..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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martedì 30 settembre 2014

Per chi ci conosce e per chi eventualmente ancora non ci conosce

El paso. l'asilo occupato di via passo buole - ai limiti della torino civilizzata con lo sterminio della periferia tossica antiurbananell'epoca della sua maturità anagrafica ha deciso di partorire il bollettino.
Gli spazi soffocanti della cultura ufficiale in questi anni non ci hanno interessato se non per quello che valgono: intrattenimento a prezzo più o meno salato e salariato. Un prezzo economico ma anche morale e asfittico che malgrado tutte le nostre contraddizioni abbiamo sempre cercato di contrastare. Con questa “cultura” abbiamo sempre avvertito uno scarto, una differenza di marcia che a noi non piace marcire.
Finalmente sepolto un papa, quando leggerete ne avranno sicuramente eletto uno ancora più grande; vi confesserà personalmente via sms o via email, vedrete.
Guerre sembrano sul punto di in-finire e nel frattempo già di più grandi si vedono avanzare le ombre. Per abituarci a questo clima Torino negli ultimi anni si è trasformata in una piccola bagdad. Seguendo una devoluzione tutta sua la città formicaio metalmeccanica dove tutto doveva scorrere per il bene della produzione si è trasformata in una città di operai scavatori immigrati terroristi che si divertono a deviare il traffico nei punti nevralgici per il puro gusto apparente dell'ingorgo inquinante.
Palizzate e trincee dividono di punto in bianco quartieri che prima non avevano mai conosciuto un'intifida olimpionica. Tutto questo per via di alcuni sponsor e per le casse di altri desiderosi di rispondere al bene primario del lavoro, quello che distrugge le montagne per costruire piste di sport che sei persone in tutto hanno voglia di praticare.
El paso è autogestito e caoticamente anarchico. Non ha mai preso realmente nessuno per la gola. Quindi dopo quasi diciotto anni di antiproibizionsmo viscerale abbiamo deciso di crearci anche noi un tabù: non si spaccia più la Coca-cola. Se proprio non potete farne a meno portatevela da casa o rivolgetevi a un bravo psichiatra. A noi queste olimpiadi non piacciono e i suoi. La Coca cola ne è a capo, se non vi basta e volete saperne qualcosa ne è stata pubblicata un'intera mappa.
Da alcuni giorni tutt'intorno all'area olimpionica in cui viviamo - il lingotto/mirafiori - iniziano a circolare a nastro camionette militari. Segno che la guerra è iniziata realmente.
Noi siamo qua con le nostre attività clandestine aperte a chi come noi continua ad avere poco da perdere e quello che riusciamo a strappare dalle nostre vite reciproche da guadagnare.
Con amore e con odio, per il piacere e per la rivolta.

