..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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domenica 30 giugno 2013

La responsabilità della rivolta

“E quando gli uomini della nostra generazione sussultavano davanti all’ingiustizia, li si convinceva che si trattava di un sussulto passeggero. Così, per gradi, si è diffusa la morale della condiscendenza e della disillusione”
(Albert Camus)

In mezzo mondo divampa la rivolta. I mezzi d’informazione mediano questa verità fatta di mille sollevazioni, cercando di farcele apparire come inconsulte, estremiste, incivili e senza sbocco politico. I commentatori più colti giungono a definirle antistoriche e irrazionali, frutto della disperazione e dell’immaturità delle cosiddette masse. Si evocano altresì gli spettri del nichilismo e dell’anarchia. Dentro questo incendio generalizzato, le piazze d’Italia sembrano quelle dipinte da De Chirico, immote e deserte, sospese in un’attesa irreale, anche se dietro i muri del presente premono contraddizioni tutt’altro che metafisiche. Chi governa ne è del tutto consapevole e tiene pronti reggimenti di uniformi per fronteggiare l’ondata che tutti si aspettano, ma per il momento funzionano altre armi preventive, più sottili ma non meno efficaci.
La rivolta non dilaga, ancora, per un malinteso senso di responsabilità. Dietro ogni discorso governativo c’è infatti questo messaggio ricattatorio: non è tempo di ribellioni che risulterebbero dannose per tutti e soprattutto per i più deboli. In un momento così delicato, è necessario non incrinare la coesione nazionale: agitarsi è controproducente e anche il solo alzare la voce può aggravare la crisi e l’assetto precario della nave incagliata su cui siamo imbarcati.
In parlamento si afferma così il partito unico dei Responsabili mentre, nel tentativo di incanalare risentimenti e disinnescare proteste, a sinistra si annunciano barricate figurate e si auspicano rivolte democratiche, rispettose della legalità e della proprietà privata, non-violente e dialoganti con le istituzioni, disponibili alla delega politica e a farsi rappresentare dai sindacati concertativi, senza riferimenti ideologici o di classe, nonché scevre da malsane utopie rivoluzionarie. In altre parole, si promuove la rivolta… purché non sia una rivolta. Tutt’al più è consentita e adulata la messinscena della rivolta con relativi copioni e ruoli prestabiliti: guardie e ladri, buoni e cattivi, delinquenti e sognatori. Dovendo respirare ogni giorno questa intossicazione dell’intelligenza e della volontà, un buon ed utile antidoto è la riflessione di Albert Camus, proprio attorno alla necessità vitale della rivolta, che rovescia tanti punti di vista nutriti dalla falsa coscienza e dai luoghi comuni del potere. Dall’opera – vastissima e articolata – di Camus vale la pena cogliere qualche allusione.
“Non è certo la prima volta che gli uomini si trovano davanti a un avvenire materialmente bloccato. Ma di solito avevano la meglio grazie alla parola, o al grido. Facevano appello ad altri valori che fossero per loro una ragione di speranza. Oggi nessuno parla più (tranne quelli che si ripetono), perché il mondo ci appare sospinto da forze cieche e sorde che non intenderanno le grida di avvertimento, i consigli, le suppliche”. Sono parole scritte nel 1946, nella società del dopoguerra scossa e timorosa al punto da arrendersi ad una “immensa cospirazione del silenzio”, preferendo negare i propri desideri e le proprie verità, piuttosto che affrontare la paura delle conseguenze sul vivere e su un futuro che peraltro intimamente si sapeva già non migliore del presente.
Poco è mutato in oltre mezzo secolo, soprattutto guardando la prevalente rinuncia a rischiare qualcosa per provare a sottrarsi alla dominazione che pesa su ogni nostro respiro, pensiero, gesto: “la vera generosità verso l’avvenire consiste nel dare tutto al presente. La rivolta, con questo, prova di essere il moto stesso della vita, e non la si può negare senza rinunciare a vivere”.
Il meccanismo della paura continua funzionare, senza inceppamenti, rinnovando esiti tragici. Basti pensare al terrore che paralizzò quasi sempre i prigionieri dei campi di sterminio, impedendo loro di unirsi in un’evasione o ribellione collettiva pur sapendo che la loro sorte era segnata.
In alcuni casi la resistenza esplose pure nei lager, ma generalmente bastava un pugno di aguzzini per controllare decine di migliaia di deportati in uno spazio limitato. In tanti si chiedono tutt’ora come fu possibile, ma una risposta non può partire che dalla spersonalizzazione e dalla perdita di dignità individuale che il sistema concentrazionario perseguiva, facendo prevalere la paura della morte fisica immediata anche su moltitudini di morti-viventi. Attraverso la singola privazione della dignità umana veniva quindi impedito il costituirsi di un’identità e quindi di una forza collettiva, solidale, tra oppressi.
In qualche modo, ancora oggi, milioni di esseri umani (poco importa sapere se siamo il 99%) sono costretti a vivere in una dimensione in cui si saldano la coercizione violenta e la servitù volontaria, magari ammantate di democrazia, pubblico interesse e osservanza delle leggi, quando invece quello che manca è un’assunzione, individuale e collettiva, di responsabilità nel determinare il proprio agire che, per il suo valore etico, non può essere ristretto all’ambito angusto definito dalle leggi, scritte per mantenere l’ordine vigente e non certo per assicurare la giustizia sociale.
Chi abbraccia la rivolta e la diserzione, esaurita la pazienza verso sé stesso e la sottomissione allo stato delle cose, afferma al contrario l’esistenza di un limite invalicabile e la consapevolezza che non si può, umanamente e decentemente, transigere oltre.
Un limite ormai da tempo superato ma che la maggioranza ancora non sa e non vuole vedere, in modo del tutto irresponsabile e senza amore: “Se abbiamo coscienza del nulla e del nonsenso, se troviamo che il mondo è assurdo e la condizione umana è insopportabile, ciò non significa che non c’è niente da fare e che possiamo rassegnarci”. L’alternativa possibile, infatti, esiste e passa dalla rivolta che senza pretendere di risolvere tutto, può almeno fronteggiare l’alienazione, ossia l’espropriazione dell’essenza umana.
“Da quell’istante, il meriggio zampilla e scorre sul movimento stesso della storia”.

