..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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sabato 17 maggio 2014

L’unico debito che riconosciamo è quello che avete nei nostri confronti! dovete renderci quanto ci avete sottratto!

“CE LO CHIEDE L'EUROPA!” NAPOLITANO, BERLUSCONI, MONTI, LETTA, RENZI NON SANNO DIRE ALTRO. Anche chi sbraita contro L'Unione e l'Euro, come il leghista SALVINI, poi siede comondamente nel Parlamento Europeo. I LORO INTERESSI NON SONO I NOSTRI! LA VOSTRA EUROPA NON CI PIACE, NON FA PER NOI! Ancora meno ci piace la VOSTRA IDEA DI PAESE!
Un milione di famiglie, che voi ora chiamate indigenti, non hanno entrate dirette da lavoro e sopravvivono senza avere alla fine del mese un solo euro. Il 43% dei giovani sono inattivi, hanno finito il loro ciclo di studio; si sono diplomati, laureati (a volte hanno fatto anche dottorati di ricerca) ma sono inattivi, emarginati e tenuti fuori dal sistema produttivo e sociale.
Decine di milioni di persone vivono un eterno precariato, con contratti di lavoro di qualche mese all’anno, costretti a essere imprenditori di se stessi, in rapporti di lavoro subordinato, camuffati da partite iva, costretti ad accettare remunerazioni in nero per qualche euro all’ora.
Milioni di piccoli commercianti, di artigiani, di piccoli professionisti stanno rimanendo senza reddito e lavorano più per pagar tasse che per sostenere se stessi; resistono fin che possono, poi chiudono le loro attività sommersi dai debiti, perseguitati da Equitalia; vivono nuove disperazioni e molti di loro sono spinti al suicidio.
La maggioranza degli occupati che hanno tra i cinquanta e i sessant’anni sono estromessi dal ciclo produttivo, condannati ad anni di cassa integrazione, di mobilità e infine rimangono senza lavoro e senza reddito. L’80 per cento degli anziani percepisce il minimo della pensione, senza soldi per alimentarsi adeguatamente e per curarsi. Decine di migliaia di lavoratori stranieri che erano occupati nell’agricoltura, nell’edilizia e nell’industria hanno perso il lavoro e se ne stanno andando dal nostro paese, si spostano in altri stati europei o tornano nei loro paesi d’origine.
Nelle grandi città crescono a dismisura gli sfratti e decine di migliaia di famiglie rimangono senza casa e senza sussidi. Trasporti, sanità istruzione e servizi hanno assunto costi da consumi di lusso che la maggioranza della popolazione è nelle condizioni di non poterne più usufruire. L’unica crescita che si continua a registrare nel nostro paese è l’aumento dei prezzi dei generi alimentari, dei carburanti, dei tabacchi, delle bollette di luce, gas, acqua, delle tasse sui rifiuti.
Stiamo assistendo ad un grande processo d'impoverimento, di precarizzazione e proletarizzazione che riguarda e colpisce - con modi, forme e tempi differenti - la stragrande maggioranza di chi vive nel nostro paese e nel sud dell’Europa. Per contro, decisioni e legislazioni imposte ad hoc permettono il trasferimento di ingenti ricchezze e di opportunità nelle mani di ristrette èlite che acquistano un'influenza e un potere smisurato.
NON SIAMO UN PAESE POVERO, SIAMO UN PAESE NEL QUALE LA RICCHEZZA È STATA MAL DISTRIBUITA!
QUESTI SONO I RISULTATI DELLE POLITICHE EUROPEE NELLA GESTIONE DELLA CRISI E ORA VORREBBERO UN VOTO PER ACCELLERARE E TERMINARE QUESTI PROCESSI.
