governo dice che non ci sono soldi. Mente. I soldi per le guerre, per le armi, per le grandi opere inutili si trovano sempre. Da anni aumenta la spesa bellica e si moltiplicano i tagli per ospedali, trasporti locali, scuole.
Non vogliono spendere per migliorare le nostre vite, perché preferiscono investire in telecamere e polizia.
Le leggi condannano gli anziani ad una vecchiaia senza dignità, i giovani alla precarietà a vita. Con il contratto a tutele crescenti Renzi racconta che i nuovi assunti avranno contratti a tempo indeterminato. Una bella favola. I padroni per tre anni non pagano contributi e possono licenziarti a piacere. Se il licenziamento è illegittimo ti danno due soldi e via. La precarietà cambia solo nome, mentre le ultime tutele (articolo 18) sono andati in fumo. La riforma del lavoro consente ai padroni di licenziare come e quando vorranno. Alzi la testa, lotti per il salario, la sicurezza sul lavoro, contro il dispotismo di capi e caporali? Di te non c’è più bisogno, vai via!
Il lavoro è una roulette russa: i lavori precari, malpagati, pericolosi, in nero sono diventati una regola.
Si torna indietro e ci dicono che stiamo andando avanti.
La crisi è il pretesto con cui il governo e padroni ci ricattano. O fai come ti dico o affondi. Con queste ricette i padroni si sono arricchiti, i poveri sono diventati più poveri.
Ci vogliono divisi per poterci meglio comandare e sfruttare.
Soffiano sul fuoco della guerra tra poveri, per mettere in guerra i lavoratori italiani contro quelli immigranti, più ricattabili e quindi più disponibili ad accettare salari, ritmi e condizioni di lavoro peggiori.
La solidarietà di classe tra stranieri ed italiani, la lotta comune contro le leggi razziste che trasformano in schiavi gli immigrati, mette in difficoltà i padroni, che quando si tratta di guadagnare, non badano al colore della pelle ma a quello dei soldi.
A Milano l’Expo mette in scena l’Italia ai tempi di Renzi , tra cantieri miliardari e morti di lavoro, agro business e green economy, lavoro gratuito e servitù volontaria, sfratti e polizia gentrification e colate di cemento.
Un mostro che affama il pianeta, lo desertifica, lo trasforma in una discarica.
Il suo modello è Eataly, il supermercato MangiaItalia, dove precarietà e sfruttamento sono la regola.
Chi si fa ricco con il lavoro altrui non guarda in faccia nessuno. Chi governa racconta la favola che sfruttati e sfruttatori stanno sulla stessa barca ed elargisce continui regali ai padroni.
I padroni si sentono forti e sono passati all’incasso.
Renzi vuole la fine della lotta di classe, la resa senza condizioni dei lavoratori. Non gli serve più la complicità dei sindacati di Stato, cui ha tagliato distacchi e prebende. I sindacati di base, i più combattivi, sono stati tagliati fuori dalla rappresentanza, perché non si fanno accordi scritti dai padroni e benedetti da Cgil, Cisl e Uil.
C’è chi non ci sta, chi si ribella ad un destino già scritto, chi vuole riprendersi il futuro.
Contro chi lotta si scatenano la polizia e la magistratura. Non si contano più i procedimenti giudiziari, cariche e pestaggi della polizia.
Sono i No Tav, che resistono all’occupazione militare, allo sperpero delle risorse pubbliche, alla devastazione dell’ambiente. Sono i prigionieri dei CIE che bruciano le celle e scavalcano i muri. Sono gli sfrattati che non si rassegnano alla strada e occupano le case vuote. Sono i lavoratori che vogliono riprendersi la loro vita.
Cambiare la rotta è possibile. Con l’Azione diretta, costruendo spazi politici non statali, moltiplicando le esperienze di autogestione, costruendo reti sociali che sappiano inceppare la macchina e rendano efficaci gli scioperi.
Un mondo senza sfruttati né sfruttatori, senza servi né padroni, un mondo di liberi ed eguali è possibile.
Tocca a noi costruirlo.

