..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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lunedì 25 febbraio 2013

Solidarietà a chi lotta


Solidarietà ai compagni e alle compagne della Federazione Anarchica Torinese e a tutti gli antirazzisti e le antirazziste che andranno sotto processo il 27 febbraio 2013.

Ipazia, la prima scienziata vittima del fondamentalismo religioso

Ipazia era nata ad Alessandria d’Egitto intorno al 370 d. C., figlia del matematico Teone. È stata una matematica, astronoma e filosofa greca antica, rappresentante della filosofia neoplatonica pagana. Fu barbaramente assassinata nel marzo del 415, vittima del fondamentalismo religioso che vedeva in lei una nemica del cristianesimo, forse per la sua amicizia con il prefetto romano Oreste che era nemico politico di Cirillo, vescovo di Alessandria. La sua uccisione avvenne da parte di una folla di cristiani in tumulto, per alcuni autori composta di monaci detti parabolani, l'ha resa una martire del paganesimo e della libertà di pensiero. È stata la prima donna scienziata la cui vita ed opere ci sono state tramandate da numerose testimonianze.
Malgrado l’amicizia con Sinesio, vescovo di Tolemaide, che seguiva le sue lezioni, i fondamentalisti temevano che la sua filosofia e la sua libertà di pensiero avessero un’influenza pagana sulla comunità cristiana di Alessandria.
L’assassinio di Ipazia è stato un altro atroce episodio di quel ripudio della cultura e della scienza che aveva causato molto tempo prima della sua nascita, nel III secolo dopo Cristo, la distruzione della straordinaria biblioteca alessandrina, che si dice contenesse qualcosa come 500.000 volumi, bruciata dai soldati romani e poi, successivamente, il saccheggio della biblioteca di Serapide. Dei suoi scritti non è rimasto niente; invece sono rimaste le lettere di Sinesio che la consultava a proposito della costruzione di un astrolabio e un idroscopio.
Dopo la sua morte molti dei suoi studenti lasciarono Alessandria e cominciò il declino di quella città divenuta un famoso centro della cultura antica, di cui era simbolo la grandiosa biblioteca. Il ritratto che ci è stato tramandato è di persona di rara modestia e bellezza, grande eloquenza, capo riconosciuto della scuola neoplatonica alessandrina.
Ipazia rappresenta il simbolo dell’amore per la verità, per la ragione, per la scienza che aveva fatto grande la civiltà ellenica. Con il suo sacrificio comincia quel lungo periodo oscuro in cui il fondamentalismo religioso tenta di soffocare la ragione. Tanti altri martiri sono stati orrendamente torturati e uccisi. Il 17 febbraio 1600 Giordano Bruno fu mandato al rogo per eresia, lui che scriveva: «Esistono innumerevoli soli; innumerevoli terre ruotano attorno a questi, similmente a come i sette pianeti ruotano attorno al nostro Sole. Questi mondi sono abitati da esseri viventi». Galileo, convinto sostenitore della teoria copernicana, indirettamente provata dalla sua scoperta dei quattro maggiori satelliti di Giove, fu costretto ad abiurare.
Il fondamentalismo non è morto. Ancora oggi si uccide e ci si fa uccidere in nome della religione. Anche nei nostri civili e materialistici paesi industrializzati avvengono assurde manifestazioni di oscurantismo, come in alcuni stati della civilissima America in cui si proibisce di insegnare nelle scuole la teoria dell’evoluzione di Darwin e si impone l’insegnamento del creazionismo. Su questa strada di ritorno al Medioevo si era messa anche la nostra ex ministro dell’Istruzione (o dovremmo dire della distruzione?) Gelmini, tentando di cancellare la teoria darwiniana dalle scuole elementari e medie. Perché? Per ignoranza? Per accontentare una Chiesa cattolica che non mi sembra ingaggi più queste battaglie perse in partenza.
Ipazia ci insegna ancora oggi quale e quanto pervicace possa essere l’odio per la ragione, il disprezzo per la scienza. La sua è una lezione da non dimenticare.
Ipazia di Alessandria ha un conto aperto con la nostra civiltà che dobbiamo incominciare a pagare.
È anche grazie al suo insegnamento che esiste il libero pensiero, il mettere in discussione tutto, lei ci ha insegnato a ragionare controcorrente e contro ogni dogma; il pensiero, la conoscenza, la mente umana non ha limiti imposti, e non esiste nessuna verità che ci venga dettata dall’alto.
Naturalmente ha un conto aperto anche con la Chiesa: il vescovo di Alessandria, Cirillo, sicuro istigatore della persecuzione e della morte violenta della filosofa, è un santo e padre della Chiesa.