È stato rafforzato un sistema sociale che riproduce solo iniquità. Imponendo ricatti e premiando il servilismo, le istituzioni stesse hanno introiettato le logiche mafiose del potere dispotico, della corruzione, dell’assecondare il volere di chi ricopre ruoli di potere. La gestione delle istituzioni si è trasformata in esercizio del potere di lobby che si ripartiscono per scelte politiche profitti, reddito, lavoro, privilegi, impunità lasciando a noi emarginazione, espropriazioni, inquinamento, povertà. La legalità è sempre più strumento di perpetuazione di rapporti di forza che produce contemporaneamente: tutele per le classi agiate e garantite socialmente, repressione e controllo sociale per gli strati sociali emarginati e impoveriti e impunità per le èlite dominanti.
Formalmente viviamo in un sistema di diritto fondato sulla rappresentanza democratica delegata, ma sostanzialmente non si può di chiedere ai partiti e ai banchieri, ai sindacati e agli industriali, ai media e ai governanti, alle istituzioni italiane e all’Unione Europea alcune domande fondamentali:
     -   Cosa avete fatto, quali interessi avete sostenuto in questi anni di crisi?
       -   Chi avete salvato e chi avete sommerso?
Dal 2007, momento d’inizio della crisi, sono cambiati diversi suonatori, ma il direttore d’orchestra e la musica sono rimasti gli stessi. Berlusconi, Monti, Letta e Renzi hanno speso chiacchiere per far credere che la politica era in grado di rigenerare benessere per tutti e che i sacrifici richiesti erano per raggiungere un bene comune. Nei fatti si è poi visto che le loro politiche hanno permesso ai potentati finanziari, politici, burocratici e corporativi di rafforzarsi e arricchirsi mentre alla maggior parte della popolazione si continua solo a far pagare i costi dei dissesti finanziari provocati da chi comanda e governa.
Ad ogni scadenza elettorale fioriscono promesse di elargizioni di reddito ma solo per le fasce sociali già garantite. Così ieri Berlusconi prometteva di non far pagare l’Imu ai proprietari di casa poi il governo delle larghe intese ha cambiato nome al prelievo e sono fiorite le tasse sui servizi indivisibili, sui rifiuti ecc. Ora Renzi promette un bonus elettorale ai lavoratori garantiti e agli imprenditori che sono sempre di meno, promette di cambiare tutto il funzionamento delle istituzioni e dello stato. Contemporaneamente però afferma nei fatti che c’è chi vale di più e chi vale di meno sul mercato elettorale e quindi chi non garantisce un consenso sicuro: i giovani, i disoccupati, i precari, le partite iva, gli indigenti, i pensionati deve attendere e pazientare, si penserà a loro il prossimo giro. Infine ricordano che i sindaci del Pd Marino, Fassino e Catizzone, tanto per fare qualche nome, non tollerano che i territori da loro governati siano conflittuali, mobilitazioni come quelle del 16 ottobre, del 9 dicembre, del 12 aprile devono finire al più presto. Ci pensino questori e magistrati se non vogliono perdere il posto a ripristinare l’ordine sociale. Da quando Renzi è al governo a Roma si sgombrano gli edifici occupati dai senza tetto e si disperdono e si picchiano gli immigrati e i giovani disoccupati che protestano.
Ad ogni stagione viene inventata e proposta una nuova moda dai nomi accattivanti: austerity, spending review, jobs act... ognuna di queste trovate dovrebbe rappresentare la svolta definitiva, giornalisti ed esperti tanto servili quanto ben pagati elargiscono fiumi di parole e di commenti per costruire consenso e accettazione. Politica e media si sostengono solo con la menzogna e l’inganno. Quello che viene detto non è assolutamente quello che si vuol fare.
