..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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venerdì 31 ottobre 2014

Roma 1-2 novembre incontro Abitare nella crisi

 Abitare nella crisi agisce il diritto all'abitare come esercizio di nuova sovranità sociale sui suoli anche attraverso le forme della riappropriazione, contro la precarietà e la rendita, praticando il diritto alla casa e al reddito.

Cariche a Roma contro gli operai della Ast di Terni

Centinaia di lavoratori della Ast (Acciai Speciali Terni) di Terni hanno raggiunto Roma questa mattina per protestare contro gli annunciati 500 licenziamenti da parte dell'azienda Thyssen Krupp che controlla l'acciaieria ternana.
La manifestazione si è diretta inizialmente sotto l'ambasciata tedesca della capitale, dove si è svolto un presidio. Intorno alle 13 i lavoratori hanno poi deciso di muoversi in corteo in direzione del Ministero dello Sviluppo Economico, ma sono stati bloccati poco dopo dai cordoni della celere. Quando gli operai hanno rivendicato il proprio diritto a raggiungere il Ministero, la reazione della polizia non si è fatta attendere e all'altezza di piazza Indipendenza sono partite alcune cariche per bloccare il corteo. Tre manifestanti sono rimasti feriti e portati al pronto soccorso.
Dopo le manganellate i lavoratori dell'acciaieria Ast sono riusciti infine a raggiungere il Ministero, dove una delegazione - guidata dal segretario Fiom Maurizio Landini - ha ottenuto un incontro. All'esterno intanto prosegue il presidio degli operai in una piazza blindatissima e guardata a vista dalla polizia. Assieme a loro anche i dipendenti della Jabil di Marcianise, in provincia di Caserta, che si trovavano già in piazza in difesa del proprio posto di lavoro.
Emblematiche le dichiarazioni di Landini, che solo due settimane fa tuonava dal palco torinese dando degli "sciocchi" agli studenti che in piazza Castello resistevano alla pioggia di lacrimogeni sparati dalla polizia, e che oggi invece parla di una violenza inaccettabile e senza motivo e scopre che i manganelli del governo Renzi fanno male e non risparmiano nemmeno i lavoratori. 

Al di là del coro unanime di condanna delle cariche che si è subito levato da sindacati confederali, Sel e M5S (e dell'ipocrita presa di parola del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio, che ha promesso di "verificare e indagare sull'accaduto"), la reazione contro i lavoratori delle acciaierie Ast è l'ennesima doccia di realtà. Belle parole dal palco della Leopolda e selfie a parte, il governo Renzi conferma la propria volontà di chiudere la porta in faccia a qualsiasi spazio di mediazione o contrattazione e quindi, dall'altra parte, la necessità di intraprendere strade differenti anche rispetto al conflitto sul lavoro.