mercoledì 20 febbraio 2013

La libertà è troppo grande per farla entrare in un’urna

Dal cumulo di macerie ancora fumanti che hanno provocato, gli sfasciacarrozze dell’attuale governo dimissionario, compresi quelli dei partiti che lo hanno sostenuto e lo sostengono, guidano l’offensiva mediatica per porsi al centro dell’interesse della società, e offrire a tutti la carnevalata elettorale quale medicina miracolosa che potrà far superare lo stato comatoso in cui versa la popolazione. Se la realtà fosse quella mostrata dai mass-media noi non saremmo che umili frammenti di pietra ruotanti attorno a questo gruppo di stelle del firmamento politico posto al centro dell’universo quale unica compagnia di attori di una commedia imposta ad un pubblico di sessanta milioni di terrestri di lingua italiana.
La realtà è però ben diversa da quella disegnata e manipolata dai media: la commedia è una tragedia, e va in scena ogni giorno, da anni; personaggi come Monti, Bersani, Berlusconi, Casini, Bossi e compagnia brutta, sono i veri colpevoli, assieme ovviamente a chi li paga profumatamente e a chi gli obbedisce asininamente, della distruzione delle conquiste a favore dei più deboli, faticosamente affermatesi in lunghi e faticosi periodi di scontro sociale. Non contenti di aver demolito diritti come la pensione, la salvaguardia dei posti di lavoro, la mobilità, l’educazione e lo studio, l’assistenza sanitaria; fieri di aver difeso gli inquinatori, i guerrafondai, il clero, i banchieri e gli aguzzini del capitale nazionale ed internazionale, hanno sferrato l’ultimo attacco per affermare il potere assoluto dei più forti e dei più ricchi su tutti gli altri.
Negli ultimi anni va in scena un conflitto di principio, una guerra di classe con la quale i padroni e tutta la schiera di capibastone al loro servizio, cercano di imporre l’umiliazione e la genuflessione delle classi oppresse, con l’obiettivo di avere un intero popolo psicologicamente succube e materialmente subalterno.
Le elezioni rappresentano un momento saliente di questa strategia; sono la rappresentazione della più banale e nello stesso tempo pericolosa truffa messa in atto dai regimi democratici per sancire il consenso alle classi agiate, rappresentate da personale politico selezionato, spesso coadiuvato da personale “tecnico” altrettanto selezionato, senza che vi sia differenza fra i due livelli, denominatore comune essendo la gestione delle politiche liberiste di annientamento sociale.
E tuttavia il consenso gli è necessario, altrimenti verrebbe fuori la realtà di una dittatura mascherata in cui un manipolo di famiglie si è appropriato della ricchezze del paese; in cui l’unica maniera di promuovere le relazioni sociali è quella del ricatto continuo; in cui prosperano le classi militari ed ecclesiastiche; in cui il livello di controllo degli individui si è esteso ben oltre le previsioni di Orwell in “1984”. La dittatura del capitale (finanziario o meno) e dei ricchi, ha bisogno di creare attorno a sè consenso, non tanto a questo o quel partito, ma in primo luogo al sistema, e di poter far filtrare il messaggio che non vi sono alternative a questo sistema delle disuguaglianze, e che ogni necessità o bisogno di mutamento, deve essere incanalata dentro le sue compatibilità predefinite, all’interno della sua ideologia e soprattutto essere assoggettata alle sue leggi. In poche parole, deve essere neutralizzata e mantenuta solo nella sua forma di specchietto per le allodole, o di trappola per fessi, come dicono i francesi. L’attuale è un regime che fa apparire addirittura estremisti gli enunciati coniati un tempo dallo stesso liberalismo, cioè la regolamentazione del mercato e la separazione tra Stato ed economia; ormai siamo all’arrembaggio continuo, al banditismo delle classi agiate, all’assoggettamento della massa tramite chiese, televisioni, mode, minacce, povertà crescenti secondo criteri e modalità che ci riportano direttamente a metà del novecento.
Il 24 febbraio si consumerà l’ennesima farsa elettorale; i cavalli sono già ai blocchi di partenza, si sa che la gara è truccata, che ci sono cavalli dopati, ma l’importante è che la massa stia al gioco; che inizino le scommesse, che la vita fittizia si sostituisca a quella reale, facendo credere a tutti che siamo giunti al momento delle grandi decisioni, delle scelte epocali, del cambiamento dietro l’angolo. Cambiamento? Certo! Ma si può cambiare anche in peggio, però.
Per la componente più irrequieta del pubblico c’è la possibilità di puntare su un cavallo bizzarro: Beppe Grillo, ma ci sono cavalli per tutti i gusti: per i nostalgici della sinistra che fu e per quelli della sinistra modeata, per i giustizialisti e i legalitaristi, per i regionalisti e per gli europeisti, per i figli di Maria e per i laici, per la destra scellerata e per quella buonista. Quello che veramente conta è che nessuno esca fuori pista, che tutti si attengano alle regole, e che vinca il migliore… Al grande ipermercato elettorale si vende merce per tutti i gusti: ma il venditore è uno solo, e cosa vendere lo decide lui
Come in tutti i regimi, però la paura che i giochi possano essere scoperti è forte; il timore sottaciuto è che il pubblico possa abbandonare l’ippodromo, possa rifiutarsi di entrare nell’ipermercato e mettere su dei mercatini rionali, magari equo-solidali, dove ognuno è protagonista della propria vita e delle proprie scelte. In altre parole, se la fanno addosso solo a pensare a un bis del grande rifiuto di cui ha dato prova l’elettorato siciliano: 53% di non voti, più un altro 7% tra bianche e nulle.
Per questo la campagna elettorale è accanita; Monti scende in campo e sputtana la sua neutralità di “tecnico” calandosi così bene nel ruolo che promette anche di modificare l’IMU che il suo governo aveva varato in questa forma così vessatoria. La Chiesa è in campagna elettorale da tempo a fianco di chi gli ha garantito ancora privilegi ed esenzione dell’IMU. E tutti a cercare di fregare Grillo, che non è un pericolo per il sistema, ma uno che può esercitare una forte concorrenza soffiando poltrone e potere ai soliti noti; questo nonostante sappiano che un Grillo è essenziale per conquistare indecisi, delusi, incazzati e ribelli al gioco parlamentare, soprattutto dopo lo sputtanamento di Dipietro e dopo l’afflosciamento di Vendola verso posizioni catto-socialiste. Il PD si è inventato anche le “parlamentarie” per simulare un coinvolgimento della base che dimostratosi subito strumentale, e comunque allineato ai dettami di un rigido controllo dall’alto. Il patetico ritorno di Berlusconi sembra più che altro l’estremo tentativo di cacciarsi fuori dai guai giudiziari e di salvare il salvabile di un partito allo sbando.
L’astensione può essere la vera novità rivoluzionaria di queste elezioni; può rappresentare la delegittimazione dell’operato dei salvatori della Patria, che hanno salvato il bottino dei ladroni privati e di Stato, affossando nella precarietà e nella povertà milioni e milioni di italiani.
L’astensione è solo un momento, un’occasione, che però sottrae consenso e rompe i piani di chi comanda, rimette in pista i veri protagonisti, imprime fiducia in sè stessi, aiuta a rendersi autonomi dai partiti, spezza la farsa. Per questo è un momento importante, dal quale possono svilupparsi vere indignazioni, vere proteste, vere ribellioni, sia morali che concrete, e rendere possibile, sopra il cumulo di macerie che ci stanno lasciando in eredità, edificare un nuovo mondo dove non ci siano più poteri e potenti, padroni e servi, ma persone libere ed uguali, gelose della propria raggiunta autonomia.