L’unanimità europeista di istituzioni e governi, di sindacati e finanza, di intellettuali e giornalisti, di industriali e politici è solo un unanimità di lobby garantite che vogliono scaricare i costi della crisi sulle popolazioni e sui territori più deboli e assoggettati. Si tratta di un’unanimità che si ritrova sui profitti da realizzare con le grandi opere inutili come la tav, sul favorire il sistema bancario, la grande distribuzione, la speculazione immobiliare, la cementificazione del territorio, l’inquinamento ambientale nella terra dei fuochi all’Ilva di Taranto, le speculazioni delle case farmaceutiche sulla salute dei cittadini. È un’unanimità che si ritrova sul mantenimento dei privilegi, sullo scambio di coperture e di favori, sul monopolio delle poltrone dei posti di potere.
Gli interessi e non i valori guidano le scelte politiche. Nonostante tutta la disinformazione attuata tutti percepiscono che le scelte dell’europeismo dei politici sono solo a favore e per i ceti dominanti, che non c’è alcun interesse a costruire partecipazione. Gli stessi sindacati sono più attenti a far diventare parlamentari i loro dirigenti, o a spartirsi i fondi europei sulla formazione che a mobilitare i lavoratori, i disoccupati, i precari, i giovani di tutti i paesi europei per l’ottenere, reddito, servizi, abitazioni, bisogni sociali.
Per chi governa è europeo lasciare milioni di giovani senza reddito, è europeo non tutelare le famiglie di chi è morto nell’incendio della Thyssenkrupp, è europeo perseguire per “terrorismo” gli attivisti no tav, è europeo coprire le imprese che inquinano i territori diffondendo veleni che provocano tumori, è europeo privare di luce, gas e residenza chi occupa per bisogno gli stabili di enti pubblici che lasciano vuoti e al degrado il patrimonio pubblico immobiliare.
Tutti hanno paura della partecipazione, del conflitto, della rivendicazione della protesta. Eppure proprio di lotta e di conflitti c’è bisogno per cambiare i rapporti di forza.
Se le istituzioni e i partiti tutelano solo i privilegi per pochi è giusto non avere più fiducia nelle istituzioni perché sono contrapposte e nemiche della maggior parte della popolazione. Ha sempre minor senso pensare di delegare qualcuno a gestire in modo diverso queste istituzioni. Bisogna ricercare e attuare modi e forme per mobilitarsi in modo nuovo e di massa senza ideologie ma nel concreto a partire dal disagio che vivono milioni di persone abbandonate a se stesse senza prospettive. La partecipazione per ottenere soddisfazione dei bisogni, difesa dei territori devastati può creare nuove forme di solidarietà di condivisione di interessi comuni e collettivi che col tempo e la continuità possono generare ricomposizione sociale e nuove forme condivise di comunità.
Quest’anno in molte piazze del primo maggio si contrappongono due realtà antitetiche: una ISTITUZIONALE DEI GARANTITI CHE CERCANO CONSENSI ELETTORALI e un'altra NON GARANTITA E NON RAPPRESENTATA, PORTATRICE DI BISOGNI E ISTANZE SOCIALI ESTESE E FORTI.
Molti di questi non garantiti non perderanno il loro tempo per andare a votare ma il loro peso lo si vedrà nelle astensioni, ma noi faremo di tutto perché fuori dalle istituzioni si possano mobilitare a livello di massa e possano dire la loro attivamente l’11 luglio qui a Torino.