lunedì 27 ottobre 2014

Non mi ingannate più. E, in cuor mio, non vi perdono


Non sono un ladro né un assassino: sono semplicemente un ribelle. Non vi riconosco il diritto di interrogarmi, perchè qui, sono io l'accusatore.
Accuso questa società matrigna e corrotta, in cui l'orgia, l'ozio e la rapina trionfano impuniti e anzi venerati, sulla miseria e sul dolore degli sfruttati. Voi cianciate di furti, voi mi chiamate ladro come se un lavoratore che ha dato alla società trent'anni della sua avvilente fatica per poi non avere neppure il pane per sfamarsi, un cencio per coprirsi, un canile in cui rifugiarsi, potesse mai essere un ladro. Voi sapete bene che mentite, voi sapete meglio di me che è furto lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, che se al mondo vi sono dei ladri, questi vanno cercati tra coloro che oziando gozzovigliano a spese dei miserabili, i quali producono tutto, con le proprie mani martoriate.
Voi stessi sareste capaci di condividere ciò che sto per dirvi: che scopo dell'essere umano è la libertà e il benessere. Ma la prima non può trionfare se non grazie alla rivolta contro chi devasta la civile convivenza perseguendo soltanto il proprio profitto, e il secondo si realizzerà soltanto con la violenta distruzione degli intollerabili privilegi di un'oligarchia razziatrice.
È per questo che sono anarchico. Perchè ho il diritto di essere libero riconoscendo come limite alla mia libertà la libertà altrui. E ho consacrato ogni mio pensiero, ogni mia parola e ogni mio sforzo, tutta la vita, a debellare i vostri insani principi di autorità e proprietà, aspirando a distruggere il vecchio ordine sociale, perchè non ritengo assurdo nè utopico che dalle nostre menti, dai nostri cuori e dalle nostre braccia possa scaturire un mondo migliore, dove libertà e benessere siano il frutto dell'eguaglianza e dell'armonia, in una società che bandisca lo sfruttamento e persegua le regole della solidarietà e della reciprocità, in nome del rispetto della vita umana che voi, difendendo i più sordidi interessi delle classi privilegiate, soffocate con leggi che insegnano e propagano il disprezzo e la sopraffazione.
Sareste così temerari da negare tutto ciò?
A smentirvi basterebbero le brutali statistiche delle quali cito qualche esempio: nelle fabbriche di vernici o di specchi, i lavoratori sono avvelenati dai sali di piombo e di mercurio, falciati a migliaia nel vigore degli anni, quando sappiamo che la scienza ha dimostrato che questi micidiali sistemi di produzione potrebbero, con poca spesa e minimo sacrificio, essere sostituiti da metodi e prodotti inoffensivi. Le fabbriche di giocattoli intossicano con eguale disinvoltura gli operai che li confezionano e i bambini a cui sono destinati, per non parlare delle miniere, bolge orrende dove migliaia di disgraziati, estranei al mondo, al sole, a un barlume di affetto, sono destinati all'abbrutimento per fare la fortuna di un ignobile pugno di parassiti. Tutto il vostro sistema di produzione è un insulto alla vita, e un crimine contro l'umanità.
E lo sfruttamento dell'uomo non è ancora il più feroce e cinico: che dire dello sfruttamento della donna, verso la quale la vostra società è addirittura più spietata?