Sicilia Libertaria


Astensione

sabato 16 febbraio 2013

Non votare; un atto di dignità, di protesta, di libertà

C’è ancora della gente che, quando sente parlare un astensionista, uno che non vota, risponde: “ma così che cosa ottenete? In questo modo lasciate che le cose restino come prima”. La risposta più immediata a questo genere di argomenti non può essere che questa: “dopo 60 anni di rituale democratico che cosa si è ottenuto? Le cose non sono restate come prima?”. Uno a uno e palla a centro, dunque.
Per noi anarchici, però, non si tratta solo di NON VOTARE, cioè di sottrarsi al rito periodico della tosatura delle pecore; questo sarebbe già un passo in avanti se sempre più cittadini lo praticassero. Tuttavia, limitarsi a non andare a votare può rivelarsi una flebile espressione di dissenso, un “grido di dolore” da parte del popolo, una tiratina di giacca ai politici, aspettando inutilmente poi che i partiti, i loro uomini, si diano una smossa e comincino a fare sul serio gli interessi della popolazione.
Ecco perché gli anarchici praticano e propugnano un ASTENSIONISMO ATTIVO, cioè danno al gesto di NON VOTARE il significato del voltare le spalle alla politica autoritaria e corrotta, un senso di presa di distanza, una dichiarazione di indipendenza.
In pratica, NON VOTARE deve poter significare riprendere nelle proprie mani i problemi che ci riguardano e cominciare a risolverli al di fuori (e contro) la classe politica, la borghesia, il mondo delle caste privilegiate. Se vogliamo chiamarlo in maniera più semplice: RIAPPROPRIARSI DELLA POLITICA, riprendersi quella facoltà di decidere e agire IN PRIMA PERSONA che i partiti e tutte le strutture autoritarie (enti, sindacati, chiese, sette, associazioni) hanno espropriato ai diretti interessati.