Margherita Hack: La Signora delle stelle

Ieri notte è morta, Margherita Hack.
C'è già chi parla di una stella in più in cielo, chi la immagina intenta a convincere Dio a diventare ateo.
Era considerata una delle astrofisiche italiane più importanti e una "madre nobile" della divulgazione scientifica in Italia. La Hack è stata la prima donna a dirigere un osservatorio astronomico in Italia e ha dato un forte contributo alla ricerca per lo studio e la classificazione spettrale di molte categorie di stelle. Con la sua scomparsa, l'Italia e il mondo perdono una grande donna, che ha dedicato la sua vita al servizio della scienza e della cultura, impegnata in prima linea e con passione per l'autodeterminazione nelle scelte individuali e per la laicità delle istituzioni sui diritti civili, in campo politico e sociale e a difesa della parità di genere. Non credeva in alcuna religione perché credeva che ci potesse essere un’etica laica e atea che derivasse da principi di coscienza. “L’etica laica e in particolare l’etica degli atei – aveva scritto – che non credono in nessuna entità superiore non meglio definita, ma solo nel dato di fatto dell’esistenza della materia che origina le strutture presenti nell’Universo, da cui si originano anche gli esseri viventi dai più semplici ai più complessi, si basa sul rispetto del prossimo, uomo o animale che sia e può essere riassunta dai comandamenti di Cristo. Per attenersi a questi comandamenti non c’è bisogno di credere in dio, non lo si fa per la speranza in un al di là in cui non si crede, ma solo per un sentimento di fratellanza universale che deriva dalla nostra comune origine da quella materia che costituisce l’Universo”. Dal 1989 era garante scientifico del Cicap e, dal 2002, presidente onorario dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti. Dal 2005 era iscritta all’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. Ma in tema di bioetica erano note anche le sue aperture: era favorevole all’eutanasia, aveva sottoscritto un testamento biologico, sosteneva il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali (nel 2010 era stata premiata a Torre del Lago Puccini come “Personaggio gay dell’anno”). “Da parte di altri paesi è certamente un segno di civiltà – aveva dichiarato – Noi invece siamo un paese arretrato, che non sa cos’è il rispetto della libertà. Il Vaticano è certamente un deterrente che influenza la classe politica, ma la politica non è libera e non ha il coraggio di reagire. E se non reagisce questo significa che è più bacchettona della Chiesa e non sa cos’è il rispetto della libertà altrui”. Antifascista e da sempre oppositrice di Berlusconi e della sua parte politica si era più volta candidata alle elezioni, ottenendo in alcune occasioni anche il seggio al quale però aveva sempre rinunciato.
La scienza italiana perde un altro simbolo, dopo la scomparsa di Rita Levi Montalcini.
Come riconoscimento per il suo contributo all’astrofisica le è stato intitolato l’asteroide 8558 Hack.

-   Credo che scienza e fede operino su due piani completamente diversi: la scienza si basa sull'esperimento, sull'osservazione e sull'interpretazione dei fatti tramite le conoscenze della fisica, quindi si basa sulla ragione. La fede è invece, per l'appunto, un atto di fede: la fede uno ce l'ha o non ce l'ha.
-   La colpa di Eva è stata quella di voler conoscere, sperimentare, indagare con le proprie forze le leggi che regolano l'universo, la terra, il proprio corpo, di rifiutare l'insegnamento calato dall'alto, in una parola Eva rappresenta la curiosità della scienza contro la passiva accettazione della fede.
La spiritualità, per uno come me che non crede a Dio, all’anima, all’aldilà, sta nella capacità di amare e comprendere gli altri − uomini e animali − “di non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”.
-   Perché in Italia la ricerca proprio non vuole funzionare? Per due motivi, entrambi ben radicati nella storia e nel costume nazionali. Da un lato scontiamo una cronica quanto inspiegabile paura della scienza e delle sue potenzialità, e dal caso Galileo alla battaglia contro l'analisi preimpianto degli embrioni molta responsabilità spetta alla Chiesa e al suo vizio di dettare legge in un Paese che pure si professa laico. Dall'altro lato ci si mette lo Stato che da destra a sinistra taglia i fondi all'università, spreca le scarse risorse, ingarbuglia le carriere accademiche senza peraltro riuscire a sottrarle ai "baroni".


Ciao Margherita!

giovedì 27 giugno 2013

Rioccupato il Csa Murazzi!