 
Prima pagina della fanzine
 
 ElPasoOccupato
N. 1 Maggio 2005

domenica 28 settembre 2014

La consapevolezza di vivere in un inganno permanente

Uno dei doveri dello stato è quello di far rimanere i cittadini nell'ignoranza circa la loro condizione di ingannati. Derubati della libertà, della vita e dei danari, i cittadini vengono mantenuti nell'ignoranza per mezzo di un ferreo controllo sulla diffusione della conoscenza. A monte, i governi vagliano le informazioni da distribuire al popolo, per un'istruzione nazionale fondata sulla parzialità della conoscenza, che è anche rimaneggiata, e sull'autopropaganda. Ma che cosa censura lo stato esattamente? Censura tutta la parte del pensiero umano che dimostra quanto lo stato sia un inganno permanente, così come un inganno è anche la chiesa, quale supporto emotivo dello stato per opprimere e imbonire i popoli. Una schiera di studiosi, antichi e moderni, vengono così tenuti nascosti alla massa, in modo che questa, abituata a seguire solo ciò che viene propagandato, creda ciecamente alle informazioni ricevute a scuola o in tv, e se ne affezioni.
Ma un'informazione parziale, controllata e distorta a monte, è una falsa informazione. Infatti, quello che emerge come qualità della “conoscenza certificata” dallo stato, è una desolante menzogna, un'approssimata visione della realtà che non corrisponde alla verità, delle vuote nozioni che investono solo la scorza delle questioni. Quando in particolari casi lo stato e la chiesa non riescono più controllare la diffusione della verità per mezzo della censura ordinaria, questi organismi autoritari perseguitano i pensatori responsabili, li ricattano, li denigrano, li puniscono, li ammazzano.
Riuscite voi, come noi, a mettere in dubbio tutto quello che ci viene propinato e spacciato come “conoscenza e verità!? Oppure siete troppo affezionati al Leopardi per poter prendere in considerazione altri autori? Non stiamo dicendo di eliminare Leopardi o Cartesio (due nomi a caso), ma di affiancare ai nomi propagandati il pensiero dei censurati (anche Pascoli era anarchico, ma non ve lo fanno sapere). Sulla schiavitù volontaria del popolo, ad esempio, ne parlava già nel XVI secolo Etienne de la Boétie; sull'autodeterminazione e l'emancipazione dell'individuo Max Stirner; sulla falsità della scuola e sui suoi meccanismi criminali ne hanno parlato -e ne parlano- parecchi pedagogisti, da William Godwin a Marcello Bernardi, passando per Ivan Illich, Sébastien Faure, ecc. E che dire di Giulio Cesare Vanini, filosofo di età barocca, condannato a morte perché diceva la verità, come Giordano Bruno e Galileo Galilei?
Per conoscere questi e altri pensatori censurati (anche contemporanei) potete fare riferimento alla casa editrice Elèuthera, o alle edizioni Zeroincondotta, ecc. Se conoscete anche solo i nomi di questi pensatori, potete trovarli semplicemente andando in biblioteca (il problema sta nel fatto -come dicevamo- che i nomi non ve li fanno conoscere, e chi non conosce i nomi coma fa a cercarli?).

giovedì 25 settembre 2014

Disertare la guerra




Un sole estivo per una bella giornata d’autunno ha accolto gli antimilitaristi che si sono incontrati ai giardini (ir)reali di Torino per la giornata dei “Senzapatria”. Banchetti informativi, tanti striscioni, cibo e bevande, un’assemblea e, in serata, il concerto dei Fasti e degli N.N. sono stati gli ingredienti di un’iniziativa che ha avuto il suo fulcro nel confronto sull’urgenza di un’azione antimilitarista diffusa sui territori, che sappia inceppare il motore del militarismo.
Non basta opporsi alle guerre, occorre individuarne la radici per estirparle, nella consapevolezza che sempre più impalpabile è il confine tra la guerra esterna e quella interna, tra guerra e ordine pubblico, tra operazioni “umanitarie” e repressione delle insorgenze sociali.
Nell’assemblea svoltasi nel pomeriggio i vari interventi hanno messo in luce l’intima connessione semantica e materiale di un’agire politico che fa della guerra – quella interna non meno di quella esterna – l’orizzonte “normale” della nostra epoca.
Dall’assemblea è scaturita la necessità di infittire il lavoro informativo e, nel contempo, moltiplicare le iniziative di contrasto della militarizzazione, che si concreta nella presenza dei militari per le nostre strade, nei CIE, nei quartieri popolari, nelle discariche, a Chiomonte come a Kabul. Gli stessi interventi di riqualificazione urbana si sostanziano nell’espulsione violenta dei soggetti considerati indesiderabili. Primi tra tutti i poveri, gli oppositori sociali, coloro che rifiutano il feticcio della proprietà privata, che si oppongono alla trasformazione dei luoghi pubblici in posti dove ogni forma di socialità è mediata dal denaro.
Un terreno di lotta importante è quello contro le fabbriche di armi, che hanno nella nostra Regione numerose eccellenze, come gli stabilimenti Alenia di Torino e Caselle o la fabbrica di Cameri. Qui si fabbricano gli eurofighetr, là si assemblano gli F35.
La propaganda di guerra il prossimo mese di alimenterà delle celebrazioni per il centesimo anniversario della “vittoria” nella Prima Guerra mondiale.
Il mese di ottobre sarà occasione per moltiplicare le iniziative antimilitariste sul nostro territorio, con proiezioni, serate informative, azioni di lotta. Le giornate dal 31 ottobre al 4 novembre ne saranno il fulcro. Il primo novembre ci sarà la giornata dei disertori.