Oh, io le ho viste, e tante, gagliarde, nel fiore della giovinezza, piene di salute, arrivare dalle campagne avare alla città piovra. Rideva nei loro occhi la speranza, con sana freschezza nutrivano la fiducia di giungere finalmente nella terra promessa del lavoro, della prosperità, del benessere. Le ho riviste qualche tempo dopo, uscire dai vostri ergastoli senz'aria e senza luce che chiamate fabbriche, lavorando dieci, dodici o quattordici ore per il pane, sognando un'agiatezza che l'onesta fatica non concederà mai, le ho riviste anemiche, stanche, esauste, nauseate da un lavoro schiavista e dal vostro cinismo. Le ho riviste a tarda notte nelle taverne dei sobborghi, sul lastricato, tra le pozzanghere, guadagnarsi il pane e un rifugio ricorrendo al più umiliante mercimonio. Le ho riviste nelle celle delle gendarmerie, schedate, bollate dal marchio dell'infamia, queste poverette che la vostra società ipocrita relega al margine. Le ho viste intristirsi, inasprirsi sotto la sferza della fatica e della miseria, non credere più nella vita, non credere più nell'avvenire, non credere più nell'amore, proprio loro che all'amore si erano concesse sorridendo e avevano salutato la nuova culla con lacrime di gioia. E sotto quell'accidia ho visto germinare le delusioni che si trasformano in disperazione, scatenando violenze e l'abbandono della famiglia, questo istituto a vostro dire sacro di cui vi autoproclamate sacerdoti, custodi e paladini.
E in cuor mio, non vi ho più perdonato.
Sono un operaio che non ha sopportato a capo chino, e prima, ero carne da cannone, tornato dalla bassa macelleria del 1870 straziato dalle ferite e spezzato dai reumatismi. Nei tristi androni dell'ospedale ho avuto tempo, molto tempo, per riflettere su quanto la patria aveva voluto da me e quanto la patria mi aveva dato. Prima mi avete annebbiato il cervello di menzogne, odio e furore selvaggio, per poi farmi avventare in nome dell'onore e della gloria della Francia, tra rulli di tamburi e squilli di fanfare, contro il nemico.
Il nemico? Li ho visti faccia a faccia, i nemici: erano poveracci come noi, che avanzavano verso la carneficina mesti, docili, inconsapevoli quanto noi di essere strumento di calcoli che di là come di qua dalla frontiera rinsaldavano i diritti feudali di vita e di morte sui sudditi.
Il nemico è qui. Dentro le frontiere segnate dal capriccio e dalla bramosia di profitto dei governi. L'umanità che soffre e lavora, quella è la nostra patria. Il nemico, è l'oligarchia ladra che si ingozza sul nostro sudore. Non ci ingannate più.
Voi ci avete spediti al di là del mare contro popoli che chiedevano soltanto di mantenere inviolato il proprio focolare. In nome della vostra civiltà ci avete incitato allo stupro, al saccheggio, alla strage, per sete di conquista. E dopo tanto orrore e ferocia, avete la sfrontatezza di giudicare i disgraziati che vedendosi negato il diritto a una dignitosa esistenza, hanno avuto almeno il coraggio di andarsi a prendere il necessario là dove abbonda il superfluo?
Ecco perchè mi trovo qui: per aver gridato forte e chiaro ciò che Proudhon si è limitato a pronunciare a bassa voce davanti a un'accademia di benpensanti: che la proprietà, se non nasce dal lavoro, se non germoglia dal risparmio, dall'abnegazione, dall'onesto vivere, è un furto. Voi avete fatto della proprietà un'istituzione. Egoista e una pratica selvaggia a cui tributate venerazione, mentre i miserabili devono a essa i dolori, l'odio e le maledizioni.
Io non tendo la mano a chiedere l'elemosina. Io pretendo che mi sia riconosciuto il diritto a riprendermi ciò che mi è stato tolto da una congrega di accaparratori, ladri e corrotti.
Non mi ingannate più. E, in cuor mio, non vi perdono.