CONTRO LA REPRESSIONE NON SI TACE
NESSUNA GIUSTIZIA, NESSUNA PACE
Molta acqua è passata sotto I ponti del Po da quando nel settembre 1987 il Collettivo Spazi metropolitani, dava vita a quella serie di occupazione (ben 6) che avrebbero portato nel settembre 1989 alla conquista di un Centro Sociale Autogestito ai Murazzi del Po.
- Anni intensi, sempre in prima fila tutte le volte che ha soffiato forte il vento della rivolta, che il conflitto ha rotto gli argini della pace sociale, che razzisti e fascisti hanno alzato la testa.
- Anni a fianco del lavoratori e dei proletari, dentro l'università della Pantera, ad occupare Porta Nuova con gli studenti medi, a contrastare la Lega Nord quando i suoi veleni viaggiavano lungo il Po e si fermarono ai Murazzi, sostenendo i popoli in lotta, vivendo e diffondendo l'ASKATASUNA.
- Anni che ci hanno insegnato molto, che quando, da buoni Comunisti e da Ottimi AUTONOMI si vive nella materialità delle lotte, si sa amministrare il proprio bagaglio di esperienze, si sa ragionare sui passaggi tattici da fare, non si sceglie la scorciatoia del NoProfit, non ci si lascia affascinare dalle sirene delle istituzioni, alla fine quello che hai seminato con tanta fatica darà i suoi frutti.
- Anni di: feste - video - concerti - fantasia - bisogni - socialità - antagonismo - contropotere.
Lo si era già annunciato quattro giorni fa, quando mercoledì scorso, il CSA Murazzi era stato messo sotto sequestro e murato completamente. Un blitz, non soltanto giudiziario ma anche politico, con il silenzio e assenso del Comune di Torino, che ha creduto di mettere a tacere una delle voci storiche e vitali del lungo Po, in cambio di una completa desertificazione e speculazione della zona Murazzi di Torino.
Dopo che un corteo partecipatissimo ha attraversato mercoledì sera le vie della città, nella serata di oggi un altro corteo, a cui hanno preso parte circa 1500 persone, si è dimostrato pronto non solo a difendere lo spazio autogestito ma a riprenderselo con determinazione.
E così è stato: dopo aver attraversato le centralissime vie della movida torinese, si è voluto dare un segnale e una risposta chiara, arrivando fino al centro sociale, rioccupandolo e aprendolo al pubblico. Aperte le porte dello spazio autogestito, si è dato poi il via ad una serata in cui non è mancata la musica e socialità, quella stessa che l'amministrazione comunale tenta di spegnere a tutti i costi. Nelle prossime serate non mancheranno altre iniziative per continuare a mantenere vivo lo spazio e a far rivivere uno degli luoghi di aggregazione e di socialità che storicamente hanno caratterizzato la città.
QUE VIVA MURAZZI. IL CSA NON SI TOCCA!'.


No MUOS

domenica 23 giugno 2013

Canterbury tales: Moon In June e la leggenda di Canterbury


Ieri ho sentito alla radio che la luna avrebbe raggiunto in serata il suo Perigeo, punto di minima distanza dal nostro pianeta. Verso le 11 mi sono affacciato sul balcone, anche per prendere un po’ di fresco, e me la son trovata davanti, una immensa luna piena grande luminosissima e stupenda, cominciai a fissarla quando ad un certo punto mi vennero in mente delle note musicali. E si quella incredibile luna del mese di giugno è il pretesto per ricordare uno dei pezzi tra più belli della storia della musica rock degli anni 70, “Moon in June” dei Soft Machine, pionieri della psichedelica britannica precursori del rock progressivo e colonna portante di quello che poi è stato definito “Canterbury Sound”.
Tutto ebbe inizio nel 1961 quando un gruppo di ragazzi Mike Ratledge, Robert Wyatt, Dave Sinclaie, Pye Hastings e Richard Coughlan tutti allievi della Simon Laughton School ovviamente di Canterbury, città dell’Inghilterra sud orientale nella contea del Kent, decidono di formare un gruppo musicale chiamandolo Wilde Flowers, riunendosi nella casa di Wyatt per ascoltare e suonare musica jazz.
Nel 1962 al gruppo si uniscono i fratelli Brian e Hugh Hopper e Richard Sinclair, fratello di Dave. Intanto da Melbourne (Australia) arriva Daevid Allen, poeta,autore teatrale, studente d’arte e pazzo visionario, dove con Robert Wyatt al Canterbury Collage of Art conoscono Kevin Ayers. Nei vari anni dai Wilde Flowers fuoriescono alcuni dei componenti su citati per formare altri gruppi (tra i quali i Caravan). Nel 1965 Mike Ratledge, Kevin Ayers, Robert Wyatt e Daevid Allen si trasferiscono a Londra mettono su un nuovo gruppo dal nome Daevid Allen Quartet. Poco dopo, ispirandosi al titolo di una novella di William Burroughs si danno il nome di SOFT MACHINE. Da quel momento la canzoncina pop più banale è presa per la camicia, strapazzata e gettata nel cestino dei rifiuti.
La band è ingaggiata dall’UFO-CLUB punto di riferimento senza sede fissa di tutti quelli che facevano parte dell’underground londinese, in esso si incontravano per fare e ascoltare musica i trasgressivi e gli psichedelici di allora. Le prime due serate nel locale furono chiamate “UFO Presents Night Tripper (UFO presenta il viaggiatore della notte)” e vi suonarono i Soft Machine e altri quattro ragazzi allora sconosciuti che avevano formato un gruppo dal nome Pink Floyd.
“Girava talmente tanto acido e tanto fumo a quei tempi che credo che nessuno si ricordi niente di niente. Quelli di noi che sono sopravvissuti ai giorni dell’UFO, ricorderanno sempre per l’UFO e per il continuo beep spaziale di Interstellar Overdrive”. (Roger Waters)
Due parole su l’UFO-CLUB.
L’UFO-CLUB si distingueva per la proiezione, durante i concerti, di diapositive mediante un diascopio. Contemporaneamente uno stroboscopio getta fra il pubblico saette di luce che sono combinate con la musica, essendo programmate in modo da sciogliere e spezzettare i movimenti degli spettatori. Lo stroboscopio è una fonte di luce che lampeggia molto velocemente, costringendo lo spettatore a percepire ogni movimento come una serie di sbalzi. Per le proiezioni si adoperano speciali diapositive inserite tra due vetri molto resistenti, all’interno delle quali è immessa dell’aria o del liquido che, riscaldatosi, alternano continuamente l’immagine. Dopo i continui interventi della polizia, nell’ottobre del ’67, chiude i battenti, interrompendo uno dei sogni più colorati dell’anno.
In quel periodo i Soft Machine iniziano a fare le loro prime registrazioni alla Rondhouse, dove viene prodotto il loro primo e unico 45 giri: Feelin’ Reelin’ Squeelin’ / Love Makes Sweet Music, con Jimi Hendrix alla chitarra ritmica, il quale stava registrando nello stesso studio Hey Joe. Visto lo scarso successo commerciale del loro disco, i Soft scendono in Francia, dove sono scritturati per la produzione della musica di una piéce di Ricasso La desir attrappé par la queuve. Durante il ritorno in Inghilterra nel 1968, il visto sul passaporto di Daevid Allen non è rinnovato dalle autorità e quindi il “folletto” australiano si vede costretto a rimanere nel territorio francese dove dopo qualche tempo forma un gruppo che è stato definito il più bel giocattolo della casa discografica Virgin … i GONG … ma questa è un’altra storia. I tre superstiti della Macchina Morbida accompagnano Hendrix in occasione della prima tournée americana, al termine della quale registrano il loro primo album: SOFT MACHINE.
Al rientro in Inghilterra Kevin Ayers abbandona i Soft, il suo posto viene rilevato da un vecchio compagno: Hugh Hopper. Il nuovo trio registra SOFT MACHINE VOLUME TWO. Con questo album l’orizzonte scelto è quello del Jazz Rock, per quanto può valere il termine. Ne è testimonianza discografica il loro terzo disco THIRD, album doppio edito nel 1970 con un lungo brano per facciata e l’intervento di un nuovo sassofonista: Elton Dean. Third rappresenta un grandioso manifesto creativo, ineguagliato per profondità ed originalità e il suo sound originale ha ispirato generazioni di musicisti, avendo un ruolo d’ispirazione per gli sviluppi delle più importanti correnti della musica rock come la stessa scuola di Canterbury, la psichedelia, il rock-jazz, il progressive-rock, il post-rock. THIRD lancia la formazione ai vertici di quello che sarà definito “art rock” procurando la gloria ai SOFT MACHINE. Il disco è perlopiù strumentale, unica canzone è l’ispiratrice di questo post: Moon In June, splendido vagheggiamento di Robert Wyatt.