domenica 21 settembre 2014

Ulrike Meinhoff. Identificazione del dissenso

... Quando entra in prigione il 17 luglio del '72, a Köln-Ossendorf, Ulrike ha 37 anni, ė pallida, smagrita, ha lo sguardo vacuo, un leggero tremito alle mani, qualche capello bianco: è invecchiata e appesantita, malgrado i 47 kg di peso. L'ex marito si rifiuta di riconoscerla in una foto che un suo reporter ha scattato con un tele de duemila. Ė da quattro anni che non la vede, la ricorda ancora bella, un po' sfrontata, elegante e raffinata: un'arrampicatrice un po' crudele e viziata, ma di viva intelligenza, caustica e brillante.
Quando entra in prigione, ė apatica e assente. Ha un attimo di guizzo quando un agente di custodia le chiede le generalità. Alla domanda "professione", risponderà "antifascista"; alla domanda "dove sei nata", risponderà "sul pianeta terra, sono cittadina del mondo". Più tardi, quando le chiederanno di precisare i suoi rapporti con Mahler, risponderà: "Horst per me ė un fratello, ma voi volete sapere solo se siamo stati a letto insieme. L'amor come lo concepite voi ė consumismo che noi respingiamo".
Poi ė il treacollo: disturbi semantici, stato di confusione e assenze: in giro se ne sa poco, ma tutto viene alla luce quando Heinrich Böll precisa che sia Ulrike che i suoi difensori sono contrari e definisce l'esperimento aberrante e sovialmente pericoloso. Alberto Moravia a Roma dichiara: "Il ragionamento dela corte federale di Karlsruhe sembra essere il seguente: il sistema sociale contro il quale la Meinhoff s'è ribellata, ė il migliore possibile sia secondo ragione e sia perchè accettato dalla maggioranza di cittadini. Inoltre, per la sua protesta la Meinhoff disponeva di normali mezzi di dissenso (partiti, stampa, piazza, eccetera) creati positamente dal sistema medesimo. Ha fatto ricorso invece al terrorismo: dunque, non può essere che pazza".
Questa identificazione del dissenso, sia pure terroristico, con la pazzia ė intollerabile e dovunque, in Germania, sorgono comitati contro la sentenza di Karlsruhe definita da Böll "di lesa umanità".
"Per fortuna," scrive dal carcere Horst Mahler "i nostri avversari compiono errori direttamente proporzionali alla loro volontà di repressione." La sentenza dei giudici di Karlsruhe ha infatti come effetto un revival dlle gesta della RAF: non sono solo i giovani che si richiamano a Jurgen Horlemann che parlano di guerriglia, ma ė il vecchio gruppo di tupamaros della RAF che si riorganizza per riprendere la lotta con Margrit Schiller e Ilse Stachowiak, ancora alla macchia.