Discorso dell'anarchico Clement Duval al suo processo del 1887

sabato 25 ottobre 2014

Senza servi, niente padroni

Renzi ha calato le sue carte. Carte pesanti che incideranno nel profondo nella carne viva di chi, per vivere, deve lavorare.
Il vertice sul lavoro convocato proprio a Torino – dove i numeri dei disoccupati, dei precari, dei senza casa, dei senza futuro – non sono statistica ma innervano il tessuto sociale, attraversando le vite dei più, è uno schiaffo a mano aperta a tanta parte della nostra città.
Le reti familiari, smagliate e indebolite, non ce la fanno più a reggere il peso della solidarietà sociale, sempre forte, nonostante l’appeal degli slogan del Presidente del consiglio.
Il suo gioco è volgare ma abile. Dopo decenni di erosione di libertà, quei pochi che ancora ne godono possono essere dipinti come “vecchi” privilegiati. Chi è nato precario, chi a trent’anni ha una laurea e risponde al telefono, chi a 29 si ritrova ad essere un apprendista licenziato per sempre, non ha mai conosciuto le tutele dell’articolo 18.
Dopo aver demolito un sistema di garanzie costruito in decenni di lotte – quando l’ammortizzazione del conflitto era l’unico modo per contenere la lotta di classe – oggi il PD targato Renzi, sta chiudendo gli ultimi conti, cercando di contrapporre i figli disoccupati ai padri costretti a lavorare sino alla tomba.
E’ la fine di ogni finzione socialdemocratica. I figli della crisi stanno imparando ad attraversarla, agendo forme di conflitto che provano a di ri-definire un terreno di lotta che getti la questione sociale nel tessuto vivo delle nostre città. Una strada ancora in salita in cui la violenza della polizia si intreccia con la rassegnazione di tanti. Ancora troppi.
Il movimento di lotta per la casa, i facchini che bloccano i gangli della circolazione delle merci, ultimo nodo materiale, nella smaterializzazione e parcellizzazione delle produzioni e dei contratti, sono i segni – per ora ancora troppo deboli – di un agire che si emancipa dal piano meramente rivendicativo e scende sul terreno della riappropriazione diretta.
La crisi e la macelleria sociale che ci è stata imposta ci offrono possibilità inesperite da lungo tempo, seppellite nelle pieghe della memoria della lotta di classe, dello scontro con la struttura gerarchica della società e della politica.
La perdita irreversibile di un ampio sistema di garanzie e tutele, la fine dello scambio socialdemocratico tra sicurezza e conflitto, potrebbe offrirci nuove possibilità.
La retorica dell’antipolitica, il populismo più becero, la paura del grande complotto, alibi per le destre di ogni dove, comunque si coniughino nella geografia dei giochi parlamentari, seducono sempre meno, mostrando una trama già logora
Il sindacalismo di Stato, la CGIL, la CISL e la UIL, sono nel mirino del rottamantore: quando la repressione prende il posto della concertazione, il grande corpo flaccido del sindacato statalizzato deve rassegnarsi ad una secca perdita di status, pena la fine dei lucrosi spazi di cogestione che gli sono stati regalati negli ultimi vent’anni. Camusso che minaccia lo sciopero generale ma organizza una passeggiata romana, è come il pastore che grida al lupo quando le pecore sono già morte tutte.
Sempre meno lavoratori si rassegnano al recinto del sindacalismo di Stato, saltando lo steccato.
Gli scioperi tardivi della Fiom non devono farci dimenticare che il precariato e il caporalato legale, sono stati sdoganati con gli accordi del 31 luglio 1993 e del 3 luglio 1994. I vent’anni di tabula rasa di diritti e tutele che sono seguiti li hanno sempre visti in prima fila.
Negli ultimi anni abbiamo assistito al moltiplicarsi di reti territoriali, che intrecciano legami solidali nella pratica quotidiana, nella relazione diretta, nella costruzione di percorsi di esodo conflittuale dall’istituito.
La scommessa è costruire nel conflitto, fare dell’esodo, della fuoriuscita dalla morsa delle regole del capitalismo e dello Stato, il punto di forza per l’estendersi delle lotte.
Uno spazio pubblico strappato alla delega democratica, che in alcune occasioni si è creato nelle lotte per la difesa del territorio, è stato laboratorio di idee e proposte radicali. Aumentano coloro che riconoscono l’incompatibilità tra capitalismo e salute, tra capitalismo e futuro, offrendo spazi all’emergere di un immaginario, che mette all’ordine del giorno, come necessità di sopravvivenza, la rottura dell’ordine della merce.
Le lotte contro gli sfratti e per l’occupazione di spazi vuoti spesso non si limitano a cercare di sottrarre alcuni beni al controllo del mercato, ma negano legittimità alla nozione stessa di proprietà privata.
La fine delle tutele apre uno spazio – simbolico e materiale – per riprenderci le nostre vite, sperimentando i modi per garantir(ci) salute, energia, cura degli anziani e dei bambini fuori e contro il recinto statuale. La scommessa è tentare percorsi di autonomia che ci sottraggano al ricatto del “peggio”, ai processi di servitù volontaria (leggi, ad esempio, lavori/tirocini/stage non pagati etc.), alla continua evocazione dell’apocalisse che abbatte chi non segue i diktat della politica nell’epoca del liberismo trionfante, della finanza anomica, della logica del fare per il fare, perché chi fa mette in moto l’economia, fa girare i soldi, “crea” ricchezza.
Sappiamo che questa logica “crea” solo macerie.
Lasciamo che Renzi e i suoi le spalino, noi abbiamo un mondo nuovo nei nostri cuori, nelle nostre teste, nelle nostre braccia.