MOON IN JUNE è un canto libero, musica totale, canzoni tonde, malinconiche, vicine al soul, alla psichedelia patafisica col tono surreale e nello steso tempo umoristico tipico della musica di Wyatt.
Ma non finisce qui, la leggenda continua …

sabato 22 giugno 2013

Sequestrato il CSO Murazzi di Torino

Mercoledì 19 giugno, di prima mattina, le “forze dell’ordine” hanno sequestrato il centro sociale Murazzi di Torino, in attività dal 1989.L’operazione di polizia è stata imponente, con decine di mezzi e uomini, e i locali del “Murazzi” sono stati posti sotto sequestro e gli ingressi sono stati murati.
Ci spiega cosa è successo, e cosa succederà, Vincenzo, del centro sociale “Murazzi” di Torino.
Di seguito, il comunicato di Murazzi: 
Questa mattinale forze dell’ordine stanno murando le entrate del CSA Murazzi. Il centro sociale, che aveva subito pochi mesi fa il sequestro dell’impianto, è al centro di un’azione giudiziaria che ha portato sostanzialmente alla desertificazione completa della zona dei Murazzi del Po, luogo centrale della movida estiva e primaverile per molti giovani torinesi.
Il CSA Murazzi ha risposto a questa azione con fermezza lanciando la campagna Que Viva Murazzi per riuscire a difendere un luogo storico e centrale del divertimento, della cultura e della socialità. Anche dopo il sequestro dell’impianto la musica non si è spenta, si è contestata duramente la scelta tutta politica e non solo giudiziaria di lasciare all’abbandono e allo spaccio le arcate che per molte generazioni di torinesi hanno rappresentato la possibilità di incontrarsi, conoscersi e socializzare. Questa politica di desertificazione puzza di speculazione da molto lontano, i progetti per la riassegnazione delle arcate parlano chiaro, l’obbiettivo del Comune è quello per l’ennesima volta di una “riqualificazione” che in realtà vede solo soldi espropriati dalle tasche dei cittadini e ben pochi pro per gli stessi.
In questo contesto l’anomalia del CSA ancora aperto e ormai da mesi frequentato da migliaia di giovani ogni weekend, vissuto dagli studenti per le feste di fine anno, da artisti e famiglie durante le giornate, è sicuramente una spina nel fianco sia rispetto ai progetti della procura sia rispetto a quelli del comune. Nella città di Torino vantata come “città dei giovani” un centro sociale che costruisce aggregazione, che permette l’accesso al divertimento a tutti a prezzi popolari, che organizza cultura, musica e divertimento in maniera autogestita non ha posto. E’ chiaro che la chiusura degli accessi al CSA di questa mattina ci indica chiaramente come ci sia uno scontro tra due visioni diverse della città di Torino, una, quella che governa malamente nell’era Fassino, che privilegia la speculazione, le grandi opere e i grandi eventi, che taglia sui trasporti, sul welfare, e l’altra che invece costruisce dal basso forme di solidarietà, cooperazione sociale e cultura altra che siano accessibili per tutti. Lo schieramento di polizia notevole che ha accompagnato il sequestro di questa mattina ne è testimonianza.
Certamente non basteranno queste azioni di intimidazione da parte della questura e della procura per chiudere un progetto ormai ventennale come quello del CSA. Non si fermeranno sicuramente adesso le molte inziative che da anni il centro sociale promuove con costanza.