I PARTITI SONO TUTTI UGUALI
Spesso i nostri avversari (che coincidono sempre con i nemici del popolo, i parassiti, gli arrivisti e i ruffiani e pochi creduloni che gli scodinzolano intorno) ci accusano di fare di tutta l’erba un fascio quando affermiamo che I PARTITI SONO TUTTI UGUALI.
Ma non è qualunquismo, il nostro; è un giudizio che scaturisce da oltre un secolo di esperienza e da un’analisi teorica che l’anarchismo ha sviluppato sin dalla sua nascita, che ne rappresenta uno dei tratti distintivi più significativi.
I partiti sono tutti uguali perché tutti riproducono nelle loro forme organizzative delle strutture gerarchiche, autoritarie, negatrici della libertà. Tutti, nessuno escluso, anche quando si ammantano di concetti come “democratico”, “socialista”, “libertario”, e fanno un grande e spropositato uso della parola “libertà”, in realtà riproducono al loro interno un organismo gerarchico in cui i vertici godono di privilegi, e di uno su tutti in particolare: il privilegio del comando. Essi sono lo specchio della società che difendono o che (quelli più a sinistra) dicono di combattere: strumenti di potere in cui la massa conferisce una delega a una minoranza, senza alcun mandato imperativo, cioè la delega è a tempo indeterminato non può essere tolta che non in determinate occasioni periodiche (i congressi, anche se in genere sono dei puri rituali che sanciscono quanto deciso altrove), e priva chi l’ha espressa della possibilità di controllare il delegato. Proprio quello che avviene nella società cosiddetta democratica, dove nessun cittadino che abbia espresso un voto può ritirarlo una volta che il suo “rappresentante” non obbedisce più al mandato ricevuto, oppure cambia casacca, oppure va contro gli interessi di chi lo ha votato. E’ questa la democrazia!
Ma quel voto stesso non è stato espresso liberamente: la maggior parte delle persone vota per chi gli ha fatto dei favori o delle promesse; la loro condizione sociale, le loro necessità, influenzano la loro “scelta”.
Noi anarchici diamo molta importanza alla forma, contrariamente a tutti gli altri. Per noi la forma è contenuto; per noi un tipo di organizzazione, se è gerarchica e autoritaria, non può tendere verso nessun obiettivo antigerarchico e antiautoritario, dato che questo negherebbe la sua stessa esistenza. Cioè: IL FINE NON GIUSITIFICA I MEZZI. Un mezzo (partito) autoritario non può che condurre a un fine autoritario.
Fatta quest’altra precisazione, possiamo anche parlare delle “differenze” che caratterizzano i vari partiti: differenze di posizioni, di analisi e anche di obiettivi. Ma differenze molto sottili, spesso impercettibili, e viziate dalla comunanza di fondo di cui abbiamo appena detto. Tutti i partiti, infatti, oltre ad avere la medesima struttura interna, ammettono le stesse regole del gioco democratico, si fanno pagare dalle casse pubbliche (cioè dai cittadini, compresi quelli che non la pensano come loro), e non mettono in discussione le compatibilità del sistema: cioè non contestano l’esistenza dei padroni (al massimo li vorrebbero più buoni); non vanno mai contro la chiesa (anzi fanno a gara a genuflettersi davanti a papa, cardinali, vescovi e preti); non credono più all’esistenza del proletari (i poveri, i lavoratori senza futuro); non contestano il mondo delle banche e della finanza (i veri ladri e soffocatori della popolazione) da cui si fanno sponsorizzare volentieri; non sono per il cambiamento del sistema capitalistico, al massimo, i più “avanzati” propendono per una sua lenta riforma dall’interno.
Definite queste compatibilità dalle quali i partiti non intendono discostarsi, tutto ciò che rimane è ben poco, sono minchiate, piccole cose che non intaccano la sostanza dello sfruttamento quotidiano, dei rapporti di forza tra ricchi e poveri, tra potenti e subalterni. E loro, su queste briciole, che ci presentano come fattori importantissimi, imbastiscono il teatrino quotidiano della cosiddetta lotta politica, del cosiddetto scontro, della loro sedicente diversità. Mediocri e ipocriti, si fingono disinteressati e diversi fra di loro, eroici portatori di interessi di parte, e fanno passare l’idea malsana che l’unico modo di far politica, di interessarsi dei problemi reali, di pensare di poter cambiare l’esistente, è fare come loro, prendere parte alle loro sceneggiate nei consigli comunali, provinciali, regionali o al parlamento, perchè ogni altro modo è qualunquismo, populismo, terrorismo e via proseguendo con tutti gli …ismi di questo mondo.

L’ALTERNATIVA DAL BASSO
Allora come mettere in pratica un modo di far politica diverso, che produca cambiamenti veri?
Partire dall’INTERESSE. L’interesse comune ai lavoratori, ai giovani, a coloro che vengono quotidianamente privati dei più elementari diritti e delle possibilità di migliorare la loro vita. E ORGANIZZARSI.
Organizzarsi in maniera diversa, opposta ai modi cosiddetti tradizionali, fallimentari e truffaldini degli autoritari d’ogni colore. Organizzarsi in comitati, in assemblee, in cui il potere decisionale sia di TUTTI, in cui non si eleggano capi e burocrati, ma, quando occorre, si diano deleghe momentanee, provvisorie, a rotazione e revocabili in qualsiasi momento. E così, tutti assieme, veramente partecipi tutti della gestione di un determinato problema, portarlo avanti.
Dai problemi più semplici di un quartiere, un condominio, una scuola, un posto di lavoro, a quelli più grandi di un paese o una città, tutto è gestibile e affrontabile dai diretti interessati, senza più professionisti della politica in mezzo ai piedi.
In più, avendo compreso che l’Interesse del singolo coincide con l’interesse di tutti, si sviluppa un senso di solidarietà e di complicità che dà coesione all’azione. Avendo abolito i lacci e le catene che impedivano la partecipazione, si scatena l’entusiasmo, l’emulazione, la gioia dell’esserci e del fare: proprio quella che i partiti hanno spento, perché a loro interessava un popolo stanco, disilluso, obbediente e delegante. Un gregge da governare e tanti pastori (loro, assieme ai preti, ai sindacalisti, ai vertici militari) per tenerlo a bada e sfruttarlo.
Stiamo parlando di cose che si chiamano DEMOCRAZIA DIRETTA, che si chiamano AUTOGESTIONE, che si chiamano MUTUO APPOGGIO, che si chiamano TUTTO IL POTERE ALL’ASSEMBLEA, cioè IL POTERE A NESSUNO. Stiamo parlando di pratiche di partecipazione che oggi vengono messe in campo in molti posti del mondo, dal Messico (Chiapas, Oaxaca) all’Argentina (fabbriche occupate e autogestite), dall’India (movimenti dal basso di contadini e piccoli produttori) all’Africa (villaggi autogovernati), a tante località e situazioni d’Europa e d’Italia, dove comitati, gruppi, assemblee, movimenti, coordinamenti, portano avanti lotte ed esperienze per affermare la loro ferma opposizione a progetti devastanti dei rispettivi stati e del Capitale, per contrapporsi alla politica corrotta e cinica che sparge inquinamento e tossicità, toglie lavoro, produce profitti per i banditi del capitale. In questi giorni l’assemblea permanente dei precari di Madrid e di altre centinaia di città spagnole ne è solo l’ultimo esempio: hanno invitato a non andare a votare, dichiarando di non sentirsi rappresentati dai politici, ai quali hanno gridato in faccia: “Que se vayan todos” (che vadano via tutti).
Questa è l’alternativa vera per il cambiamento.
Non si può ancora continuare a credere che le decisioni che riguardano una città come Ragusa vengano prese al consiglio comunale, oppure nelle riunioni della giunta o dal sindaco: i consiglieri, gli assessori, il sindaco stesso sono solo dei pupi manovrati dai pupari. I PUPARI sono i grossi appaltatori, gli industriali, i dirigenti delle banche, i vertici della chiesa; sono gli stessi che finanziano i partiti e le loro campagne elettorali; sono quelli che comandano sull’economia della città e sulle sorti dei suoi abitanti. E’ nei loro salotti, nelle loro ville, nei loro uffici che si PIANIFICA la vita di una città, quanto cemento si deve spargere, quanti progetti si devono far passare in consiglio, quali progetti devono essere favoriti, quali clienti vanno accontentati. E tutto questo viene spacciato dai pupi per normale iter amministrativo e politico. Ma i pupi sono solo strumenti dei pupari, sono solo servi, sono solo illusionisti che devono nascondere la realtà, mistificarla, mettendo in scena tutti i giorni LA FARSA DEMOCRATICA, il teatrino del consiglio comunale, le finte schermaglie degli opposti schieramenti. Poi, a fine mese, tutti a mangiare nella stessa mangiatoia, tutti a succhiare dalla stessa mammella: i soldi dei cittadini.
NON VOTARE è scoprire la TRUFFA ELETTORALE, e di conseguenza RIPRENDERSI LA LIBERTA’ di CRITICA, di PROTESTA, di LOTTA.