Enrico Nassi
"La banda Meinhoff"
Fabbri Editori 1974

giovedì 18 settembre 2014

Senza Stato è meglio

Se il pensiero e l'azione anarchica partono da principi di antiautoritarismo e di mutuo appoggio, lo fanno sulla base del fatto che l'essere umano, nonostante l'imposizione culturale autoritaria ricevuta, conserva ancora in coscienza tali principi, e che questi principi nascono da una morale non imposta, naturale e umana. Normalmente, i detrattori del pensiero anarchico, cioè la maggioranza delle persone conformiste e conformate, sogliono portare a sostegno delle proprie convinzioni il fatto che l'essere umano, se libero, non soltanto è incapace di auto governarsi, ma sarebbe anche destinato a lasciarsi andare in atti vandalici o in scorribande o in appetitose ruberie a destra e a manca (più di quanto non si faccia in regime guerrafondaio statale?). Queste convinzioni emergono dacché 'viviamo' questo tipo di società autoritaria, dacché la libertà viene negata e le persone sono costrette in cattività e addestrate culturalmente alla competizione. Quindi è vero ciò che questi detrattori vanno affermando, ma limitatamente a questo tipo di cultura e a questa porzione di tempo storico. Ma nonostante questo abbrutimento generale, dentro ogni persona vive sempre il fermento di libertà e di quella morale naturale che fa agire diversamente dal consueto, in mutuo appoggio, in solidarietà, senza furberie da caserma. E uno dei segnali di questo fuoco di libertà che arde sotto le sovrastrutture ci arriva da tutte quelle attività umane dove la responsabilità è affidata ai singoli individui (libertà è responsabilità personale, e viceversa, senza deleghe), i quali, ben lungi dall'attivarsi in crimini, valutano e decidono per il meglio. Il caso dell'Osteria senza oste, dove chi va a mangiare lascia alla fine ciò che vuole, è uno dei tanti segnali, e testimonia quella che potremmo definire onestà intrinseca dettata da una morale naturale di mutuo appoggio (leggetevi Kropotkin, ad esempio). I clienti di quell'osteria non rubano il cibo, non commettono crimini, non vandalizzano il locale, non scassinano la cassetta coi soldi, e il locale svolge da tempo la sua attività “a libera offerta”. E' lo Stato, semmai, che non permette che si realizzi pienamente l'anarchia (ovvio), e infatti all'osteria sono arrivati i burocrati di Equitalia (società sbirrizzata!) a imporre ai gestori una multa salata per evasione fiscale, solo perché la gente mangiava e lasciava quel che voleva o quel che poteva: questo rappresenta un grave attacco alla cultura obbligata imperante, nonché un esempio per tutti che deve essere cancellato. I clienti però sono aumentati proprio a causa di questo sgarro autoritario. La gente sta prendendo coscienza finalmente? Non lo so. Mi chiedo però come mai l'enorme titanica ricchezza della chiesa, accumulata a forza di libere offerte (libere si fa per dire, spesso sono estorsioni) e senza emissione di scontrini, non venga mai sanzionata da tutta la società (sbirra!) che lavora al soldo dello Stato. Ma la mia domanda è retorica.

lunedì 15 settembre 2014

La grande menzogna: la guerra



“Finché la guerra sarà un buon affare in borsa, non c'è alcun motivo per disgustarsene”.
T. A. Steinlen (Revue d'Italie, 1905)

Non si fa la guerra perché c'è un nemico brutto e cattivo al di là della frontiera. Questo è quello che la propaganda di stato, nazionalista e fascista, fa credere ai sudditi per impaurirli e prepararli al massacro. Si fa la guerra affinché i sudditi preparino il terreno ai padroni, i quali hanno fabbriche e aziende da impiantare all'estero; aziende che hanno fame e sete di risorse umane, animali e naturali. Il nuovo sfruttamento delle risorse, è chiaro, avviene dopo la guerra, e sulla base di questo sfruttamento di esseri viventi e ambiente, le borse-valori di tutto il mondo fanno affari enormi. Ma in borsa sono proprio le aziende del Paese invasore a straguadagnare. Quindi l'enorme ricchezza dei padroni fatta sulla pelle della gente prende due strade: da una parte c'è la colonizzazione forzata con i nuovi schiavi che producono per il nuovo padrone invasore (ricchezza diretta), dall'altra parte il nuovo padrone moltiplica i guadagni attraverso la quotazione in borsa delle sue aziende (ricchezza indiretta).
A guadagnarci con la guerra sono tutti, tranne i popoli che sono considerati servi e carne da cannone, non solo durante la guerra; è sufficiente imbonirli e renderli aggressivi. Imbonimento e aggressività sono due condizioni che devono essere sempre alimentate, e per questo ci pensa lo stato con la sua pedagogia continua e a circuito chiuso (famiglia tradizionale, scuola tradizionale, parrocchia, mass-media). La società così plasmata non soltanto sarà sempre pronta ad accogliere le menzogne dei governi e a massacrare “i nemici”, ma si comporterà in modo tale da perpetuarsi così com'è, nel modo voluto dai pedagogisti di sistema. Anche per questo motivo il nostro vero nemico non è nostro fratello o nostra sorella oltre il confine artificiale, ma è lo stato, la più grande tragica menzogna degli ultimi 5000 anni.