Consigli operai di Rosa Luxemburg

Nella storia universale, la creazione di una civiltà socialista è la missione più difficile che mai sia stata affrontata da una classe e da una rivoluzione. Questo compito richiede un completo sovvertimento dello Stato e un totale rivoluzionamento delle basi economiche e sociali della società. Questo non può essere decretato da una autorità quale che sia, commissione o parlamento. Solo le masse dei lavoratori possono intraprenderlo e realizzarlo. Finora in tutte le rivoluzioni la lotta è stata condotta da una piccola minoranza che ha definito scopi e tappe. Essa si appoggiava alle masse che considerava solamente uno strumento per la realizzazione dei propri interessi.
Al proletariato non si chiede soltanto di definire in modo responsabile e cosciente gli obiettivi della rivoluzione e la strada da percorrere per conseguirli; è anche suo compito quello di impegnarsi per introdurre nella pratica, passo dopo passo, il socialismo nella società.
L'essenza della società socialista consiste nel fatto che la grande massa dei lavoratori cessa di essere diretta da altri e comincia a vivere in prima persona la vita politica ed economica, determinandone liberamente e consapevolmente il corso. Così, dal più alto vertice dello Stato al più piccolo dei Comuni, il proletariato deve sostituire gli organi ereditati dalla dominazione borghese, consigli federati, parlamenti e consigli comunali  con i propri organi di classe, i consigli degli operai. Deve occupare tutte le cariche, esercitare il proprio controllo su tutte le funzioni, commisurando ogni atto dello Stato agli interessi della classe operaia e ai compiti del socialismo. Solo una costante e intensa interazione tra il proletariato e i suoi organi  i consigli permetterà di giungere a uno Stato di tipo socialista.
Soltanto i lavoratori possono trasformare le parole in fatti concreti con il loro operato. Nella lotta tenace, faccia a faccia, con il capitale in ogni azienda, con la pressione diretta esercitata dalle masse, con gli scioperi e la creazione dei loro organi rappresentanti permanenti, i lavoratori potranno prendere il controllo della produzione e infine assumerne la direzione effettiva.
La socializzazione dell'economia può essere realizzata in tutta la sua pienezza dalla lotta tenace e instancabile delle masse operaie in ogni ambito in cui il lavoro è opposto al capitale e il proletariato al dominio della borghesia. L'emancipazione della classe operaia deve essere opera del proletariato stesso.

giovedì 20 giugno 2013

Da Istanbul a Rio De Janeiro la protesta popolare non ha confini

Intellettuali d'oggi,
idioti di domani
ridatemi il cervello
che basta alle mie mani,
profeti molto acrobati
della rivoluzione
oggi farò da me
senza lezione.
(Fabrizio De André, “Il Bombarolo”)

ISTANBUL 2013 

RIO DE JANEIRO 2013


Provos

Il movimento Provo (Provo è traducibile come «provocazione») è stato un gruppo contestatario, con forte venature libertarie, attivo politicamente e socialmente nei Paesi-Bassi durante gli anni 1965-1970: rivendicavano un'anima ecologista e libertaria; le sue azioni erano spesso umoristiche.
Venne fondato da Robert Jasper Grootveld e dagli anarchici Roel van Duyn e Rob Stolk nel 1965. Grootveld era un ex-lavavetri, artista di strada ed attivista anti-tabagista che si "divertiva" a dipingere una K (simbolo di Kancer) sui manifesti pubblicitari di sigarette. Attorno alla sua figura, che aveva fondato nel 1965 uno pseudo centro-magico, si coagularono tantissimi giovani pacifisti, anarchici, antimilitaristi e anti-sistema in genere. Nacque così il movimento dei provo.
Un ruolo molto importante nella nascita del movimento lo ebbe anche Roen van Duyn, un filosofo molto introverso, ispirato dall'anarchismo, dal Dadaismo, da Herbert Marcuse e dal Marchese de Sade. Van Duyn divenne elemento decisivo nella pubblicazione dell'omonima rivista, che portava come indicazione: «Provo, mensile degli anarchici». Fu il sociologo olandese Buikhuizen a coniare per primo il termine «Provo» (in italiano il termine può essere tradotto in "provocazione") in una descrizione assecondante dei Nozems, una delle prime subculture olandesi moderne, nata e sviluppata a cavallo degli cinquanta-sessanta, che sarà alla base della nascita del movimento. L'anarchico Roel Van Duyn fu il primo a riconoscere il potenziale nascosto dei Nozems, affermando nel 1965: «È nostro compito convertire la loro aggressione in una coscienza rivoluzionaria».
I simboli che li caratterizzarono furono le biciclette bianche (significante il comportamento antisociale degli automobilisti) e la mela, che veniva frequentemente offerta ai passanti e che i provos mangiavano frequentemente (secondo diverse fonti storiche la A cerchiata spesso veniva utilizzata per simboleggiare la mela dei provos). Il movimento ebbe immediatamente una caratterizzazione molto libertaria, d'altronde la città in cui spesso si riunivano, Amsterdam, era un simbolo stesso di libertà in quel periodo. La piazza in cui si incontravano era la Spuipplatz, al centro della quale c'era una piccola statua (Lieverdje), raffigurante un fanciullo. Essendo stata donata da un mercante di tabacco, i Provos si divertivano nel "profanarla" lanciandole contro oggetti vari o dipingendola di bianco. I veri e propri happenings a cui partecipavano centinaia di persone, talvolta terminavano con l'arrivo della polizia e con l'arresto di qualche persona.
Nel giugno 1965 apparve ad Amsterdam per la prima volta il giornale Provo, sotto la direzione di Roel van Duyn. Annunciando l'uscita del loro giornale, pubblicarono il loro manifesto programmatico:

«PROVO è un foglio mensile per anarchici, provos, beatniks, nottambuli, arrotini, avanzi di galera, semplici simoni stiliti,maghi, pacifisti, mangiatori di patatine fritte, ciarlatani, filosofi, portatori di germi, stallieri reali, esibizionisti, vegetariani, sindacalisti, babbi natale, maestri d'asilo, agitatori, piromani, assistenti dell'assistente, gente che si gratta e sifilitici, polizia segreta e altra plebaglia del genere.
PROVO è qualcosa contro il capitalismo, il comunismo, il fascismo, la burocrazia, il militarismo, il professionismo, il dogmatismo e l'autoritarismo.
PROVO deve scegliere tra una resistenza disperata ed una estinzione sottomessa.
PROVO incita alla resistenza ovunque sia possibile.
PROVO è cosciente del fatto che alla fine perderà, ma non può lasciarsi scappare l'occasione di compiere almeno un ennesimo sincero tentativo di provocare la società.
PROVO considera l'anarchia come fonte d'ispirazione alla resistenza.
PROVO vuol ridar vita all'anarchia ed insegnarla ai giovani.
PROVO È UN'IMMAGINE.»

In questa maniera il movimento Provo venne fatto conoscere alla città: essi intendevano portare in Olanda, ritenuto un paese simbolo di benessere e tranquillità, un vento rivoluzionario che quantomeno criticasse l'esistenza stessa di quest'ordine precostituito. Per queste ragioni ebbero atteggiamenti molto provocatori, anche se sempre non-violenti: la violenza era, infatti, intesa come una pratica d'azione politica non consona alle loro peculiarità. Atteggiamenti volti alla ridicolizzazione delle autorità furono quasi all'ordine del giorno, l'azione era sempre improntata sull'ironia (chiesero che la polizia girasse disarmata e portasse cibo da donare ai poveri al posto dei manganelli), il sarcasmo e la disobbedienza. I metodi creativi dei Provos erano tanto originali ed anomali quanto altamente sovversivi; la sinistra e i sindacati non li comprendevano e la polizia li considerava alla stregua dei peggiori sovversivi.
Una delle azioni più eclatanti fu da loro compiuta il 10 marzo 1966: durante il passaggio del corteo nuziale della principessa Beatrice, i provos fecero esplodere alcuni fumogeni. La protesta serviva ad attirare l'attenzione sul fatto che la principessa si stava unendo in matrimonio con l'ex-nazista Claus von Amsberg. La polizia caricò pesantemente i giovani “provocatori”, ci furono molti feriti e qualche arresto. Il giorno seguente molti olandesi si dichiararono scandalizzati dalla violenza della polizia olandese.
I Provos elaborarono diverse proposte politiche conosciuti come "Progetti bianchi", attraverso i quali si intendevano socializzare i mezzi di trasporto, le abitazioni (nelle pagine della rivista PROVOS venivano elencati gli appartamenti sfitti da occupare), i metodi contraccettivi, ecc. Il primo di questi progetti prese il nome di Piano delle Biciclette Bianche (1965), che proponeva di sostituire progressivamente le automobili e le moto con le biciclette di proprietà comune. Sulla rivista Provo n.9 del 1965 l'artista Constant Nieuwenhuys (già fondatore del gruppo CO.BR.A.) pubblicò alcune progetti di urbanizzazione che mettevano in primo piano i bisogni dell'essere umano. Altri "progetti bianchi" portarono nomi curiosi, come il "Piano dei Piedi Scalzi", "Piano dei Camini Bianchi", "Piano delle Abitazioni Bianche".
Alle elezioni amministrative del 1° giugno 1966 uno dei provos, De Vries, fu eletto nel consiglio comunale di Amsterdam, suscitando polemiche interne al movimento; critiche che venivano soprattutto dall'anima anarchica del movimento. Il 22 marzo 1967 De Vries si dimise e venne sostituito da Luud Schimmelpennick, l'ideatore del piano per le biciclette bianche. Si pensava ad una sorta di cambio della guardia, invece il 13 maggio 1967 i provos olandesi annunciarono pubblicamente il loro scioglimento.
Nel periodo successivo in molti si aspettavano la rinascita improvvisa del movimento; alla fine del 1969, Roel van Duyn, portandosi dietro il suo saggio Sabotaggio come arma alternativa di difesa, prese personalmente il posto vacante nel Consiglio Comunale di Amsterdam che spettava ai provos. Molti militanti oramai avevano preso altre strade, del gruppo originale rimasero in pochi, e questi diedero vita al movimento Kabouters, che però si differenziò notevolmente nei modi e nei fini rispetto ai Provo. Questi erano sostanzialmente pessimisti mentre i Kabouters, nonostante usassero un linguaggio più aggressivo e catastrofico, pensavano che la società potesse essere cambiata e quindi si adoperavano per questo. Anche loro però furono accusati di avventurismo e di aver partecipato alle elezioni amministrative, così nel giro di pochi anni anche la loro esperienza terminò definitivamente.
L'esperienza dei provos olandesi fu subito imitata da altre realtà che si diffusero rapidamente in tutta Europa, specialmente in Belgio, Germania e nel nord Europa. Anche in Italia nacquero nel 1967 alcuni gruppi che si ispiravano alle azioni dei Provos: il più noto di questi è il collettivo milanese Onda Verde, fondato, tra gli altri, da Andrea Valcarenghi, futuro animatore della rivista Re Nudo.