lunedì 11 maggio 2015

Due parole su razzismo e oppressione

L'oppressione è una rete di forze e barriere che non sono sporadiche o occasionali e di conseguenza evitabili, ma collegate sistematicamente tra loro in modo da catturare una persona al loro interno, limitandone i movimenti in qualunque direzione. Essere oppressi è come essere rinchiusi in gabbia: tutte le strade, in ogni direzione, sono bloccate. Pensate alla gabbia di un uccello. Se guardate da vicino uno dei fili metallici che la compongono, non vedrete gli altri. Potete esaminare quel filo da cima a fondo e chiedervi come mai un uccello non voli via ogni volta che lo desidera. Non troverete proprietà fisiche, neanche dopo un attentissimo esame, che rivelino come un filo possa inibire o impedire la fuga di un uccello. E soltanto dopo aver fatto un passo indietro e aver visto tutta la gabbia che capite il motivo per cui l'uccello non può andare da nessuna parte. A quel punto diventa ovvio che l'uccello è circondato da una rete di barriere sistematicamente collegate tra loro, nessuna delle quali costituisce un ostacolo al suo volo in sé eppure la loro combinazione le rende impenetrabili come le pareti di una caverna. L'oppressione può essere effettivamente difficile da vedere e riconoscere: si possono studiare gli elementi di una struttura oppressiva con estrema attenzione senza riuscire a vedere la struttura nel suo complesso e, di conseguenza, riconoscere che ci si trova di fronte a una gabbia. Tale visione dell'oppressione permette di comprendere la distinzione tra i termini oppressione e prevaricazione. Si parla di prevaricazione quando un individuo o un gruppo controlla e intimidisce gli altri con l'uso della forza. La prevaricazione è deleteria in tutte le sue forme, ma non corrisponde sempre all'oppressione. Prevaricazione significa essere bloccati da un unico filo metallico di una gabbia. Per esempio, quando l'unico ragazzo bianco in una scuola di neri viene deriso e percosso, ci troviamo di fronte a un esempio di prevaricazione, non di oppressione. Alcuni lo chiamano razzismo al contrario, ma l'espressione è fuorviante: fa pensare che il ragazzo stia vivendo la stessa esperienza degli studenti neri che crescono in una società dominata dai bianchi, e non è cosi. L'oppressione non è fatta semplicemente di singoli episodi di prevaricazione, pregiudizio o ignoranza. Oppressione vuol dire privilegiare sistematicamente un gruppo rispetto a un altro. Non è possibile che un gruppo più privilegiato sia oppresso da uno meno privilegiato: il razzismo al contrario è perciò una contraddizione in termini. In un certo senso, anche termini come razzismo e sessismo sono fuorvianti, in quanto non mettono in luce il fatto che in ogni episodio di oppressione esista - oltre a quello preso di mira - un gruppo privilegiato. Usando tali espressioni rischiamo di trascurare il ruolo svolto da noi stessi in questi sistemi di oppressione. Il razzismo può sembrare una semplice questione di pregiudizi e ignoranza, mentre in realtà il problema è molto più profondo: si tratta del posto centrale che occupa nella nostra cultura il fatto di avere la pelle bianca, meglio descritta da una definizione come "supremazia dei bianchi". La moderna supremazia dei bianchi è un antico sistema di sfruttamento e oppressione di continenti, nazioni e gente di colore perpetuato a livello istituzionale. I bianchi impongono la loro tirannia sugli altri allo scopo di difendere e preservare un sistema di ricchezze, potere e privilegi. Attraverso un linguaggio che esprime chiaramente questo sistema di dominio, siamo in grado di identificare chi detiene i privilegi e qual è la reale posta in gioco.