- Nostra patria è il mondo intero –

giovedì 11 settembre 2014

Il comunismo libertario di Carlo Cafiero

Nel 1880 si tiene a la Chaux de Fonds (Svizzera) un congresso della Federazione del Giura, la quale, dopo la scissione dell’Aia (1872) fra autoritari e antiautoritari, è divenuta la portavoce riconosciuta del socialismo libertario, secondo la linea espressa da Bakunin.
Nella relazione tenuta da Cafiero si afferma:
“… Anarchia, oggi vuol dire l’attacco, la guerra ad ogni autorità, ad ogni potere, ad ogni Stato. Nella società futura l’anarchia sarà difesa, l’impedimento innalzato contro la restaurazione di ogni autorità, potere e Stato: piena ed intera libertà dell’individuo che, liberamente e spinto soltanto dai suoi bisogni, gusti e simpatie, si unisce ad altri individui nel gruppo o nell’associazione; libero sviluppo dell’associazione che si collega in federazione con altre nella comune o nel quartiere; libero sviluppo delle comuni che si federano nella regione e così via; le regioni nella nazione; le nazioni nell’umanità. Il comunismo, cioè la questione che ci interessa in modo particolare, rappresenta il secondo puinto del nostro ideale rivoluzionario. Esso è attualmente ancora l’attacco; non è la distruzione dell’autorità, ma è la presa di possesso, a nome di tutta l’umanità, della ricchezza esistente nel globo. Bisogna sottolineare, soprattutto nei confronti dei nostri avversari, i comunisti autoritari o statalisti, che la presa di possesso e il godimento di tutta la ricchezza esistente spettano al popolo stesso. Niente intermediari o rappresentanti che finiscono sempre col rappresentare solo se stessi, no ai moderatori dell’eguaglianza e tanto più ai moderatori della libertà, no ad un nuovo governo e ad un nuovo Stato, sia che si dica popolare o democratico, rivoluzionario o provvisorio. In effetti, la minima idea di un limite qualsiasi contiene già in sé i germi dell’autoritarismo. Non potrebbe manifestarsi senza comportare immediatamente la legge, il giudice, il gendarme …”  

venerdì 5 settembre 2014

1914-2014 Per non dimenticare

Quella di Virgilia d’Andrea (Sulmona, 1888 - New York, 1933), luminosa figura di donna anarchica, è stata una voce coraggiosa e fuori dal coro, capace di denunciare pubblicamente ogni genere di ingiu­stizia sociale in tempi in cui la censura e la propaganda imperavano; Come spesso accade, Virgilia pagò di persona un tale impegno politico, con la galera, l’esilio, la morte prematura.
Dal 1915, nei mesi che precedettero l’entrata in guerra dell’Italia, si prodigò in ogni modo per contrastare le posizioni interventiste, avvicinandosi al movimento anarchico abruzzese. In seguito seppe denunciare con coerenza gli orrori della Grande Guerra. .Nel 1934, mentre era in esilio in America, fece uscire Torce nella notte, una raccolta di prose di contenuto autobiografico, che venne vietata in Italia, da cui è tratto questo brano, Qui, in un momento di riposo, gli uomini e le donne del paese discutono con l’autrice intorno alla necessità o meno della guerra.

