..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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mercoledì 18 settembre 2013

Celebrazione della disobbedienza

La disobbedienza civile o selvaggia è la sola risposta a tutto quanto si configura come potere... gli imbecilli regnano, ma non governano... la stragrande maggioranza di questi cretini non vale il lavoro di un cavatore di pietre, del tacco di cuoio tagliato a mano di un ciabattino o del bullone alla catena di montaggio di un operaio... lo sanno bene... non sono in grado nemmeno di prendere il tram, accendere il fornello del gas o distinguere una lampadina da una pignatta esplosiva... sono dei saprofiti della politica che sanno però imbrogliare i loro elettori e orchestrare connivenze con mafie d’ogni sorta... chi non è con loro è contro di loro e così si fanno complici di assassinii di magistrati onesti, giornalisti non prezzolati, ragazzi che manifestano nelle piazze il loro dissenso... sono il cancro della democrazia dello spettacolo e solo quando saranno estirpati dal corpo comunitario, si conoscerà finalmente la faccia pulita della giustizia sociale. La disobbedienza comporta una filosofia della ribellione e l’odio affilato contro la società organizzata in despoti e servitori... le dittature dell’odio (le democrazie del consenso e i comunismi di facciata) allevano schiere di abatini serventi e riservano loro le briciole dei banchetti del potere... gli uomini della disobbedienza non demordono però dai loro intenti di sovvertimento di questa pianificazione della storia e si prendono il diritto di manifestare il loro dissenso di fronte a qualsiasi accusa di sovversione contro i poteri dello stato... con tutti i rischi che questo comporta, compreso quello di rimetterci la pelle.

lunedì 16 settembre 2013

I 40 anni di Larks’ Tongues In Aspic

Se vogliamo fissare l’anno di nascita del Rock Progressivo, possiamo dire che il 1969 è quello giusto. In quell’anno nascono i King Crimson, che hanno dato il battesimo al genere, dopo di loro altri gruppi si sono affacciati sulla stessa scena: Genesis, Van Der Graaf Generator, Gentle Giant, Pink Floyd (che nel frattempo hanno abbandonato la psichedelica), Yes, Emerson Like & Palmer …
Il 1970 e il 1971 sono stati il biennio di definizione del linguaggio, il 1972 l’anno dei capolavori; il 1973 si presenta come l’anno dei trionfi ma anche dei punti di non ritorno, della grandeur ma anche della stanchezza e delle disillusioni. Da una parte un buon numero di queste bands, come le ultime due citate, condiscono la loro musica con variazioni sul tema del rock sinfonico, ma è l’aria che tira in quel momento, del resto anche in non progressivi Jethro Tull e Deep Purple lo hanno fatto, dall’altro lato alcune formazioni isolate si danno alla fuga come i rinnovati King Crimson che prendono un’altra direzione.
Gli indiscussi innovatori ripartono da zero, con nuove energie e altra ambizioni, ora più che mai distanti dai colleghi e pronti a dimostrare la propria alterità. Fripp ha in mente una drastica deviazione rispetto al rock sinfonico inventato nel ’69 e seguito da tanti imitatori, puntando alle possibilità offerte offerte dall’improvvisazione. Dopo la rottura con Pete Sinfield, il chitarrista aggrega quattro grandi talenti: trova un nuovo Greg Lake nell’ex Family John Wetton, introduce il violino del giovane David Cross, mette al centro una speciale sezione ritmica con Bill Bruford e il visionario percussionista Jamie Muir, figura straordinaria di sciamano del ritmo proveniente dall’are free jazz. L’idea di base è lasciare alla band dominio strumentale, i limitati spazi cantati vengono colmati con i testi di Richard Palmer-James, membro esterno.
A marzo la prima prova in studio Larks’ Tongues In Aspic è un album rivoluzionario, familiare per la tensione tutta crimsoniana tra raptus e languide melodie ma diverso per la febbrile elettricità che lo percorre, la potenza delle percussioni, la scomparsa dei fiati in favore del violino, la corposa componente improvvisativi, la connessione di rock e musica colta sostiene la critica cogliendo in pieno la visione frippiana del ’73. Le due versione dei brani che danno il titolo all’LP e le crepuscolari Exiles e Book Of Saturday sono tra le migliori proposte del 1973, anno del declino del Rock Progressivo.


