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giovedì 27 febbraio 2014

22 febbraio. Il vento sta cambiando

Un sabato con il sapore della primavera anticipata. Impossibile fare il conto esatto delle città attraversate dalla giornata di lotta del 22 febbraio. Tra cortei, presidi, punti info, azioni simboliche l’intero paese è stato attraversato da iniziative grandi e piccole: decine di migliaia di persone sono scese in piazza contro il Tav e la repressione.
Nelle stesse ore Matteo Renzi prende la campanella dalle mani di un Enrico Letta ancora stordito per la rapida congiura di Palazzo, che gli aveva sfilato la poltrona in meno di due settimane. Renzi sale al trono, Letta prende la via dell’esilio.
In Ucraina, dopo cento morti, il parlamento decreta la cacciata dell’autocrate e miliardario Yanucovich e apre le porte della galera della sua antagonista, condannata per aver favorito gli interessi russi, la miliardaria oligarca Timoshenko. Mentre l’uno scappava nella Crimea filorussa, l’altra arringava una folla di gente, accolta come un’eroina.
Due brutti film. Uno ci racconta dell’Italia che continua a cambiare testimonial, sperando di trovare quello con la faccia giusta, con il piglio adatto per contendere gli spazi al Cavaliere delle mille risorse. Una tristissima commedia.
L’altra pellicola, tra le divise improvvisate e truci, il fumo nero dei roghi, i liquami scuri che si mescolano al sangue e alle bandiere, ci raccontano dell’ennesima follia identitaria che frantuma il cuore dell’Europa, che mette a nudo la paura dei poveri, gente che lotta e muore tra preti e fascisti, sperando che i muri d’Europa li possano proteggere. O, forse, illudendosi che le strade dell’emigrazione siano più facili da solcare. Tinte fosche come nei “Giovani leoni”, ma con scene da “Apocalipse now”.
Difficile non pensare alla distanza infinita, culturale, politica di pratica e di esempi tra le piazze No Tav del 22 febbraio e le feroci battaglie di potere che di giocavano nelle stesse ore a Roma e Kiev.
Nelle piazze che si sono strette intorno a Chiara, Claudio, Nicolò, Mattia c’era la forza di chi passo dopo passo ha imparato a camminare con le proprie gambe, a non delegare ai professionisti della politica il proprio futuro. Non solo. Le piazze che da Chiomonte a Caltanissetta hanno risposto all’appello del movimento No Tav sono la rappresentazione migliore del fallimento delle strategie del governo, dei media, della magistratura.
Hanno fallito se speravano di seminare la paura, di indurre i più al mugugno silente del bar sport, all’invettiva tra le mura di casa.
L’utilizzo di una fattispecie di reato che colpisce quattro attivisti per ammonirne cento, ha prodotto un effetto boomerang.
Di fronte alla criminalità di una classe politica che sistematicamente depreda le risorse pubbliche per fini del tutto privati, di fronte a chi non esita ad avvelenare la terra e chi ci vive, di fronte a chi saccheggia e devasta, a chi abbandona al degrado le scuole e i treni locali, a chi risparmia sulla nostra salute per arricchirsi, è chiaro chi sono i terroristi. Siedono nei consigli di amministrazione della CMC e della Rocksoil e delle tante ditte che lucrano sulle grandi opere inutili e dannose, siedono sui banchi del governo di turno, siedono sugli scranni dei giudici e sulle poltrone del Procuratori della Repubblica. Sempre più persone sanno che di fronte alla criminalità del potere, non basta la testimonianza, occorre mettersi in mezzo, agire concretamente per inceppare il dispositivo disciplinare nel quale stringono interi territori.
Non era un esito scontato. Chi in questi tre anni ha spinto sul pedale che accelera la repressione, chi rende sempre più dura l’occupazione militare, chi ricatta la materialità stessa delle nostre vite, sperava che un simile dispiegamento di violenza fermasse le lotte.
Le piazze del 22 febbraio sono la dimostrazione di quanto si sbagliassero.
In valle, ma non solo in valle, i vari governi hanno sperato che questi lunghi e difficili anni di lotta spaccassero il movimento, rompessero quell’unità nella diversità che ne ha cementato la forza.
Come dimenticare la marea di menzogne che certa sinistra gettò sulle giornate del luglio 2001 a Genova? Come dimenticare la miriade di becchini che si avventarono sul nascente movimento antiglobalizzatore nel nostro paese, annegandolo in una marea di melassa?
Quel movimento pagò il proprio scarso radicamento, una radicalità del fare che si esprimeva in maniera sostanzialmente simbolica, l’illusione che l’altro mondo possibile potesse sostituire in maniera fluida ed indolore quello che contestava.
Venne frantumato, fatto a pezzi da certa sinistra di governo, da chi, come la CGIL, ambiva a farsene un bel fiore da portare all’occhiello. La denuncia sulle violenze della polizia, sulle torture di Bolzaneto venne depotenziata dalla presa di distanza dal blocco nero, dai manifestanti più radicali.
I governi di turno hanno operato perché la Val Susa offrisse uno scenario simile a quello genovese. Si sono sbagliati. La sinistra civilizzata, istituzionale, la sinistra del meno peggio è affogata nelle tristi avventure di governo. Quel poco che ne resta non ha potuto che mettersi in coda ai cortei del 22 febbraio, cortei in cui si sono espressi i tanti movimenti di lotta che stanno crescendo nel nostro paese.
Tanta gente, gente comune rifugge la violenza e vorrebbe più giustizia sociale e più libertà politica, tanta gente non è rivoluzionaria, ma considera le pratiche più radicali una risposta necessaria alla violenza di Stato, all’occupazione militare, alla ferocia nei confronti di chi resiste.
Sabato 22 febbraio questa gente è scesa in piazza in sostegno di quattro anarchici, nemici dello Stato e del capitalismo, accusati di aver attaccato il cantiere/fortino della Maddalena con bombe carta e molotov.
Il vento sta cambiando. È un vento teso, forte, che ci racconta di un paese dove tanti, troppi, fanno fatica a vivere, dove tanti non sono più disposti a chinare la testa.
Nei prossimi mesi occorrerà mantenere ferma la rotta, per rompere le catene nelle quali stanno stringendo le vite di quattro No Tav, per moltiplicare le iniziative, per far sì che la radicalità delle lotte si innesti nel radicamento territoriale.