(Questo il testo della Fai torinese distribuito in piazza il 18 ottobre, nell’ultimo giorno del vertice dei ministri del lavoro del Consiglio d’Europa. In una Torino ancora militarizzata, nonostante il summit al Regio si fosse concluso da qualche ora, hanno sfilato circa 500 persone. La manifestazione, partita dal palazzo delle facoltà umanistiche, è arrivata a piazza Castello per concludersi al Balon, nel piazzale della mongolfiera.)

venerdì 24 ottobre 2014

Kobane anche a Torino

Uomini, donne, tanti bambini. Tanta parte della comunità curda a Torino, quasi sempre invisibili, scambiati per turchi, nella eterna finzione kemalista che annulla la lingua e l’identità curda nella definizione annichilente di “turchi di montagna”, si è ritrovata in piazza Castello.
Nel trentesimo giorno dell’assedio di Kobane era arrivata un piccola buona notizia: la bandiera dell’Isis era stata strappata dalla collina conquistata dalle truppe del califfo.
Le frontiere con la Turchia sono serrate. Le truppe di Erdogan chiudono in una morsa il valico di Suruc, per impedire il passaggio di armi, aiuti, volontari.
Alcune centinaia di profughi, chiusi in uno stadio, sono stati gasati per aver protestato, ed una sessantina è stata deportata a Kobane, in zona di guerra.
In piazza Castello tanti sono gli slogan contro Erdogan e la chiusura delle frontiere. “Erdogan terrorista” è il più gettonato.
Lo striscione di apertura porta la scritta “Ovunque Kobane, ovunque resistenza”.
La lotta della piccola città che resiste è diventata un’urgenza per chiunque abbia a cuore la possibilità che l’esperimento libertario del Rojava ha aperto.
L’Isis, Daesh come la chiamano i curdi, non per caso vuole massacrare e ridurre in schiavitù gli abitanti.
Quello che è stato costruito a Kobane e nel Rojava è la dimostrazione che esiste una possibilità di creare relazioni politiche e, in parte, anche sociali, laiche, libertarie, solidali. Non è l’anarchia, ma certo non è poco.
In piazza colpisce la straordinaria serietà dei bambini che portano un cartello, fanno la V con le dita, salutano. Alcune bambine e ragazze portano uno striscione in solidarietà con le donne che combattono a Kobane, le YPJ.
Nei tanti interventi la consapevolezza che in quell’angolo a cavallo tra tante frontiere sta capitando qualcosa che ci riguarda tutti.

Il presidio si trasforma in corteo, attraversando la centralissima via Po per raggiungere la RAI, sostarvi a lungo e poi tornare in piazza per una danza collettiva, un affermazione di vita contro le armate feroci del califfo.

NO copyright

“Lorsignori vogliono una società dove si paghi un balzello anche quando si canta "Tanti auguri a te" alle feste di compleanno. Non è una boutade: la celeberrima canzone non è di pubblico dominio, i diritti per l'Italia sono della Emi-Sugar.”
L’intelligenza collettiva non è semplicemente un modo di lavoro collettivo. E' anche una modalità operativa di conoscenza del mondo. Di fatto non sarebbe possibile ritenere l'enorme quantità di informazioni significative che ogni giorno, fin dalla nascita, percepiamo attraverso l'esperienza. Per fronteggiare questo problema l'umanità ha creato nel suo procedere storico un'enormità di artefatti cognitivi, disseminati negli oggetti, nei testi, nei comportamenti e nella lingua in generale. Ovverosia gli oggetti si danno alla nostra percezione fornendoci attraverso forma e sostanza le tracce inerenti al loro senso ed uso. In pratica il processo del nostro pensiero non si avvale esclusivamente degli input che emergono dall'interno, ma si appoggia a una parte della mente disseminata negli artefatti cognitivi di cui il mondo abbonda. Il nostro pensiero, funziona grazie ad una parte della nostra mente collettiva che risiede nelle cose che ci circondano e che sono il prodotto delle molteplici culture che si sono susseguite, mescolate e rielaborate.
Questo vuol dire che non possiamo fare a meno dell'intelligenza collettiva per elaborare pensieri sensati. Che, dunque, qualsiasi cosa prodotta da ognuno di noi è contemporaneamente anche il frutto dello sforzo del resto della collettività nello spazio e nel tempo.
È difficile quindi pensare di poter assegnare ad alcuni il diritto di possedere una proprietà intellettuale esclusiva su qualcosa.
Il copyright, la «riserva del diritto d'autore sulla riproduzione di un'opera» (libro, disco, programma che sia), è un chiaro esempio di come sia il denaro a scandire la nostra vita, a regolarla e ad orientarla. Quando andiamo in libreria e acquistiamo un libro, sborsando una somma più o meno elevata, ne usciamo solitamente soddisfatti di poter godere un bene che riteniamo di aver liberamente scelto. Ma non è proprio così. La nostra scelta dipende dalle nostre possibilità economiche, dalla selezione di libri che qualcuno ha messo "a nostra disposizione"; qualcuno che a sua volta ha dovuto scegliere fra i libri che un altro ancora ha scelto per lui. Dunque il lettore è condizionato dalle scelte del libraio, che è condizionato dalle scelte del distributore, che è condizionato dalle scelte dell'editore.
Il risultato di questo iter non ha nulla a che vedere con il nostro "sapere e la nostra "cultura", ma solo col conto in banca dei tanti bottegai. In tutto ciò il copyright svolge un ruolo importante, determinando le scelte di un editore, il prezzo di un libro, la sua stessa presenza in libreria, fino alla nostra possibilità di acquisto. Serve cioè ad arricchire chi sfrutta un nostro desiderio: leggere un libro, ascoltare un disco o quanto altro.
Come ogni proprietà. esso è un furto