«È vero o non è vero, Maestra, che presto, ben presto l’Italia dovrà decidersi di entrare in guerra?».
Un tuffo al cuore: un ribollimento di tutto il sangue che già tanto amaro era diventato in quei giorni, e due parole, due sole parole che rivelarono d’improvviso, senza veli, tutto l’animo mio: «Un delitto» risposi... E a fronte alzata, aspettai la tempesta.
«Ecco... proprio come dicevo io», approvò battendo le mani, Angelantonio: un giovane che era tornato dalla Germania dove aveva, per alcuni anni, lavorato in miniera.
Volsi lo sguardo e sorrisi a quell’aiuto inaspettato.
«Un delitto», ripresi. «Perchè questo folle massacro di uomini e di cose? Avete fatto dei figli dunque, per mandarli infine allo scannatoio?».
Nessuno osava ribattere. Quella parola “scannatoio”aveva fatto trabalzare le donne e ammutolire gli uomini.
«Un delitto che voi non dovreste permettere. Guardate...» e qui le parole le sentii miste di lacrime tanto cocente era dentro l’angoscia, «tutto attorno a noi è scomparso, e contro queste misteriose forze della natura nulla purtroppo noi possiamo opporre. Ma contro la guerra, questa più terribile sciagura, che pochi pazzi e criminali preparano, gli uomini hanno la forza, la ragione, la volontà, il diritto... la ribellione».
Io mi ero accesa in uno slancio di avvampante passione e vidi, fra gli altri, gli occhi grandi e luminosi di
Angelantonio, pieni di lacrime e di speranze.
«Ma i nostri fratelli di Trento e di Trieste? Ma la patria?» obiettò timidamente qualcuno.
«E gli uomini di tutto il mondo non sono ugualmente essi dei nostri fratelli? Chi ha il diritto di dire: Fin qui siete fratelli, al di là di questo segno voi non siete che dei nemici implacabili?».
«Certo, certo che la nostra maestra ha ragione... ha “studiato agli studi” essa... e vuol bene alla povera gente come noi...»
Ed i visi si fecero più vicini a me, con atten­zione e interesse.
«E quelli che avete dovuto cercare lavoro all’estero non vi siete sentiti più in patria fra i tessitori, i contadini, i minatori della Germania, che fra i signorotti rapaci, superbi e insolenti del vostro paese?».
«Che verità... che verità sacrosante!... come don...don...» e qui il nome veniva taciuto «che ci prende tutto il raccolto senza dirti nem­meno: muori».
«Ma io vi dico, invece, povere anime di Cristo, vicino alla dannazione, vi dico che è Dio che permette la guerra... non muove foglia senza che Dio non voglia...» interruppe una barba bianca e fluente: l’uomo più vecchio e più ascoltato della montagna.
«Che mostro il vostro dio, saltò su Angelantonio, abituato alle franche e rudi discussioni fra emigrati... «un mostro che vuole il terremoto, la peste, la carestia, la guerra...»
«Satanasso!...» urlarono le donne, avvicinando alle labbra il rosario. «Se sei tornato in paese per prendere moglie, ti faremo “mangiare il limone”... ti faremo!».
«Prendermi una delle vostre oche io? Grazie», rispose il giovane con un poco d’impertinenza che mi spiacque, perché sciupava la sua bella e altera fierezza.
Una biondinetta piegò la testa, e sotto le ciglia lunghe e sottili io vidi brillare alcune lacrime amare. Aveva ella, mite ed ingenua, tessuto già qualche sogno?
«Eppure... con rispetto a vossignoria, maestra», intervenne la guardia campestre, che all’occasione era l’autorità poliziesca del paese, «io penso, io dico che il re... il re è il padrone…»
Ma d’improvviso una voce calda e melodiosa, venente da lontano, si sfioccò in languidi sogni attorno e sopra di noi...
O amore, che mi guardi dalle stelle, Scendi tra i monti e lasciati baciare...
Strette, mute, adesso, le labbra; ardenti i cuori ed ogni volto sbiancato...
O amore, che la vita mi torturi, Fra le tue braccia fammi singhiozzare...
Tutto l’accampamento pendeva da quella magnetica, limpida voce. Tutta la selvaggia e magnifica terra d’Abruzzo apriva le vene turgide e sane a quella traboccante passione.
Il passato... la sventura... le rovine... la vita sui sepolcri... gli odi... gli amori... le umiltà... il soffio delle lontane lotte sociali... le ribellioni... e nell’ombra, protetta da mostri feroci, l’immensa fornace della guerra, dagli occhi di sangue e dalle fauci di fuoco.