venerdì 8 maggio 2015

Per Peppino

Il 9 maggio 1978 viene ucciso da Cosa Nostra Peppino Impastato, a soli 30 anni. Molti hanno vissuto le sue denunce grazie a Radio Aut, altri lo hanno conosciuto nel fim I Cento Passi. Giuseppe Impastato, detto Peppino, è stato un giovane siciliano che, vivendo sulla propria pelle il peso della mafia, aveva deciso di ribellarsi a quel modo di vivere che coinvolgeva direttamente anche la sua famiglia. Spesso il potere di una voce fa molta più paura di una pistola e Peppino Impastato era così temuto da Gaetano Badalamenti e dal suo clan mafioso, da essere brutalmente ucciso.
Nascere a Cinisi, un paese del hinterland palermitano, e vivere in una famiglia legata ai clan mafiosi può portare due reazioni: quella solita che vede l’assoggettamento a certi sistemi, oppure la ribellione. Ribellarsi in un’organizzazione in cui l’OMERTÀ è la parola d’ordine, diventa un gesto ancor più rivoluzionario. Peppino Impastato è stato la rivoluzione, il cambiamento e la voce della denuncia. E la denuncia colpisce dritta al cuore della mafia che, invece, reagisce con i suoi modi beceri e vigliacchi. Peppino Impastato è stato ucciso da Cosa Nostra e mandante dell’assassinio è stato Gaetano Badalamenti, definito ironicamente da Peppino, Don Tano Seduto, capo clan ed uno dei maggiori trafficanti di eroina in Sicilia.
“Io voglio scrivere che la Mafia è una montagna di merda … noi ci dobbiamo ribellare, prima di abituarci alle loro facce, prima di non accorgerci più di niente” (da I Cento Passi).
Peppino viveva a cento passi dalla casa del boss Badalamenti e questo vivere a “braccetto” con l’anti-Stato porta la gente comune a crederlo come la normalità, a non riconoscere le anomalie di certi soprusi, di continue arroganze, di prepotenze ingiuste. Lui, nato in una famiglia di impostazione contadina in cui la riverenza verso Cosa Nostra era la quotidianità, prende le distanze da tutto e da tutti ed ha il coraggio di denunciare, cominciando da suo padre fino ad arrivare al nome di Badalamenti.
“Mio padre, la mia famiglia, il mio paese … Io voglio fottermene! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo!” (da I Cento Passi).
Nel 1965 entra in politica e la utilizza come modo per contrastare la mafia. Vivrà direttamente il periodo di cambiamento sessantottino, tra scioperi, rivoluzioni ed incertezze per il futuro, approdando, nel 1973, a «Lotta Continua» e legandosi a Mauro Rostagno, altro importante giornalista ucciso dalla mafia. Tra Peppino e Mauro ci sarà un sodalizio ideologico e politico che li vedrà uniti nella lotta contro Cosa Nostra, usando radio e televisioni per arrivare al popolo e far conoscere la politica mafiosa. Così nel 1976 con la collaborazione di Peppino ed altri compagni, nacque Radio Aut, un’emittente di contro informazione, autofinanziata dai giovani e quindi libera da qualsiasi potere. La libertà di Radio Aut diventò lo strumento di Peppino per denunciare quello che definiva un western mafioso facendo nomi e cognomi, senza paure. Continuo bersaglio era Gaetano Badalamenti ma anche il sindaco di Cinisi, Geronimo Stefanini che si era venduto a Cosa Nostra creando quel sistema che Peppino ironicamente definiva mafiopoli. Tutti i venerdì sera andava in onda la trasmissione Onda Pazza in cui Peppino sparava a zero sugli “intoccabili” siciliani e parlava dei maficidi, con un linguaggio ironico e satirico che nascondeva dietro una grande rabbia ed una voglia di cambiamento. Su questa natura nasceva anche l’altro programma Cretina Commedia, una parodia della Divina Commedia di Dante, in cui ai vari gironi infernali c’erano i mafiosi di Cinisi.
Peppino Impastato denunciava ad alta voce per permettere al popolo di riconoscere la vera bellezza della società, che non era nella mafia.
Chiaramente era un personaggio scomodo e così è stato ucciso, imbottito con 5 chili di tritolo e fatto esplodere sulla tratta ferroviaria Palermo-Trapani. L’intento era quello di far cade i sospetti su un suicidio oppure su un atto terroristico compiuto dai suoi compagni durante la campagna elettorale del ’78, visto che Peppino era candidato nel partito di «Democrazia Proletaria». I suoi compagni Giovanni Riccobono, Faro Di Maggio, Andrea Bartolotta ed altri, insieme alla madre Felicia Bartolotta Impastato, non si stancarono mai di accusare Gaetano Badalamenti. All’inizio le indagini propendevano per il suicidio e per la pista politica. Stranamente nessuno aveva mai pensato di perquisire le case dei mafiosi di Cinisi, nonostante in un rapporto scritto da un sottoufficiale, in maniera esplicita, si definiva il tritolo che aveva ucciso Peppino “come esplosivo da cava” e le cave di Cinisi e dintorni erano tutte di proprietà mafiosa. Ci vollero anni per arrivare alla pista di Cosa Nostra. Nel 1988 si cominciò ad indagare su Tano Badalamenti per il caso Impastato e iniziò un lunghissimo processo fatto di rinvii, depistaggi, testimonianze fasulle, conclusosi nel 2002 con la condanna all’ergastolo per il boss mafioso, morto in seguito.