domenica 9 febbraio 2014

Omofobia. Luci e ombre

Negli ultimi anni la condizione materiale delle persone GLBT è cambiata molto, grazie anche alle lotte che hanno saputo incidere nel tessuto materiale e simbolico di molte società.
In alcuni casi sono mutate anche le leggi. Se le norme sono la rappresentazione ritualizzata dei rapporti di forza, che segnano una data società, è innegabile che in molte aree del pianeta il riconoscimento formale di alcuni diritti alle persone GLBT, è indice di una capacità di mutare di segno uno stigma duro a morire.
In alcuni paesi tuttavia le cose sono peggiorate sensibilmente. Dalla Russia putiniana all’India, nel segno di un’identità nazionale vissuta nel segno della “tradizione”, sono state riportate in auge leggi discriminatorie e repressive contro le persone di orientamento sessuale diverso dalla norma etero.
Nella stessa Francia dei matrimoni omosessuali, qualche giorno fa il presidente Hollande ha ritirato una proposta di legge sul diritto di famiglia, più inclusiva nei confronti delle persone GLBT.
La decisione è stata presa dopo una marcia organizzata dal centro destra in difesa della famiglia tradizionale.
Luci ed ombre in un panorama nel quale è difficile scorgere una prospettiva chiara.

mercoledì 5 febbraio 2014

Kronstadt 1921

Gli anarchici hanno dato ampio contributo allo sviluppo della Rivoluzione in Russia perché da politica si trasformasse in sociale.
Eppure a Pietrogrado, nella primavera del 1921, lo stato d’assedio continuava ed era quasi impossibile aggirarsi per le strade. Pietrogrado sembrava una città morta; circolavano soltanto soldati e operai armati. Non si trovava un solo anarchico in libertà. solo a Mosca qualche gruppo viveva di vita stentata: la Federazione anarchica, il gruppo anarco-sindacalista Golos Truda, quello degli Universitari. Si vedevano qualche volta i militanti più famosi, come Emma Goldman appena giunta dagli Stati Uniti che l’avevano messa al bando, Aleksandr Berkman e altri che non facevano parte di nessun gruppo: ma erano sorvegliatissimi. Molti di questi anarchici avevano collaborato fino a quel momento col governo bolscevico. Che cosa era dunque successo? Due eventi storici gravissimi: la repressione in Ucraina contro i Maknovisti e la distruzione del Soviet dei marinai di Kronstadt, in cui erano rappresentati comunisti, anarchici e altre forze rivoluzionarie.
La città fortezza di Kronstadt, principale base della flotta russa nel Baltico, posta a difesa della capitale Pietrogrado, fu costruita nel 1710 da Pietro il Grande. Lungo tutta la storia del movimento rivoluzionario russo, e in particolare negli eventi che portarono alla vittoria la rivoluzione sovietica, la guarnigione di Kronstadt ebbe funzione di guida e di esempio. I marinai di Kronstadt, onore e gloria alla rivoluzione, come li aveva definiti Trotzki nel 1917, testimoni appassionati del logoramento dello spirito rivoluzionario e della fame terribile di cui pativano le masse lavoratrici russe, insorgono nel tentativo di restaurare la democrazia operaia diretta nel partito. La rivolta dura dal 28 febbraio al 18 marzo 1921 e viene spietatamente repressa dall’Armata Rossa.
Con la parola d’ordine liberi Soviet i marinai della base navale del golfo di Finlandia si ribellarono contro il governo bolscevico, che pure avevano aiutato a conquistare il potere, e fondarono una comune rivoluzionaria che sopravvisse 18 giorni, prima di soccombere di fronte alle truppe inviate contro di loro attraverso il ghiaccio. I marinai avrebbero potuto difendersi bombardando e spezzando il ghiaccio, ma non lo fecero. La battaglia fu, comunque lunga e selvaggia e le perdite gravi da entrambe le parti.