NON PAROLE MA REDDITO, CASE, E DIGNITÀ PER TUTTI!


lunedì 12 maggio 2014

Quale verità, quale giustizia?

Gli "abusi" della polizia... gli sbirri che taglieggiano, insultano, picchiano, mutilano, stuprano, assassinano... I servitori dello Stato ne parlano come se si trattasse di episodi rari ed isolati, conseguenze di circostanze sfortunate o, nel peggiore dei casi, dovuti a qualche "mela marcia". Ciò significa dire che, nel loro insieme, le forze dell'ordine sarebbero dei prodi cavalieri al servizio del bene. E ad ogni modo, il loro lavoro sarebbe indispensabile per la società... Eppure, basta aprire un po' gli occhi per accorgersi che la violenza è l'essenza stessa del potere. Una violenza spesso nascosta o considerata "normale", come se sfruttare, aggredire, rinchiudere, assassinare qualcuno possa essere normale.
Troppo spesso, di fronte alle violenze degli sbirri, le vittime e/o i loro cari condannano il comportamento poliziesco soltanto per quanto riguarda il caso specifico che li vede coinvolti. L'esistenza dell'istituzione poliziesca e del potere che essa serve non sono quasi mai rimessi in questione. La polizia ha ammazzato Tizio? I suoi cari sporgono denuncia, fanno delle marce silenziose, soffocano la propria collera e cercano di calmare la rabbia di quelli e quelle che gridano vendetta. Denunciano le derive razziste, fasciste, antidemocratiche di alcune parti delle forze dell'ordine. Fanno appello alla legge, quella legge che esiste proprio per difendere il dominio e lo sfruttamento.
Quante volte sentiamo chiedere "verità e giustizia"? Verità: che il comportamento "criminale" di qualche sbirro venga riconosciuto (e quindi il comportamento "corretto" ristabilito). Giustizia: che i responsabili vengano puniti (in modo che il sistema resti lo stesso). E a chi vengono chieste? Alla Giustizia, quella dei tribunali, ma sicuro! Quella Giustizia per la quale gli sbirri lavorano e che non esisterebbe senza polizia. Quale verità e quale giustizia, quindi? Quelle che la Giustizia, strumento del potere politico, economico e morale, vorrà accordarci. Tutto ciò significa avallare il potere ed i suoi servitori. Si tratta di un circolo vizioso da cui non si ha più la possibilità di uscire. 
Il potere può a volte trovare utile castigare (quasi sempre in modo simbolico, ma non è questo il problema) un comportamento dei suoi scagnozzi che viene percepito come eccessivo. Siamo in democrazia, non dimentichiamolo! E le "lamentele" dei sudditi, se rimettono in causa solo alcuni dettagli del sistema, non il suo complesso, sono utili. Il potere può correggere le proprie lacune ed i propri eccessi, dando allo stesso tempo l'impressione di essere all'ascolto dei propri sudditi. Ciò lo rende più forte: elimina delle frizioni all'interno del suo funzionamento.
Finché ci sarà la polizia, ci saranno delle violenze poliziesche, per errore oppure di proposito, quando il potere decide di fare ricorso a quella forza che di solito tiene da parte. Ma in situazioni ordinarie, le forze dell'ordine sono ben più efficaci se appaiono attente ai diritti dei cittadini. La favola della democrazia e dei diritti umani può continuare...
Chi crede allo sbirro gentile? È sempre uno sbirro e fa il proprio sporco lavoro meglio (con meno resistenze e frizioni) dello sbirro brutale. Ma immaginiamo per un attimo che sia possibile una polizia perfettamente "gentile", "democratica" e rispettosa dei nostri supposti "diritti". Cosa significherebbe? Che, dall'altra parte, la popolazione sarebbe "gentile" pure lei. Un potere che si copre della maschera della democrazia, questa colossale menzogna, avrebbe tutto il suo interesse in una polizia che non facesse quasi più, o più del tutto, uso della forza. Ciò significherebbe che dall'altra parte ci sarebbero dei sudditi che obbediscono senza sgarrare. Il buon cane da pastore è mansueto perché le pecore sono obbedienti... Volere una polizia che faccia "bene" il proprio lavoro significa quindi augurarsi la propria sottomissione più completa. Non ci sarebbe più bisogno del manganello, perché ciascuno e ciascuna avrebbe già uno sbirro, il più potente di tutti, nella propria testa.
Il problema fondamentale è altrove che nella violenza puntuale delle guardie. Esso sta nell'esistenza stessa della polizia, nell'esistenza stessa dello Stato che essa serve, nell'esistenza stessa di una società fondata sull'autorità e la servitù. È per questo che non vogliamo nessuna polizia, nemmeno la più democratica, soprattutto la più democratica. Non solo perché gli sbirri sono degli assassini. Ma perché il sistema che difendono ed impongono, il mondo che ha bisogno della polizia, è esso stesso, sempre, mortifero. Perché non vogliamo più alcuna autorità. Perché vogliamo essere liberi.
E come funzionerebbe, la società, senza polizia? Questa società qui forse non funzionerebbe, o difficilmente, senza di essa. Ma, lo abbiamo già detto, il problema di fondo è appunto questo mondo. Ed il desiderio di libertà porta con sé i semi di un altro mondo, che germoglierà sulle rovine di questo.