martedì 5 maggio 2015

Franco Serantini - un omicidio di Stato

“… Anche se il nostro maggio ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha risparmiato le vostre Millecento
anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti …”

Ve la ricordate la Canzone del maggio? È del 1973, tratta dal più bello, il più sovversivo dei dischi  di Fabrizio De André: Storia di un impiegato (il titolo esatto dell'opera avrebbe dovuto essere “Storia di un impiegato e di una bomba”, ma fu censurato dalla casa discografica). Il brano è liberamente tratto da un canto del maggio francese del 1968 di Dominique Grange.
Inizio questo post con le parole di Faber, perché voglio ricordare un fatto accaduto un anno prima della pubblicazione del disco, ed esattamente il 7 maggio del 1972
Quel giorno, alle ore 9.45 moriva nel pronto soccorso del carcere di Pisa, Franco Serantini.
Anarchico, poco più che ventenne, era stato arrestato durante una manifestazione antifascista, brutalmente caricata dalla polizia.
Ma chi era Franco Serantini?
Nato a Cagliari il 16 luglio del 1951, viene abbandonato dai genitori naturali e vive nel brefotrofio della città fino all'età di due anni.
Viene quindi adottato da una famiglia senza figli. La madre adottiva muore e fino ai 9 anni vive con i "nonni" adottivi. Poi viene nuovamente trasferito all'istituto di Cagliari dove rimane fino al 1968. Quell'anno viene prima trasferito all'istituto per l'osservazione dei minori, poi, senza alcuna ragione, al riformatorio di Pisa "Pietro Thouar" in regime di semilibertà (deve mangiare e dormire in istituto). A Pisa consegue la licenza media e frequenta la scuola di contabilità aziendale.
A Pisa incomincia a frequentare gli ambienti della sinistra pisana, in quegli anni particolarmente attiva. Prima i giovani socialisti e comunisti, poi Lotta Continua. All'inizio del 1971 approda al gruppo anarchico "G. Pinelli".
Partecipa alle iniziative di quegli anni, per la scarcerazione di Valpreda, per la verità su Piazza Fontana, le mobilitazioni antifasciste, il mercato popolare autogestito.
Nel 1972 viene trovato, da parte del partigiano anarchico Renzo Vanni il bando della Repubblica Sociale Italiana, firmato dall'allora segretario del MSI Giorgio Almirante, editto durante la guerra, in cui si ordinava la fucilazione dei renitenti alla leva e che comprovava la diretta discendenza del MSI dal regime fascista e la compromissione dei suoi dirigenti con questo infame regime.
É in questo clima che nasce la manifestazione del 5 maggio 1972 a Pisa indetta da Lotta Continua per protestare contro un comizio del missino Niccolai. La manifestazione viene duramente caricata dalla polizia. Sul Lungarno Gambacorti viene pestato a sangue Franco Serantini da uomini del 2 e 3 plotone della terza compagnia del 1 raggruppamento celere di Roma.
Viene colpito da calci e colpi col calcio del fucile. Il sopraggiungere di un altro drappello di poliziotti e l'intervento del commissario di PS Giuseppe Pironomonte, che lo sottrae con l'arresto al linciaggio, interrompono la mattanza.
Durante gli interrogatori Serantini mostra evidenti segni di confusione mentale e di malessere, dice al magistrato che lo interroga di soffrire di una forte emicrania, ma nessuno si preoccupa e pensa di sottoporlo ad una visita medica. la mattina del 7 le sue condizioni si aggravano e viene portato al pronto soccorso. Troppo tardi. Alle 9,45 Serantini muore.
L'autopsia evidenzia un grave trauma cranico e numerose lesioni interne dovute ai colpi inferti durante il pestaggio sul Lungarno.
Si tenta di insabbiare questo delitto di stato ma la manovra fallisce. Il 9 maggio 1972 Si svolgono i funerali di franco Serantini, migliaia di anarchici, militanti di Lotta continua e degli altri gruppi extraparlamentari, sindacalisti e cittadini di Pisa partecipano al corteo funebre.
Le indagini sull'accaduto, come al solito, portarono al nulla di fatto. Tentativi di rimuovere i magistrati scomodi, depistaggi, muri di omertà, caratterizzarono l'inchiesta, come d'altronde tutte quelli sugli altri omicidi di stato degli anni 70, stragi comprese. Alla fine furono condannati due ufficiali di PS per falsa testimonianza, a 6 mesi con la condizionale e la non iscrizione nel casellario giudiziale, condanna poi cambiata successivamente in assoluzione nel 1977.
Il dottor Mammoli, imputato e poi prosciolto per l'accusa di omissione di soccorso, fu ferito nel marzo dello stesso anno da un commando di Azione Rivoluzionaria, organizzazione armata di area anarchica.