giovedì 14 febbraio 2013

La necessaria lucidità: il gusto per l'Azione Diretta

In quaranta anni di militanza anarchica, non ho mai votato nelle elezioni politiche nazionali ed europee oltre che nelle elezioni cosiddette amministrative. Non ho mai votato in passato e, a maggior ragione, non voto né voterò in futuro.
Ritengo che l'astensionismo anarchico, a proposito di elezioni gestite dallo Stato che hanno per scopo la conservazione delle sue strutture piramidali, quindi autoritaria, gerarchiche e fonte di ingiustizie e privilegi, rappresenti uno degli aspetti fondamentali di una radicata, profonda convinzione rivoluzionaria e libertaria. Del resto, "Anarchia è parola che viene dal greco, e significa propriamente senza governo: stato di un popolo che si regge senza autorità costituite, senza governo" (Enrico Malatesta, L'Anarchia, 1884) ed è pertanto ovvio che un anarchico non partecipi con il proprio voto alla formazione di una qualsiasi autorità costituita e di un qualsiasi governo.
Questione di principio, dunque, che affonda le sue radici nella storia (e quindi sull'esperienza plurisecolare) negativa, perniciosa dell'organizzazione sociale verticistica, statale, autoritaria.
Per mettere in discussione oggi l'astensionismo anarchico in fatto di elezioni politiche e amministrative, bisognerebbe che la natura e la funzione dello Stato, dei governi e comunque delle autorità costituite, fossero cambiate, che non rappresentassero più, e non difendessero, gli interessi di una minoranza di privilegiati a tutto danno della stragrande maggioranza degli individui; che le cosiddette istituzioni politiche (oltre che l'organizzazione economica della società) garantissero benessere, libertà, giustizia, insomma condizioni egualitarie e libertarie di vita sociale a tutti gli esseri umani che popolano questo pianeta. Non c'è bisogno di dire che questa mutevolezza dello Stato (dei governi, ecc.), questo venir meno alle sue secolari caratteristiche, significherebbe il suo suicidio, la sua estinzione. E questa ipotesi è fuori e contro la sua logica e la sua storia.
Alcuni compagni (?) della sinistra, preoccupati dell'intorbidirsi se non dell'aggravarsi (almeno per ora) della situazione politica italiana, si sono pronunciati affinché tutti (quindi anche gli anarchici) partecipassero alle elezioni di Stato. E ciò per un presunto e rinnovato "pericolo di destra" incombente sul nostro paese, pericolo da scongiurare anche partecipando alle elezioni politiche ed amministrative. Come se il nostro voto dovesse e potesse creare situazioni nuove, rivoluzionarie se non addirittura libertarie... A prescindere dai motivi di principio di cui ho parlato poc'anzi, questa di combattere la "destra" anche con il voto di Stato, è una vecchia e pia illusione. E poi, oggi, dov'è la destra, cos'è la destra? È quella rappresentata da Berlusconi, Maroni, o quella di Monti, Casini, Fini, oppure quella rappresentata da Bersani, Vendola, ecc? Che differenza sostanziale c'è fra gli uni e gli altri, fra quelli del Polo e quelli dell'antipolo? E dov'è la sinistra, dove sono i movimenti popolari che per ragioni non di potere si battono per la difesa delle libertà e dei diritti dei lavoratori e dei cittadini in genere? Votando P.D. o S.E.L. o in alternativa  M. 5 S. o Rivoluzione Civile (perché queste e pochissime altre sarebbero eventualmente le "scelte" elettorali che ci si prospettano), voteremmo pur sempre per un rafforzamento e una perpetuazione del sistema attuale basato sull'ingiustizia sociale e sullo sfruttamento dell'uomo. Senza considerare che, molto spesso, nella storia remota e recente, sono state proprio le cosiddette sinistre le più accanite nel calpestare i diritti e le libertà della gente semplice, cioè delle classi subalterne al potere. E allora? Abbiamo forse perduto il gusto per quella che abbiamo definito sempre Azione Diretta? Non abbiamo più le energie, la volontà, e soprattutto la convinzione per portare avanti la nostra battaglia per la conquista diretta di sempre maggiori libertà e benessere per tutti?
A proposito di referendum abrogativi di leggi e regolamenti di Stato, le cose fin qui dette non cambiano. Lo Stato non cederà mai a nessuno le sue funzioni. I referendum che esso concede di tanto in tanto, gestendoli direttamente, servono ad illudere la gente, possono soltanto variare la forma ma non la sostanza della sua natura liberticida (tipico esempio il finanziamento pubblico dei partiti trasformato in rimborso elettorale).
Io credo che, di fronte al nauseante trasformismo imperante in tutti i settori politici, di fronte alla commedia elettorale di tutti i partiti, di fronte ai giochi di potere, alle rinunce e ai tradimenti nei confronti degli interessi dei lavoratori e della gente semplice dei sindacati istituzionali e corporativi (nessuno escluso), l'antica, saggia, coerente pratica anarchica abbia oggi, più che mai, la sua ragion d'essere. Una pratica anarchica che combattendo senza esitazione alcuna la destra politica ed economica, non concede nulla ad una sinistra funzionale agli interessi dei padroni e dello Stato.