[tratto da : Lucioles, bulletin anarchiste de Paris et sa région, n. 15, février 2014]


sabato 10 maggio 2014

Più di ventimila ragioni per liberare Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò

Una grande giornata No Tav che non ha deluso né le aspettative né le promesse fatte nei giorni scorsi dal movimento è quella che si è conclusa poco fa per le vie di Torino. 
Più di ventimila le persone che hanno animato il corteo che, partito da piazza Adriano, ha attraversato la città fino a raggiungere il cuore del centro torinese. Nonostante le numerose provocazioni e i rallentamenti messi in campo dalle forze dell'ordine per ostacolare l'arrivo dei No Tav dal resto d'Italia (cancellazione di treni, fermo dei bus, richieste di identificazione), intorno alle 15.30 la manifestazione ha mosso i suoi primi passi e il colpo d'occhio rivelava fin da subito la grandissima partecipazione. Tutt'attorno, lo scenario desolante dato dal mastodontico quanto ignobile apparato predisposto dalla Questura: reti e new jersey, blindati, uomini della Digos appostati sui tetti, elicotteri che sorvolavano il cielo, il tutto per difendere un Palazzo di Giustizia completamente vuoto ed evacuato già da metà della mattina. Il ritornello martellante intonato all'unisono da tutti i media mainstream già nei giorni scorsi, ansiosi di sbattere in prima pagina il nemico pubblico No Tav creando inutili allarmismi, è proseguito anche durante il corteo, con la solita schiera di pennivendoli a caccia di qualche colpa o responsabilità da addossare al movimento del treno crociato, fosse anche solo l'affissione di qualche manifesto o il "disagio" per i turisti (quest'ultimo, peraltro, causato dalla militarizzazione soffocante che circondava l'interno percorso del corteo, e non certo dalla manifestazione in sè!).
Ma ancora una volta il movimento No Tav ha fatto ciò che aveva annunciato, costruendo con serenità un'altra importante tappa di questa lunga lotta. Era chiaro a tutti che a essere chiusi in gabbia oggi fossero i 1600 uomini delle forze dell'ordine barricati dietro le reti a difesa di un Tribunale vuoto e non il lunghissimo corteo No Tav che si snodava per le vie della città portando con sè Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, Paolo e Forgi e tutti gli altri attivisti impossibilitati a essere in quella piazza ma ugualmente parte di un movimento grande e composito.
Il volto di tutto ciò che rappresenta attualmente la lotta No Tav si leggeva nella partecipazione stessa che animava il corteo, aperto dal grosso striscione che recitava "siamo tutti colpevoli di resistere" e dai familiari dei quattro arrestati: tanti valligiani ma anche migliaia di persone arrivate da tutta Italia, a ennesima riprova di come i confini di questa battaglia siano ormai ben più ampi di quelli della Valle di Susa, scrittori e attori che nelle scorse settimane hanno espresso pubblicamente il proprio supporto alla giornata di oggi, studenti e giovanissimi, occupanti di case e movimenti per il diritto all'abitare, realtà di lotta che da Nord a Sud si battono contro la devastazione dei territori e per la difesa dei beni comuni. Ma soprattutto tanti semplici cittadini torinesi che oggi riconoscono nella lotta No Tav un'opzione di riscatto alla crisi, al sistema-città fondato su debito, speculazioni e grandi eventi, un'alternativa valida e concreta a un presente di miseria e impoverimento e a un modello di sviluppo predatorio e devastante.
Una piazza estremamente composita che ha però assunto e rivendicato in maniera compatta la pratica del sabotaggio e chiesto con una sola voce l'immediata liberazione di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, respingendo fermamente l'accusa di terrorismo. L'ingresso festoso nella meta finale di piazza Castello, col corteo che gridava a gran voce "Liberi tutti" tra gli applausi dei passanti, dava la misura dell'importanza e della riuscita della giornata di oggi. Tantissimi gli interventi che si sono alternati nella piazza gremita, mentre la coda del corteo era ancora in marcia per raggiungere l'arrivo.
E molti anche gli appuntamenti su cui il corteo ha rilanciato per continuare a lottare: il 13 maggio in Valle di Susa, a un anno dai fatti di cui sono accusati Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, per ricordare ironicamente assieme "la morte del compressore", il 15 maggio sotto la Cassazione a Roma, data nella quale la corte si esprimerà sull'accusa di terrorismo, e il 22 sotto il Tribunale di Torino in occasione dell'apertura del processo. Ma guardando più avanti è stato anche ricordato con forza l'impegno a costruire assieme nelle settimane a venire la contestazione al vertice europeo sull'occupazione giovanile che si terrà l'11 luglio a Torino.
...a sarà dura! Liberi tutti!