Le parole che seguono sono tratte da "Il sovversivo" - vita e morte dell'anarchico Segantini - di Corrado Stajano.

"In prossimità del processo Valpreda, le nostre posizioni sono chiare: responsabili della strage di stato e dell'omicidio di Pinelli non solo solo i fascisti e qualche funzionario di polizia. Il vero e principale responsabile che si è servito della mano criminale dei fascisti è lo Stato. Non esiste lo stato reazionario che ha fatto la strage e lo stato progressista che cerca la verità. Tutte le forze che gestiscono l'apparato statale, o cercando di conservarlo come adeso è, o cercando di razionalizzarlo, sono più o meno direttamente implicate nella responsabilità della strage" (Da un volantino scritto da Franco Serantini )
A domanda risponde: "Dicono che abbia lanciato contro la polizia pietre e altro materiale incendiario, ma per la verità non riesco a ricordare".
Chiesto all'imputato per quale ragione si era recato ieri sera nel luogo della città dove si verificarono i tumulti, risponde: "ci andai perchè ci si crede".
Chiesto all'imputato in che cosa crede risponde: "Sono anarchico".
A.D.R. "Fui arrestato nel corso di una carica, mentre scappavo. Mi giunsero addosso una decina di poliziotti e mi colpirono alla testa. Accuso infatti forti dolori al capo ancora attualmente".
A.D.R. "Non credo di avere insultato la polizia. Uno dei poliziotti che mi fermò sostiene che io l'abbia chiamato "porco", ma non credo di averlo fatto, perchè non è la mia frase abituale".
A.D.R. Non credo di avere avuto tra le mani ieri sera pietre o bottiglie incendiarie; anche perchè persi gli occhiali e non sarei stato in grado di lanciarle".
A.D.R. "Quando mi recai alla manifestazione ieri sera non ero d'accordo con nessuno; ci andai come cane sciolto".
(Dall'interrogatorio a Franco Serantini)