mercoledì 13 febbraio 2013

Italiani brava gente

Da alcuni anni, il 10 febbraio viene ufficialmente celebrato il "giorno del ricordo", in memoria dei profughi italiani che, alla fine della seconda guerra mondiale, furono espulsi dalla Dalmazia, da Fiume e dall'Istria e di tutti coloro che furono uccisi e scaraventati nelle foibe.
E ogni anno i fascisti italiani (quelli al governo e quelli per le strade) mettono in campo tutta la loro propaganda nazionalista fatta di bugie, malafede e cattiva coscienza.
Ma la Storia è una cosa seria, e non deve essere travisata. E, soprattutto, va raccontata dall'inizio.

«Fioi mii, chi ofende Pisin, la pagherà.
In fondo alla Foiba Finir el dovrà»
[Canzone stampata sui libri di scuola italiani in Istria durante il ventennio fascista]

Dopo la prima guerra mondiale ('15-'18), l'Italia conquista Trieste e l'Istria e inizia una dura italianizzazione: le culture locali vengono perseguitate, viene imposto l'italiano come unica lingua e sono imposti funzionari italiani a dirigere gli uffici pubblici. Con l'avvento del fascismo, l'oppressione da parte dell'Italia si fa più feroce. In Istria e a Fiume le leggi razziali del 1938 dividono ancor più la cittadinanza in due categorie: gli italiani "puri" e gli "inferiori". A ciò si aggiungono le violenze squadriste, le chiusure dei giornali, gli incendi delle sedi associative.
Nel 1941, l'Italia fascista è in guerra al fianco della Germania nazista. Tedeschi, ungheresi e italiani invadono la Jugoslavia. L'Italia occupa la Dalmazia, parte del Montenegro, quasi l'intera Slovenia, e la Croazia (sotto forma di protettorato). Tutti quei territori diventano teatro di stragi, saccheggi e crudeltà. In particolare, le truppe di occupazione italiana ammazzano almeno 250 mila persone. Spedizioni di fascisti italiani e fascisti croati (gli Ustascia) torturano e uccidono centinaia di uomini, donne e bambini. Gli italiani costruiscono campi di concentramento (Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar, Rab) in cui rinchiudono quasi 30.000 persone.
Dopo l'8 settembre 1943 l'Italia fascista è allo sbando e i fascisti si danno alla fuga. Dopo decenni di repressione e violenze, gli jugoslavi e i partigiani di Tito si rivolteranno contro i nuovi occupanti nazisti, e attaccheranno chi li aveva massacrati fino a poco tempo prima: camicie nere, gerarchi e collaborazionisti.
La destra italiana ha sempre parlato di 20-30 mila italiani scaraventati nelle foibe, ma si tratta di cifre gonfiate per accattivarsi consensi facendo leva sulla pietà, usando la retorica e la menzogna storica. Gli studiosi hanno più realisticamente stimato 4-5 mila. Molti, senza dubbio (civili compresi), eliminati in tempi diversi e neanche tutti italiani.
L'esodo degli italiani e le foibe furono il tragico prodotto del fascismo, della guerra e del razzismo di stato. Le foibe erano state usate dagli stessi fascisti italiani durante l'occupazione contro la popolazione slava; poi dai tedeschi, fin dal 1941; poi addirittura dai partigiani, che non volevano lasciare i loro morti o le loro sepolture affinché i nazisti non capissero i loro movimenti.
Le vittime civili meritano sempre massimo rispetto, perché testimoniano la natura assassina di tutte le guerre e di tutti gli stati. Ma tutto questo non può e non deve giustificare il revisionismo e la retorica con cui oggi i fascisti cercano di autoassolversi dai loro crimini equiparando chi morì per la libertà con chi morì per la dittatura.

CONTRO I FASCISTI E LE LORO MENZOGNE
CONTRO OGNI AUTORITARISMO
VIVA LA RESISTENZA, L'INTERNAZIONALISMO E LA LIBERTÀ!