Sabotaggio di Emile Pouget

La parola «sabotaggio» fino a una quindicina di anni fa, era soltanto un termine di gergo indicante non l'atto di fare del sabotaggio ma quello, immaginoso ed espressivo, di azione compiuta «a scarpate». In seguito esso si è trasformato in una formula di lotta sociale ed è al Congresso Confederale di Tolosa, nel 1897, che ha ricevuto il battesimo sindacale. Il nuovo venuto non fu accolto, in un primo tempo, negli ambienti sindacali, con eccessivo entusiasmo. Alcuni lo vedevano assai di malocchio rimproverandogli le sue origini plebee, anarchiche. Ciò nonostante non bisogna pensare che la classe operaia abbia atteso, per praticare il sabotaggio, che questo tipo di lotta ricevesse la consacrazione dei Congressi Corporativi. Il sabotaggio come tutte le forme di rivolta e di lotta è vecchio quanto lo sfruttamento umano. Da quando un uomo ha avuto la criminale ingegnosità di trarre profitto dal lavoro di un suo simile, da quel giorno lo sfruttato ha cercato d'istinto di dare meno di quanto esigesse il suo padrone. È nel 1895 che, per la prima volta, in Francia troviamo traccia di una manifestazione teorica e cosciente di sabotaggio.
Il Sindacato Nazionale dei ferrovieri faceva allora una campagna contro un progetto di  legge — il progetto Merlin-Trarieux — che cercava di interdire ai ferrovieri il diritto al sindacato. Si pose la questione di rispondere alla votazione di questa legge con lo sciopero generale e a questo proposito Guérard, segretario del sindacato, e con questo titolo delegato al Congresso dell'Unione Federativa del Centro, pronunciò un discorso categorico e preciso: i ferrovieri non sarebbero indietreggiati davanti a nessun ostacolo per difendere la libertà sindacale e avrebbero saputo, all'occorrenza, rendere lo sciopero effettivo ricorrendo a certi metodi. A partire dal 1895 la spinta è data. Il sabotaggio, che era stato praticato dai lavoratori inconsciamente e istintivamente, riceve — sotto la denominazione popolare che gli viene data — la sua consacrazione teorica e prende posto tra i mezzi di lotta accertati, riconosciuti, approvati e preconizzati dalle organizzazioni sindacali.
I proletari si comportano come un popolo che, dovendo resistere all'invasione straniera e non sentendosi abbastanza forte per affrontare il nemico in battaglia campale, si lancia nella guerra di imboscata, di guerriglia. In effetti il sabotaggio è, nella guerra sociale, ciò che la guerriglia è nelle guerre nazionali: esso nasce dagli stessi sentimenti, risponde alle stesse necessità ed ha sulle mentalità operaia identiche conseguenze. Esaminando le modalità del sabotaggio operaio, abbiamo visto che, indipendentemente dalla forma e dal momento di applicazione, la sua caratteristica principale è quella di colpire il padrone nei profitti. Contro di esso, così com'è indirizzato a colpire soltanto i mezzi di sfruttamento, le cose inerti e senza vita, la borghesia non ha rimedi sufficienti.

(Tratto da Le sabotage, Librairie Rivière 1911)