domenica 4 maggio 2014

Primo Maggio a Torino. Una giornata di lotta

Il Primo Maggio imbalsamato, chiuso nelle cerimonie istituzionali, consacrato ai riti stanchi di una sinistra cittadina che governa Torino da decenni, non c’è più.
Il Partito Democratico ha costruito le proprie fortune nel segno delle grandi opere, della kermesse olimpica e del Tav. Delle Olimpiadi restano le inutili cattedrali di cemento e tanti debiti. Resta il grattacielo di Intesa/San Paolo, costruito su terreni pubblici ceduti per un tozzo di pane dall’amministrazione Chiamparino alla banca, che l’aveva salvato dalla bancarotta pochi giorni prima della sua trionfale rielezione a sindaco. Alla fine di qual mandato Chiamparino divenne presidente della Compagnia di San Paolo, oggi è il candidato del PD per la Regione Piemonte.
A far le spese delle politiche del PD di governo, a Torino come nel resto del paese, i lavoratori, che i provvedimenti del primo ministro Renzi condannano alla precarietà a vita e salari da fame senza tutele, senza futuro.
In questi anni di cemento le scuole della città sono andate a pezzi: i soldi destinati all’edilizia scolastica sono stati usati per il Tav, i piccoli, preziosi ospedali sono stati chiusi, continui sono stati i tagli al trasporto locale.
Torino è diventata la capitale degli sfratti, perché tra disoccupazione e precarietà tanti, troppi, non ce la fanno più a pagare il fitto o il mutuo.
Tanti, sempre più, non sono più disposti a subire, alzano la testa, scelgono di lottare per riprendersi gli spazi, per contrastare le politiche dei padroni di una città che ha cambiato pelle, ma dove lo sfruttamento è sempre più duro, la precarietà è la norma.
Le ragioni di chi non intende subire la schiavitù salariata come destino, le ragioni di chi lotta contro il razzismo, la violenza poliziesca, il Tav, di chi non accetta che si spendano milioni per costruire e comperare cacciabombardieri, di chi occupa le case vuote, di chi non china la testa hanno dilagato nella piazza del Primo Maggio torinese.
L’altra Torino, quella degli anarchici, degli antagonisti, del No Tav, dei lavoratori ribelli, ha riempito piazza Vittorio, soverchiando con la forza dei numeri e delle proprie ragioni, la piazza istituzionale.
Sin dal giorno precedente i due quotidiani torinesi, La Stampa e Repubblica, avevano annunciato un dispiegamento straordinario di polizia. Nel mirino gli antagonisti, ma soprattutto gli anarchici che avevano promosso uno spezzone contro la guerra interna e quella esterna, contro la repressione e le fabbriche d’armi, uno spezzone che portasse in piazza le regioni di chi pensa che di padroni e governanti si possa e si debba fare a meno.
Che aria tirava era sin troppo evidente.
Il Partito Democratico, che in questi anni aveva fatto fatica ad entrare in piazza, nonostante il servizio d’ordine di picchiatori professionisti, nonostante la tutela della polizia, è stato circondato completamente. C’erano gli attivisti politici, c’erano i No Tav e gli occupanti di case, c’era tanta, tanta gente senza bandiere ma con le idee chiare. Non c’è posto nel corteo del Primo Maggio per il Partito Democratico, non c’è posto per chi sta dalla parte dei padroni.
Quando in piazza è comparso il senatore/questurino Stefano Esposito, fanatico del Tav, sempre in prima fila nel benedire le operazioni repressive contro i No Tav, sono partiti slogan e qualche spinta con i picchiatori professionisti del PD. La polizia ha caricato più volte, ferendo numerosi manifestanti, travolgendo anziani e banchetti, ma non è riuscita a fermarci.
La gente sotto i portici si è unita alla resistenza: sono volate sedie tra le gambe dei celerini che manganellavano, insultati da tutti, mentre l’indignazione diveniva rabbia.
I celerini hanno provato a strappare dal furgone degli anarchici lo striscione con la scritta “Chiara, Claudio, Mattia, Nicolò liberi. Terrorista è il Tav”, ma i compagni e le compagne dello spezzone rosso e nero se lo sono ripreso. Con i segni delle manganellate sul corpo ma sempre più determinati ad andare avanti, ad non farci chiudere nella piazza, dopo una seconda carica, siamo finalmente partiti.
In testa allo spezzone anarchico lo striscione “Terrorista è chi bombarda, sfrutta, opprime”.
Il corteo si è infine dispiegato lungo via Po. La fotografia dei numeri era impietosa: un piccolo corteo istituzionale, difeso passo a passo dalla polizia era seguito, circondato, assediato dalla Torino che il prossimo 25 maggio diserterà le urne, perché riempie, ogni giorno le piazze, perché non è più disposta a delegare la propria vita a chi bombarda, sfrutta, opprime.
Una sfida intollerabile per il PD. In via Roma, quando ormai il corteo aveva assunto le caratteristiche di ogni Primo Maggio, con famiglie, bambini, anziani e disabili, la polizia ha nuovamente caricato più volte per impedire l’ingresso in piazza San Carlo.
Durante le cariche la gente ai lati plaudiva chi resisteva. Nonostante la violenza della polizia, che si accaniva anche sotto i portici, il corteo non si è scomposto.
Una giovane mamma ci ha allungato la sua bambina perché la facessimo salire sul furgone, ma non è fuggita.
In via Roma la polizia ha fatto il proprio bottino, fermando tre manifestanti. Per uno di loro, Marco, “Boba”, anarchico e redattore di radio Blackout, è scattato l’arresto.
Poi il corteo è entrato in piazza San Carlo, da dove sindacati di Stato e PD se ne erano andati via in fretta e furia.