Coordinamento Anarchico Palermitano

martedì 12 febbraio 2013

L'utopia capitalista

Secondo l'Utopia capitalista, il capitale contemporaneo - concentrato su scala mondiale e dotato ormai di cervelli collettivi, identificati negli apparati statali e nei vertici tecno-burocratici - è in grado di dispiegare una propria strategia globale, fondata sulla cogestione e sul coinvolgimento dei dominati. La miseria e la brutalità evidenti, riservata alle parti del mondo non ancora toccate dal progresso tecnologico e ai ghetti interni dei “diversi”, sono esibite spettacolarmente come minaccia e ricatto, ma esclude all'interno del blocco capitalista avanzato. Rinunciando al colonialismo e alla guerra tra Stati nazionali, il capitale estende a tutti la partecipazione, giungendo a sussumere l'interiorità stessa del popolo senza confine dei suoi schiavi.
Tutta la vita dei proletari, compreso il tempo libero dal lavoro, che in precedenza veniva semplicemente ignorato, diventa oggetto dello sfruttamento. Dal momento in cui il capitale riesce imporre compiutamente la socializzazione del credito - vendite a rate, mutui, cambiali etc. -, la compravendita della forza-lavoro conquista tutto lo spazio e tutto il tempo della sopravvivenza dei proletari: il salario serve per pagare la sopravvivenza dell'anno passato, acquistata a credito. Il proletariato si trasforma in medium dell'estrazione del plus valore nelle ore passate sul luogo di lavoro, mentre, per tutto il resto del tempo, le sue qualità, i suoi bisogni e desideri si trasformano in materia estrattiva. Il linguaggio della persuasione occulta diventa la coazione che trasforma tutti i bisogni umani in bisogni dell'apparato produttivo, capovolgendo la legge della domanda e dell'offerta. L'universo produttivo determina ogni momento della sopravvivenza del lavoratore-consumatore, agganciandolo alla catena merce-desiderio-sublimazione in ruoli e obblighi sociali. Nello stesso tempo, la scienza – accumulazione dei significati dell'esperienza di tutti – organizza lo spettacolo del regno delle macchine come regno dell'unica libertà possibile.
Bodo’s Project

domenica 10 febbraio 2013

L’arma pacifica dell’astensione

Il non voto é l'unica arma (pacifica...) che ha in mano il cittadino per sfiduciare questa indegna classe politica. Non a caso invitano tutti a votare per qualunque partito (é la stessa zuppa...), al fine di perpetuare comunque la loro sopravvivenza e la truffa dei rimborsi elettorali. L'unico timore che hanno é che il cittadino non voti. Sanno benissimo che un'astensione di massa, qualunque fosse il risultato elettorale, renderebbe ogni governo che ne uscirebbe politicamente inadeguato, impossibilitato a governare. Cadrebbe al primo ostacolo. In Italia (non siamo gli USA...) non si può governare con un 50-60% di astenuti. Il governo non avrebbe nessuna credibilità. Ed é banale riportare la formuletta: "quindi se anche per assurdo nella consultazione elettorale votassero tre persone, ciò che uscirebbe dalle urne sarebbe considerata valida espressione della volontà popolare e si procederebbe quindi all'attribuzione dei seggi in base allo scrutinio di tre schede". Si vede come sia fuorviante il solo calcolo numerico, senza considerare il dato politico.
Una grande astensione di massa porterebbe inevitabilmente ad una nuova Costituente per riformare regole e architettura dello Stato, oltre a spazzar via la vecchia classe politica ormai sfiduciata. Ma al di là di queste considerazioni tecnico-politiche, mi chiedo con quale coraggio, dopo tutto quello che stiamo subendo uno potrebbe ancora votare questi indegni parassiti e incapaci???!!!

giovedì 7 febbraio 2013

I lupi e l'agnello

La democrazia è due lupi e un agnello che votano su cosa mangiare a colazione. La libertà un agnello bene armato che contesta il voto.

Benjamin Franklin



Non delegare agli altri la gestione della tua vita!



Possiamo e dobbiamo fare a meno dei politici di professione!

Autorganizziamoci, lottiamo in prima persona, difendiamo i nostri diritti, sbarazziamoci del potere e dei parassiti in doppio petto!


NON VOTARE, LOTTA!

mercoledì 6 febbraio 2013

Cos'è questo golpe? Io so di Pier Paolo Pasolini

Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto.
L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.