domenica 19 ottobre 2014

Chi detiene l'informazione detiene il potere. No copyright

Da sempre nella storia dell'uomo chi detiene l'informazione detiene il potere.
I grandi gruppi culturali e d'informazione coprono il mondo intero con satelliti e cavi. Ma possedere tutti i canali d'informazione del mondo ha senso solo se si possiede l'essenziale del contenuto, di cui il copyright costituisce la forma legale di proprietà. Il concetto di diritto d'autore diventa così uno strumento di controllo del bene comune intellettuale e creativo, nelle mani di un ristretto numero di imprese. Diritto fondamentale per le grandi corporation che applicano intensivamente lavoro cognitivo e che producono beni ad alto contenuto di sapere, come le industrie dell'informatica, della musica, del cinema, della farmacologia, della bioetica, è diventato sempre più difficile imporre il concetto di proprietà, devono quindi ricorrere alla repressione, alla violenza e al ricatto per poter imporre la privatizzazione di merce creativa, immateriale e replicante.
Il copyright è diventato il pretesto per affermare il potere e il guadagno di quelle grandi organizzazioni, con il sostegno del potere politico che in molti paesi ha il controllo più o meno assoluto dell'informazione e che nelle democrazie, quando non riesce a impadronirsene, fa tutto il possibile per guadagnarne la benevolenza.
Possiamo quindi affermare che diritto d'autore, marchi, brevetti rappresentano spazi di recinzione immateriale, filo spinato al libero pensiero, mercificazione dell'alfabeto; rifiutiamo quindi la trasformazione di noi tutti in merce, diciamo no alle leggi di mercato, alla proprietà privata, nessun copyright, nessun notaio o contratto, ma gratuità, mutuo appoggio complicità e piacere.

domenica 12 ottobre 2014

Pazzi uomini bianchi

Vi è molto di folle nella vostra cosiddetta civiltà. Come pazzi voi uomini bianchi correte dietro al denaro, fino a che non ne avete così tanto, che non potete vivere abbastanza a lungo per spenderlo. Voi saccheggiate i boschi e la terra, sprecate i combustibili naturali, come se dopo di voi non venisse più alcuna generazione, che ha altrettanto bisogno di tutto questo. Voi parlate sempre di un mondo migliore, mentre costruite bombe sempre più potenti, per distruggere quel mondo che ora avete.
Bufalo che Cammina, Stoney