Testimonianza di Moreno Papini, Lungarno Gamabcorti 12: "...Ho sentito le sirene delle camionette venire dalla parte del comune, mentre la gente scappava per via Mazzini. Le camionette sono arrivate e si sono fermate sotto la casa mia dalla parte delle spallette dell'Arno. Nello stesso momento stavano arrivando alcuni celerini a piedi. Allora mi sono sporto dal davanzale della finestra e ho visto che stavano agguantandone uno.
Proprio vicino al marciapiede, esattamente sotto la mia finestra, una quindicina di celerini gli sono saltati addosso e hanno cominciato a picchiarlo con una furia incredibile. Avevano fatto cerchio sopra di lui tanto che non si vedeva più, ma dai gesti dei celerini si capiva che dovevano colpirlo sia con le mani che con i piedi, sia con i calci dei fucili.
Ad un tratto alcuni celerini sono scesi dalle camionette davanti, e sono intrevenuti sul gruppo di quelli che picchiavano, dicendo frasi di questo tipo: "Basta, lo ammazzate!" È successo un po' di tafferuglio fra i due gruppi di PS. Poi uno che sembrava un graduato è entrato nel mezzo e con un altro celerino lo hanno tirato su. Solo in quel momento l'ho potuto vedere in faccia, perchè teneva la testa ciondoloni sulla schiena. Aveva i capelli neri, gonfi e ricciuti e aveva la carnagione scura. Lo hanno poi trascinato verso le camionette mentre il graduato gli dava qualche schiaffetto per rianimarlo".
Alle dieci, in città non c'è più un solo bar aperto. Circola la voce che ci sarebbe un morto. In una caserma della polizia si sente cantare fino a tardi.

domenica 3 maggio 2015

La violenza di piazza è una reazione alla violenza del sistema

Va chiarito una volta per tutte: la tanto stigmatizzata violenza di piazza di manifestanti, studenti, lavoratori, disoccupati, terremotati, cittadini pieni di immondizia, ecc... è sempre e solo una reAzione alla violenza (fisica, economica, sociale, culturale, psicologica ed esistenziale) del Sistema.
Quale Sistema? Quello che consente a due schieramenti politici falsamente alternativi (i cosiddetti centrodestra e centrosinistra) di governare in difesa dei poteri forti e contro gli interessi dei lavoratori e delle famiglie; quello che considera più grave il lancio di un sanpietrino rispetto ai milioni di disoccupati e precari che non riescono ad arrivare a fine mese; quello che viene incontro alle richieste dei vari Marchionne di turno ed ignora puntualmente quelle degli anonimi lavoratori; quello che non dà risalto alle manifestazioni di protesta dei cittadini solo se queste sfociano in atti di vandalismo e violenza.
E le forze dell'ordine, loro malgrado, sono i difensori del Sistema, quindi sono avversari di chi contrasta il Sistema. E le forze dell'ordine difendono un Sistema che li sfrutta, li umilia, e li fa odiare da tanta gente.
Io dico che atti di vandalismo o violenza sono da intendersi come CONSEGUENZA della violenza che il Sistema produce su ognuno di noi quotidianamente, in ogni aspetto della nostra vita individuale e comunitaria.
Se non ci fossero i politicanti corrotti che pensano solo alla loro poltrona e al loro vitalizio, se non ci fossero spese assurde e inutili tipo TAV, EXPO ecc. e questi soldi fossero investiti per ristrutturare scuole e ospedali, se la ricchezza mondiale fosse equamente divisa per tutti gli abitanti del pianeta, non avrebbero modo di esistere i Black Bloc e non ci sarebbe alcuna violenza di piazza.
Non voglio sentire i soliti "buonisti" pronti a solidarizzare con le forze dell'ordine e a criticare i manifestanti. Vogliamo sentire qualcuno che, indipendentemente dai risvolti pacifici e/o violenti dei cortei, focalizzi l'attenzioni sulle RAGIONI che spingono migliaia di persone a scendere in piazza a manifestare.
Detto in parole povere: sono stanco di sentire critiche su COME si manifesta, ma voglio sentire pareri sul PERCHÈ si manifesta.