Solidarietà a Marco, “Boba” arrestato nella Piazza del Primo Maggio. Una piazza di lotta.
Lo vogliamo libero, vogliamo liberi tutti e tutte!
Vogliamo liberi Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò.
Sabato 10 maggio marcia popolare No Tav a Torino

Appuntamento alle 14 in piazza Adriano. 


sabato 3 maggio 2014

Amanti della libertà senza guinzagli

 ... No, non sempre le distinzioni sono così nette, e si sa che innumerevoli possono essere le sfumature e gradazioni tra gli amanti della libertà senza guinzagli di sorta e gli apologeti delle carceri del popolo e dei tribunali proletari. Tra chi vuole abbattere i muri e i portoni e chi, semplicemente, aspira a sostituire i galloni di "prigioniero politico" con le stellette da guardia, come è stato di tanti padri della Repubblica, da Valiani a Pertini. Si è capito da che parte stiamo, ma non abbiamo necessità di sovraccaricarci immediatamente di steccati e di distinguo. Scrivere, fare, vedere, capire, le selezioni si fanno poi da sé ...



"... e nell'89 sono uscito per la prima licenza. Al momento il mio fine pena era il 2010 con ... diciamo nell'89 avevo 21 anni scontati circa e altri 21 da scontare. Ho avuto la mia prima licenza, la prima volta sono rientrato, ho avuto la seconda, la seconda sono rientrato, e le cose, diciamo così, si stavano mettendo a posto, avevo richiesto il lavoro, per l'articolo 21 ... non l'articolo 21, la semilibertà proprio queste cose qua.
 Però quando sono stato in licenza ho trovato dei compagni che erano in carcere con me all'epoca, durante il periodo delle lotte, e in questo periodo, quando ero fuori, erano in semilibertà - di giorno erano fuori, lavoravano, e la sera tornavano in carcere. E mi fecero un'impressione penosa, cioè pensai: "noi che abbiamo passato una vita a cercare di distruggere le carceri, di uscire dalle carceri, ora suoniamo il campanello per entrare". E ho avuto, come dire, questa crisi personale e ho deciso di non rientrare. Mi sembrava una contraddizione, dico: "vada come vada, questo, la scelta di essere io a diventare il mio carceriere, non la posso fare". E non sono rientrato..."
Horst Fantazzini, 1999