martedì 5 febbraio 2013

La carnevalata elettorale. Non cadere nella trappola

Sta girando su un blog la trama di un remake dal titolo Full Monti. La trama la conoscono tutti: Mario M e Mario D, due europeisti, si ingegnano per trovare degli espedienti per tirare avanti. Provano tra l’altro ad abbassare i salari, disintegrare i diritti dei lavoratori e le pensioni, prosciugare i redditi più bassi per continuare la politica delle aggressioni militari all’estero, salvaguardando i privilegi della Chiesa e dell’oligarchia finanziaria, senza accorgersi che tutto è stato già fatto.
Ma quando Mario M rischia di perdere il lavoro poiché è in arretrato con le riforme “ce lo chiede l’Europa”, pensa ad una soluzione un po’ drastica per tirarsi fuori da quel problema, e distrarre i cittadini che cominciano a protestare massicciamente.
Ispirato da un gruppo di europeisti professionisti che si esibiscono in Italia, ha l’idea di dar vita ad uno spettacolo pro-euro coinvolgendoli tutti (Bersani, Vendola, Casini, Cgil, Berlusconi ecc.). Lo spettacolo sarà un successo.”
Non è mia intenzione fare della facile ironia su chi crede che le prossime elezioni politiche siano un’occasione per fermare l’attacco che il governo porta alle condizioni di vita del proletariato e dei ceti popolari. La situazione è talmente tragica che l’ironia può persino sembrare offensiva per chi non ha la prospettiva di un lavoro, di un reddito, di una vecchiaia serena.
Sono molti, nonostante l’aumento dell’astensionismo, quelli che continuano a credere che, comunque, anche il voto dia il suo piccolo contributo a cambiare qualcosa, e sono molti, anche fra quelli con cui abbiamo condiviso le lotte contro le scelte di guerra, di miseria e di repressione del governo, a credere che il 24 e 25 febbraio, giorni delle prossime elezioni politiche, sia una scadenza importante anche per i movimenti di lotta.
Le delusioni di questi ultimi anni non hanno evidentemente insegnato nulla, come non ha insegnato nulla la parabola del socialismo legalitario, con il definitivo tramonto della presenza in parlamento dei partiti di ispirazione marxista: l’evoluzione parallela dei partiti socialdemocratici e di quelli che hanno usurpato il nome di comunista dovrebbero aver dimostrato che la lotta di emancipazione del proletariato si può svolgere solo al di fuori e contro le istituzioni statali, che ogni “lunga marcia” all’interno delle istituzioni termina con la subordinazione agli interessi della borghesia. Allo stesso modo dovrebbe aver insegnato qualcosa il fatto che la borghesia, di fronte ad una minaccia reale od immaginaria al suo capitale, non ha esitato a cacciare a calci nel sedere quanti credevano di poter attuare il socialismo pacificamente, dai banchi del parlamento. E li ha cacciati con al violenza fascista o con quella dell’esercito, anche se i socialisti legalitari disponevano della metà più uno dei voti!
Ma tant’è, la storia insegna solo che la storia non insegna niente a nessuno, così che ancora una volta ci troviamo a combattere questo tarlo elettorale, che mina le impalcature gettate per costruire, attraverso l’autogestione delle lotte, l’autogestione della società.
Ebbene, una obiezione sottile è quella che sostiene che qualcuno degli eletti in Parlamento tornerà comodo per la lotta contro la TAV e le vertenze sindacali; quindi tanto vale votarli. In realtà la questione non si pone in termini così semplici.
Innanzi tutto, ancora una volta, torna utile uno sguardo al passato: anche in anni recenti, ci sono stati eletti che si sono adoperati per questa o quel problema sollevato dai movimenti di lotta. Ma, o al di fuori del Parlamento c’era un movimento di lotta che faceva sentire la propria voce, che faceva capire al Governo e alla maggioranza che lo sosteneva che i cittadini sarebbero stati capaci di prendersi da soli quello che il Parlamento era indeciso a concedere, e allora anche i parlamentari di maggioranza hanno ceduto; oppure i cittadini si sono affidati completamente ai meccanismi istituzionali, e allora la maggioranza ha fatto orecchie da mercante. Un esempio clamoroso della protervia delle istituzioni, quando non sono incalzate da un movimento deciso, radicato, antiistituzionale, è dato dai referendum sull’acqua pubblica. E non si contano poi le volte che dai parlamentari è venuto solo l’appello ad avere fiducia nelle istituzioni, ad isolare i “violenti”, e così via.
Allora, riepilogando, per ottenere dei risultati è necessario costruire un movimento radicato, basato sull’autogestione e che usa lo strumento dell’azione diretta, solo sotto la minaccia di un movimento di questo tipo i parlamentari di opposizione potranno fare qualcosa di più che semplice tappezzeria. Ora, dobbiamo chiederci se, nella prospettiva della costruzione di un movimento di questo tipo, è utile o meno la partecipazione alle elezioni.
In queste settimane centinaia e centinaia di militanti, che abbiamo visto nelle lotte sindacali, nelle mobilitazioni ambientaliste o pacifiste, sono stati impegnati nelle complesse trattative per la formazione di cartelli elettorali, per l’elaborazione delle liste, per la definizione dei programmi. Il risultato è che la possibilità per ogni lista di entrare in Parlamento è inversamente proporzionale alla sua rappresentatività dei movimenti: cioè quanto più le liste cercano di esprimere i contenuti dei movimenti di massa, l’opposizione sociale alla politica dei governi che si sono succeduti in questi anni, tanto meno hanno possibilità di far eleggere qualche candidato. Ogni militante sincero che, pieno di buona volontà, abbia partecipato a qualcuna di queste riunioni dovrà ammettere di aver dovuto rinunciare, in tutto o in parte, a quello per cui ha lottato in questi anni.
Una volta definito il programma, c’è da definire le liste, c’è la lotta fra i vari gruppi, le varie correnti, i singoli candidati per spuntare un posto migliore: sono elementi di polemica, di divisione che si ripercuoteranno pesantemente sui movimenti di lotta.
La tattica elettorale, fin dal primo momento, porta con sé la rinuncia agli obiettivi condivisi e la divisione al nostro interno.
Per chi si batte per l’unità e l’autonomia dei movimenti di lotta, per l’autorganizzazione e l’azione diretta, non resta altra scelta che l’opposizione alla tattica elettorale, che si esprime nell’astensionismo.
Bene ha fatto il movimento No TAV a diffidare ancora una volta chi vorrebbe strumentalizzare il movimento per la propria campagna elettorale.
Il popolo fa paura ai governanti quando si batte fuori e conto istituzioni, fuori e contro il parlamento, fuori e contro il governo, ma quando accetta la farsa del “popolo sovrano” fa la fine dei re del carnevale: viene portato in giro con una corona di cartapesta in testa per un giorno, e gabbato tutto l’anno! E proprio questo spera di ottenere Monti con le elezioni anticipate. Sta a noi non cadere nella trappola.

Tiziano Antonelli