mercoledì 19 giugno 2013

Polizia e terrore di Stato in scena a Istanbul, ma la lotta cresce


11 Haziran 2013
Gli occupanti di Piazza Taksim Square e del Parco di Gezi sono stati attaccati stamattina dalla polizia. Dopo la riunione di ieri del Consiglio dei Ministri, la polizia si è presentata in piazza alle 7 del mattino. Mentre sparava lacrimogeni, annunciava che non avrebbe attaccato chi era nel parco. Centinaia di poliziotti sono entrati in Piazza Taksim assicurando che non avrebbero attaccato il parco a dicendo che avrebbero rimosso solo i cartelli. Ma poi hanno iniziato a rimuovere anche le tende. Allora abbiamo cercato di fermarli e la polizia ci ha attaccato con i lacrimogeni.
Mentre la polizia attaccava, molte persone iniziavano ad affluire in piazza per protestare contro questo attacco fascista. Per fermare questa folla di manifestanti in arrivo, la polizia ha sparato lacrimogeni nella stazione della metropolitana e la fermata metro di Piazza Taksim è stata chiusa.
La polizia sta facendo uso massiccio di lacrimogeni, di bombe assordanti, di proiettili di plastica e di getti di acqua compressa.
Un gruppo di manifestanti ha fatto una catena umana che è stata presa di mira dai lacrimogeni della polizia sparati da breve distanza. In molti sono stati feriti dai candelotti ma, svaniti i gas, molti manifestanti si sono ricompattati ed hanno ricostituito la catena umana.
Sebbene la polizia avesse annunciato che non avrebbe fatto "nessun intervento" nel parco, hanno fatto uso massiccio di lacrimogeni nel parco, persino sull'infermeria allestita nel parco, tanto da dover portare via quelli che vi erano ricoverati.
Molti manifestanti sono stati feriti dai candelotti e dai proiettili di plastica. Alp Altınörs, che è un esponente di Taksim Solidarity Initiative è stato ferito alla fronte da un proiettile di plastica ed è stato ricoverato. Si sa che la polizia non spara a caso.
Dall'altra parte, la polizia ha iniziato a perquisire le sedi politiche. La sede del SDP (Partito Socialista Democratico) è stata perquisita e molti attivisti sono ora in stato di custodia forzata. La polizia ha ammanettato i manifestanti e li ha picchiati brutalmente
mentre li portava via.
Nonostante il duro attacco della polizia a Piazza Taksim ed al Parco Gezi, la resistenza non si piega. Lo Stato fascista, la repressione ed il terrore poliziesco non ci scoraggiano, la nostra lotta va avanti, la nostra rabbia cresce insieme alla nostra lotta.

RIVOLTA, RIVOLUZIONE, ANARCHIA!
Devrimci Anarsist Faaliyet

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali

Ovunque è Taksim. Ovunque è Anarchia

Il 28 maggio scorso ad Istanbul un gruppo di manifestanti occupava il parco di Gezi nella centrale Piazza Taksim ad Istanbul. Un’azione di protesta si opponeva alla costruzione di un centro commerciale che vorrebbe distruggere un’importante area verde della città. Un progetto che si inserisce nel più ampio processo di sventramento di vecchie zone storiche e ristrutturazione urbana trasformandole in zone di edilizia di lusso e commerciali, espellendo i poveri verso le periferie.
Il costo della vita aumenta, aumenta la schiera degli emarginati, aumentano i profitti degli speculatori legati al partito di governo,l'AKP. Il 30 maggio la polizia interveniva sgomberando brutalmente il presidio, sparando gas lacrimogeni ed idranti ad alta pressione, incendiando le tende degli occupanti distruggendo gli alberi che questi avevano piantato nel parco nei giorni precedenti. Il terrorismo di Stato innesca la rivolta. Nonostante la repressione violenta della polizia, sempre più persone si univano ai manifestanti che resistevano nella piazza. Dopo giorni di scontri ininterrotti, nei quali la polizia ha usato mezzi sempre più duri e violenti, alle 16 del primo giugno, i blindati iniziavano a ritirarsi da Piazza Taksim, i cordoni dell'antisommossa arretravano e abbandonavano la piazza. La resistenza di oltre un milione di manifestanti, la solidarietà praticata nelle strade, ha costretto la polizia ad indietreggiare. La piazza è ancora presidiata dai manifestanti, in altri quartieri di Istanbul e in decine e decine di altre città continuano gli scontri e le proteste. Ormai si tratta di un'estesa rivolta contro un governo autoritario e conservatore del primo ministro Erdoğan, contro il terrorismo di stato, contro la devastazione capitalista.
La devastazione ambientale e sociale, la repressione a l'autoritarismo, le sempre più feroci condizioni di sfruttamento sul lavoro, l'oppressione religiosa imposta dal governo, l'attacco alla libertà delle donne, la propaganda nazionalista e l'interventismo di in Siria sono i fattori del malcontento che hanno fatto esplodere in Turchia una vera e propria rivolta di massa.
Gli anarchici partecipano al movimento in tutta la Turchia, sono presenti nella resistenza nelle strade e difendono i manifestanti. In questo momento la rivolta è ancora in atto e in decine di città continuano imponenti manifestazioni. La brutalità della polizia non si ferma. Non è ancora chiaro quale sia il numero dei morti. Un giovane è stato ucciso ad Ankara da un colpo di pistola alla testa sparato a bruciapelo dalla polizia, altre tre vittime sono state confermate. Gli arrestati e i feriti sono ormai incalcolabili.
Per questo è importante promuovere ovunque iniziative di solidarietà internazionale, denunciare il terrorismo di Stato in Turchia, sostenere chi lotta per la libertà.
In Turchia, in Italia, in Spagna, in Grecia e in ogni parte del mondo, uniamoci nella lotta!
Sosteniamo i movimenti di protesta in Turchia contro la devastazione capitalista, il terrore di stato e l'oppressione religiosa.