venerdì 2 maggio 2014

Torino corteo 1° Maggio 2014:le cariche della polizia

La polizia, in difesa del PD, carica i manifestanti antagonisti ed anarchici.

 
































[…]
E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le "verità" della televisione
anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti.
 […]

Fabrizio De Andrè

giovedì 1 maggio 2014

Maggio 1886 – Chicago


L’accusa era di assassinio: nessuno degli otto uomini era accusato di aver gettato la bomba, ma soltanto del fatto che i loro discorsi e articoli infiammati avevano spinto l’esecutore, chiunque egli fosse a commettere il crimine.
Il 19 agosto la giuria dichiarò gli uomini colpevoli e il giudice Gary condannò Parson, Spies, Lingg, Fielden, Schwab, Fischer e Engel alla pena capitale.
Fielden: ”Oggi il bel sole dell’autunno bacia le guance di ogni uomo libero con il suo dolce alito; io mi appresto a non bagnare più il mio volto nei suoi raggi. Ho amato il mio prossimo come me stesso. Ho odiato l’inganno, la disonestà, l’ingiustizia. Se deve servire a qualcosa, sono io stesso a costituirmi spontaneamente”.
Spies: ”Se credete impiccandomi di annientare il movimento operaio, allora chiamate il vostro boia … Perché siete incapaci di capire”.
Neebe: “Ecco i delitti che ho commesso: ho organizzato i sindacati. Ero per la riduzione delle ore di lavoro, per l’educazione del lavoratore, per la riabilitazione della Arbeiter Zeitung giornale operaio. Nessuna prova dimostra che io avessi a che fare con la bomba, che fossi lì vicino, né nient’altro del genere”.
Fischer: “Più si perseguitano coloro che credono nelle cause giuste e più rapidamente si realizzeranno le loro idee. Io sono uno di quelli che pur essendo uno schiavo salariato ritiene che sia sbagliato, sbagliato per me e per il mio simile … cercare la mia via di uscita dalla schiavitù del salario diventando io stesso un padrone e un proprietario di schiavi … questo è il mio delitto,davanti a Dio”.
Engel: “Sono un uomo troppo sensibile per non lottare contro le condizioni di oggi. Ogni persona riflessiva deve combattere un sistema che renda possibile a un singolo rastrellare e ammucchiare milioni in pochi anni, mentre dall’altra parte milioni di uomini diventano accattoni e vagabondi”.
Schwab: “L’anarchia come uno stato della società in cui l’unico governo è la ragione; uno stato della società in cui tutti gli esseri umani fanno ciò che è giusto per la semplice ragione che è giusto, e odiano l’ingiusto perché è ingiusto”.
Lingg: “Ripeto che sono nemico dell’ordine attuale e ripeto che, con tutte le mie forze finché resterà vita in me, lo combatterò. Dichiaro francamente e apertamente che sono favorevole all’uso della violenza. Ho detto al capitano Schaack colui che mi ha arrestato e lo confermo Se voi ci sparate, noi vi faremo saltare con la dinamite! Ah ridete! Forse perché pensate di bombe non ne tirerai più ma permettetemi di assicurarvi che sono felice di morire sulla forca, sicuro che le centinaia di migliaia di uomini a cui ho parlato si ricorderanno le mie parole; e quando avrete impiccato noi, allora, state bene a sentire, saranno loro a buttare le bombe! Con questa speranza vi dico: io vi disprezzo! Disprezzo il vostro ordine, le vostre leggi, la vostra autorità fondata sulla violenza. Per questo impiccatemi!”