venerdì 10 ottobre 2014

Unioni omosessuali. Il pomodoro schiacciato sparge i suoi semi

Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha annunciato l’invio di una circolare ai prefetti, affinché invitino formalmente i sindaci a cancellare le trascrizioni delle nozze gay contratte all’estero, ed è subito rivolta tra i primi cittadini: da Bologna a Napoli, da Roma a Grosseto, i sindaci non ci stanno e invitano alla disobbedienza. La maggioranza di governo si spacca, fra Ncd che sostiene Alfano e Pd e Sel che lo invitano a lasciar fare al Parlamento.
In realtà non si tratta che di propaganda.
Nel nostro paese due persone dello stesso sesso non si possono sposare, l’iscrizione in un registro delle nozze contratte all’estero, non da alcun diritto, è solo un atto simbolico.
La mossa di Alfano è un passo per mantenere la presa sull’elettorato cattolico più conservatore, che è il maggior serbatoio di voti del Nuovo Centro Destra, il partito nato dalla costola di Silvio Berlusconi, ma sedotto dalla mela di Matteo Renzi.
La partita sul matrimonio dimostra quanto profondamente sia permeata dall’influenza della Chiesa Cattolica la politica istituzionale. Oggi più che ai tempi della Democrazia Cristiana, la Chiesa pianta i propri denti nella carne viva delle relazioni sociali, senza alcuna opposizione reale.
Se la Democrazia Cristiana fosse stata un pomodoro, la sua fine è un pomodoro schiacciato che ha sparso ovunque i suoi semi, facendo crescere ovunque la propria malapianta.
Il Partito Democratico aveva promesso durante la campagna elettorale il registro delle unioni civili per tutt*. L’alleanza con il NCD di Alfano ha mandato in soffitta ogni possibile percorso in tale direzione.
D’altra parte sono trascorsi circa 25 anni da quando un Massimo D’Alema al centro dell’agone politico aprì un’interlocuzione con il fondatore del Movimento per la vita Carlo Casini, esponente di punta dell’oltranzismo cattolico. L’assunto di D’Alema era che i valori cattolici hanno un fondamento universale e sono alla base dei valori costituenti della nostra civiltà. Più che un assist all’avversario, un buovo matrimonio di interessi, che ha dato uno stop all’impetuoso processo di laicizzazione delle istituzioni, innescato dalle lotte di libertà di donne e omosessuali.
Il fatto che nella concretezza delle relazioni umane la “morale” cattolica sia divenuta una moneta fuori corso spiega le “aperture” di Bergoglio nei confronti di divorziati e coppie di fatto. Nessuna modifica dottrinale ma un atteggiamento di paterna comprensione è la cifra di un papa che ha rinfoderato la spada di Ratzinger per riuscire a recuperare il terreno perduto.

mercoledì 8 ottobre 2014

Resistenze nascoste in Palestina


Anche se media e libri di storia fanno di tutto per negarlo e nasconderlo, quella in Palestina resta prima di tutto una straordinaria storia di resistenza pacifica. Dalle ribellioni contro le politiche coloniali britanniche degli anni ’20, come il grande sciopero del 1936 durato sei mesi, fino alle forme attuali di resistenza quotidiana, in primis andare a scuola e non smettere di lavorare durante l’occupazione sempre più violenta. Uno dei passaggi di questa non-storia è la Giornata della Terra, quando il 30 marzo del 1976 migliaia di palestinesi cittadini d’Israele si riunirono per protestare contro la decisione del governo  di espropriare 60.000 dunam (60 chilometri quadri) di terre palestinesi nella Galilea: naturalmente la polizia israeliana reagì con violenza, causando la morte di sei palestinesi e ferendone centinaia. Non si tratta di spiegare ai palestinesi come dovrebbero resistere di fronte a uno degli eserciti più potenti del mondo, ma di riconoscere nella ribellione quotidiana di migliaia di persone comuni storie di speranza e dignità. Del resto, cosa sono le proteste di ogni giorno, le dimostrazioni di massa, i rifiuti di pagare tasse, i boicottaggi economici, gli scioperi dei lavoratori, le aperture di scuole comunitarie illegali, le azioni di distruzione di documenti d’identità emessi dalle autorità israeliane, gli scioperi della fame nelle prigioni israeliane, le proteste contro il Muro?