Her yer Taksim. Her yer Anarşi
Ovunque è Taksim. Ovunque è Anarchia
Dayanışma!
Solidarietà!



martedì 18 giugno 2013

Lo sciopero

Lo sciopero si giustificava storicamente in un sistema di produzione, come violenza organizzata per strappare alla violenza inversa del capitale una frazione del plusvalore, se non il potere. Ora, questo sciopero è morto:
1) Perchè il capitale è in grado di lasciare marcire tutti gli scioperi - e questo perché non si è più in un sistema di produzione (massimizzazione del plusvalore). Perisca il profitto, purché la riproduzione della forma del rapporto sociale sia salva!
2) Perché questi scioperi in fondo non cambiano niente: il capitale ridistribuisce oggi da se stesso, è per lui una questione di vita o di morte. Nel migliore dei casi, lo sciopero strappa al capitale ciò che questo avrebbe comunque concesso a termine, secondo la propria logica.
Se quindi i rapporti di produzione, e con essi la lotta di classe, affondano nelle sabbie mobili dei rapporti sociali e politici orchestrati, è chiaro che può fare irruzione in questo ciclo solo ciò che sfugge all'organizzazione e alla definizione della classe come: istanza storica rappresentativa, istanza storica produttiva.
Solo quelli che sfuggono al mulinello della produzione e della rappresentazione possono guastarne i meccanismi e fomentare, dal fondo della loro condizione cieca, un capovolgimento della "lotta di classe" che potrebbe essere la sua fine pura e semplice come luogo geometrico del "politico". E' qui che l'intervento degli immigrati acquista il suo senso negli scioperi recenti.
Poiché milioni di lavoratori, a causa del meccanismo della loro discriminazione, si trovano privi di qualsiasi istanza rappresentativa è, la loro irruzione sulla scena occidentale della lotta di classe a portare la crisi a livello cruciale della rappresentanza. Tenuti "fuori classe" da tutta la società, ivi compresi i sindacati (e con la complicità economico-razziale della loro "base" su questo punto: per la "classe" proletaria organizzata, centrata sul proprio rapporto di forza economico-politica con la classe borghese capitalistica, l'immigrato è "oggettivamente" nemico di classe), gli immigrati fungono, a causa di questa esclusione sociale, da analizzatori del rapporto fra lavoratori e sindacati e, più generalmente, del rapporto fra la "classe" e qualsiasi istanza rappresentativa della "classe". Devianti per quanto riguarda il sistema della rappresentanza politica, essi infettano della loro devianza tutto il proletariato, che impara anch'esso a poco a poco a fare a meno del sistema della rappresentanza e di qualsiasi istanza pretenda di parlare in suo nome.

martedì 11 giugno 2013

Lo stato di Michail Bakunin

Ma cos’è lo Stato? Ogni sua teoria logica e conseguente è fondata essenzialmente sul principio di autorità, che è idea eminentemente teologica, metafisica e politica. Lo Stato è l’autorità, la forza, l’ostentazione della forza e l’infatuazione per essa. Lo Stato non è la società, ma una sua forma storica tanto brutale quanto astratta. È nato storicamente in tutti i paesi dal matrimonio tra la violenza, la rapina, il saccheggio, in breve la guerra, la conquista, e gli dei creati dalla fantasia teologica delle nazioni. Esso è la sanzione divina della forza bruta e dell’iniquità trionfante, la storica consacrazione di ogni dispotismo e privilegio, la ragione politica di ogni servitù economica e sociale, il centro e l’essenza stessa di ogni reazione. Come suprema impersonificazione del principio di autorità sulla terra, lo Stato è per natura ente assoluto, espressione intrinseca della sovranità tout-court. In quanto astrazione politica è la negazione generale della società e degli interessi positivi delle regioni, dei comuni, delle associazioni e del più gran numero degli individui. Esso è un’universalità divorante, un’astrazione distruttrice della comunità vivente e dunque un grande macello e un immenso cimitero, ove generosamente, serenamente, vengono a lasciarsi immolare e seppellire tutte le aspirazioni reali, tutte le forze vive di un paese.
Il rapporto tra Stato e società è dunque un rapporto alienato, che scaturisce precisamente dalla natura astratta dell’entità statale rispetto alla concretezza reale della vita sociale. In virtù di questo Logos intrinseco, lo Stato esprime la sua profonda vocazione nell’espansione interna ed esterna: interna verso la società, esterna verso gli altri Stati sovrani. Verso la società perché la domina e tende ad assorbirla completamente, verso gli altri Stati sovrani perché vorrebbe espandersi a spese loro, con la conseguenza di una permanente tensione di guerra. L’esistenza di uno Stato sovrano ed esclusivo presuppone infatti l’esistenza e, se necessario, provoca la formazione di altri Stati similari, poiché è ovviamente naturale che gli individui al di fuori di esso e da esso minacciati nella loro esistenza e nella loro libertà, si associno, a loro volta, contro di lui. Abbiamo così l’umanità divisa in un numero indefinito di Stati stranieri, tutti ostili e minacciosi tra loro, per cui si deve concludere che Lo Stato è la più flagrante, la più cinica, la più completa negazione dell’umanità. Esso frantuma la solidarietà universale di tutte le persone sulla terra e li spinge all’associazione al solo scopo di distruggere, conquistare e rendere schiavi tutti gli altri.