martedì 10 settembre 2013

La voce del cannone



I venti di guerra sono tornati a soffiare, riportando l’attenzione su un Medio Oriente dove la guerra non è mai cessata, e non solo per la vicinanza di Afghanistan, Iraq e Yemen, ma per il genocidio del popolo palestinese, che procede nel silenzio più assordante. Di Siria si parla da molti mesi; il clichè è il solito: dittatori che hanno fatto affari con tutti, che sono stati amici e garanti anche delle potenze occidentali, ora vengono additati come sanguinari assassini. Fin quando ciò lo sostenevano gli oppositori o le vittime, era solo un vociare insignificante; ma quando è la più grande potenza mondiale ad alzare i toni, tutti devono allinearsi.
La guerra civile siriana non è, da tempo, uno scontro fra regime e popolo resistente; si è trasformata rapidamente in un campo di battaglia tra un regime militare totalitario e spietato e gruppi di varia provenienza anche estera, in gran parte fondamentalisti, interessati a far divampare quell’incendio da cui potranno scaturire nuovi regimi integralisti e militaristi. Da qui le difficoltà degli USA ad entrare direttamente nel conflitto, mascherate dall’attesa di prove o da passaggi democratici. Ma c’è anche il contesto: Israele da un lato e Iran dall’altro, a non fornire nessuna certezza sulle conseguenze di un’esplosione.
Nonostante il martellamento, è difficile trovare tifosi per questa guerra. Sembra di assistere al solito braccio di ferro tra grandi potenze; quella dialettica del terrore utile a definire o consolidare le gerarchie internazionali.
Quando mai gli americani hanno avuto bisogno di prove? Quando lo hanno voluto, se ne sono inventate di false per tuffarsi in guerre infinite, da dove ora hanno difficoltà a tirarsi fuori, lasciando più macerie (materiali, economiche, culturali e morali) di quante ne abbiano trovate. Il regime siriano possiede armi chimiche, come le possiedono gli USA, la Russia o la Cina; chi ha aiutato gli Assad a costruirsele sono stati un po’ tutti, dalla Cina alla Corea del Nord, dalla Russia alla Francia alla Germania. I ribelli stessi ne hanno usate, portandosele da Afghanistan o Cecenia, o recuperandole all’esercito siriano, e a dichiararlo è stato il giudice Carla Del Ponte (maggio 2013), o il sito di opposizione nonviolenta Syriatruth.
Ma la guerra innalza il PIL; le principali industrie occidentali produttrici di armamenti premono per il loro utilizzo; le forze armate, addestrate a uccidere, fremono ovunque, stanche di troppe pause. Ecco che una prova di forza in Siria potrebbe partire da un giorno all’altro, magari dalla durata breve, salvo scenari di incontrollabilità, comunque evitando di rovesciare un regime che – a modo suo – assicura stabilità nell’area.
L’Italia non è da meno in queste logiche, nonostante gli equilibrismi della Bonino; Letta con l’elmetto in Afghanistan ci dice proprio questo. E non solo: pensiamo all’incremento delle spese militari, mentre l’argomento tasse è all’ordine del giorno; quest’anno alla Difesa andranno 14,4 miliardi, contro i 13,6 dello scorso anno; fondi destinati allo sviluppo economico, stanno confluendo copiosi nelle spese militari; persino fondi destinati all’università e alla ricerca; tutti guardiamo l’assurdo acquisto degli F-35 (circa 9 miliardi), mentre si acquistano gli intercettori supersonici Eurofighter Typhoon per oltre 21 miliardi; tutti i settori delle forze armate sono in preda a spese folli.
La Sicilia, con le sue basi USA-Nato di Sigonella, Trapani Birgi (con i loro droni), Augusta e Niscemi è già allo stato di massima allerta e farà da prima linea, con le basi cipriote e turche, in questa nuova aggressione. Ogni guerra americana è per noi un salto verso una maggiore militarizzazione.
Purtroppo il clima non è quello dei tempi dell’intervento nel golfo; troppe distrazioni affliggono i movimenti; solo la ripresa della mobilitazione, assieme al movimento NO MUOS che sta crescendo rapidamente, può recuperare il gap esistente e ridare spinta a una forte opposizione alla guerra, alle spese militari, alla presenza di basi Nato-miricane sul nostro territorio.
Pippo Gurrieri
NO ALLA GUERRA

 



domenica 8 settembre 2013

Gli orrori del profitto

Le devastazioni provocate dalla crescita economica sono tali che la società capitalista moderna si caratterizza più per quello che distrugge che per quello che crea. Nessuna opera può ormai essere paragonata alle rovine create dalle sue esigenze. Questo significa, ovviamente, che la sete di benefici che guida il sistema produttivo e per tanto il modo di vivere che esso comporta viene spenta malgrado la valanga di danni per la popolazione, che vanno dai rischi per la salute (l'inquinamento provoca un quarto delle malattie) fino ai disastri ambientali. La distruzione ha raggiunto un livello talmente elevato che il contrasto tra interessi privati e danni pubblici diventa visibile anche ai più ritardati. E'a questo punto che dalle alte sfere del potere parlano di conflitto ambientale e territoriale, di cultura del no e di governance interattiva. E' da un po' di tempo che i problemi legati al lavoro hanno smesso di essere fonte di preoccupazione per i dirigenti, come dimostra il fatto che più del 40% dei lavoratori guadagni meno di 1000 euro al mese: questo grazie al fatto che, sotto la minaccia di precarietà e di esclusione, i meccanismi di controllo e di integrazione funzionano perfettamente. Non è così in altri casi dato che il fallimento dell'ecologismo politico ha fatto emergere la questione sociale, espulsa dai quartieri e dalle fabbriche, nelle lotte chiamate a torto ambientali e in particolare nella difesa del territorio, senza ruolo di contenimento e dispersione della "democrazia partecipativa". Nonostante tutto, questo emergere non è stato così tanto travolgente da produrre  un fenomeno di coscienza generalizzato e alle lotte resta ancora tanta strada da fare.