Gli anarchici scampati al massacro sostengono che si tratta della prima gravissima manifestazione di terrore di tipo staliniano ai danni della sinistra rivoluzionaria, e sottolineano il fatto che gli stessi bolscevichi autori diretti o indiretti della repressione finiranno vittime della controrivoluzione stalinista.
E così decine e decine di vecchi bolscevichi, nomi noti e meno noti che accorsero a battersi contro i rivoltosi di Kronstadt convinti di difendere la rivoluzione, mentre in realtà aprivano la strada alla dittatura staliniana, che si impadroniva del partito approfittando della fame, dell’arricchimento dei contadini, della morte dei veri rivoluzionari nella guerra civile, e soprattutto delle condizioni in cui versava la Russia, sola e arretrata.

domenica 2 febbraio 2014

Nestor Makhno il contadino

Chi era in realtà Nestor Makhno? Contadino che si era emancipato fino a diventare rivoluzionario, operaio e organizzatore politico. Non era mai stato un maestro di scuola, come si diceva. A sedici anni non ancora compiuti era entrato nel movimento rivoluzionario; prese parte alla prima rivoluzione del 1905 e nel 1908, in seguito a un attentato, fu arrestato e condannato a morte. Solo in considerazione della giovane età la pena fu commutata nei lavori forzati a vita. È in prigione che Makhno studia e diventa anarchico. In prigione conosce Arsinov, che avrà una parte di primo piano nella lotta partigiana e che diverrà in seguito biografo di Makhno e della makhnovcina. In prigione Makhno si ammala di tubercolosi (la malattia che lo stroncherà ancora giovane a Parigi nel 1934, dove esule camperà facendo l’operaio).
Sarà liberato solo dall’insurrezione del marzo 1917.
Nell’agosto del 1921, ferito alla testa da una pallottola durante l’ultimo combattimento, si rifugia in Romania ove viene subito internato. Dopo qualche mese riesce a fuggire dal campo di concentramento e penetra in Polonia ma viene di nuovo catturato e rinchiuso in un lager ancora più infame. Fugge di nuovo e aiutato dai suoi seguaci che si trovano in Germania, raggiunge Berlino. Riunitosi ai vecchi compagni, riprende la lotta, questa volta con la penna.  Da Berlino passa a Parigi, ove conduce un’esistenza più calma ma di grande miseria materiale. Comincia a scrivere le sue memorie, che la morte prematura interrompe al periodo 1917-18, all’inizio del movimento che prese il suo nome.
“La makhnovcina non è anarchismo. L’armata makhnovcina non è un’armata anarchica, non è formata da anarchici. L’ideale anarchico di felicità e uguaglianza generale non può essere raggiunto attraverso lo sforzo di una qualsiasi armata, anche se formata esclusivamente di anarchici. L’armata rivoluzionaria, nel migliore dei casi, potrebbe servire alla distruzione del vecchio e aborrito regime; nel lavoro costruttivo, nell’edificazione e nella creazione, qualunque armata, che logicamente non può che fondarsi sulla forza e il comando, sarebbe completamente impotente e persino nociva.
Perché la società anarchica diventi possibile, è necessario che in ogni luogo, in ogni città, in ogni villaggio, si risvegli tra i lavoratori il pensiero anarchico; è necessario che gli stessi operai nelle fabbriche e gli stessi contadini nei loro paesi e villaggi, si pongano alla costruzione della società anti-autoritaria, senza attendere da alcuna parte i decreti-legge. Né le armate anarchiche, né gli eroi isolati, né i gruppi, né la Confederazione anarchica, creeranno per gli operai e i contadini una vita libera. Soltanto i lavoratori stessi, con sforzi coscienti, potranno costruire il loro benessere senza Stato né padrone".