..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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giovedì 30 agosto 2012

Anarchist Exclusion Act

La Anarchist Exclusion Act (Legge sull'esclusione degli anarchici) è consistita in due leggi repressive che furono adottate in tempi diversi dal Congresso degli Stati Uniti. L'Anarchist Exclusione Act inizialmente vietò l'ingresso degli immigrati sospettati di essere anarchici, ma l'emendamento successivo permise anche la loro deportazione verso i paesi di provenienza.
La prima legge fu introdotta nel 1903 dopo l'esplosione della violenza anarchica e, in particolare, dopo l'attentato mortale compiuto dall'anarchico polacco Leon Czolgosz contro il Presidente McKinley. La legge ebbe un impatto assai limitato, perché secondo la Commissione per l'Immigrazione statunitense tra il 1903 e il 1914 impedì l'ingresso a soli 15 anarchici.
Nel 1918 la precedente legge fu emendata e divenne più restrittiva: per esempio, permetteva la deportazione anche degli immigrati già residenti sul territorio nazionale. Questa seconda legge, nota anche come legge Dillingham Hardwick, rimase in vigore sino al 1952 ed ebbe conseguenze un po' più gravi per il movimento anarchico statunitense.
Nel 1919 il «New York Times» riferì che nel corso dell'anno precedente a due anarchici venne negato l'ingresso negli Stati Uniti, 37 furono deportati e 55 erano in attesa di espulsione «The Times» pubblicò articoli in cui veniva denunciato il basso numero di espulsioni rispetto all'ondata di violenza che veniva attribuita agli anarchici.
Tra gli anarchici più noti che furono deportati ai sensi della legge repressiva ci fu Luigi Galleani e diversi suoi seguaci. Erano stati responsabili di una campagna di attentati che ebbero il loro culmine nel 1919 e nel 1920. Anche Emma Goldman e Alexander Berkman, entrambi stranieri residenti negli USA, furono deportati ai sensi della legge.
Mentre negli States infuriavano i cosiddetti Palmer raids contro anarchici e comunisti e venivano promulgate altre leggi repressive come la Selective Service Act (1917) e l' Espionage Act (la prima promulgata per favorire l'arruolamento per la prima guerra mondiale, la seconda per punire gli attivisti antimilitaristi, tra cui vi erano molti anarchici, che interferivano nelle operazioni militari in qualunque modo.), più di quattro mila anarchici (veri o presunti) furono arrestati ai sensi della legge, ma la maggior parte di essi fu poi rilasciato su intervento del Dipartimento del Lavoro. In qualità di ministro del Lavoro Louis Freeland Post fu minacciato di impeachment perchè impediva l'espulsione degli anarchici. Gli anarchici deportati furono in totale 556.

domenica 26 agosto 2012

Ribelle

Non sempre il Ribelle può cambiare il Sistema, ma mai il Sistema cambierà il Ribelle.

Non vi preoccupate dello spread

Non c'è un canale di informazione italiano che non stia osservando, con crescente preoccupazione, la caduta delle borse europee (tra cui la peggiore è Milano) e l'aumento dello spread tra Italia e Germania. La volontà di iniettare panico generalizzato sta cominciando a produrre frutti: non passa ora senza che qualcuno passi vicino a me commentando le oscillazioni della Borsa. Inutile precisare che NESSUNO di coloro che si preoccupano per la Borsa sono possessori di azioni o abili speculatori o quant'altro. Non avrebbero una ragione al Mondo per preoccuparsi, se non fosse che i media hanno fatto passare il seguente messaggio: se i mercati finanziari continuano ad andare così, andremo tutti in default. Tradotto: se i miliardari non continueranno a far miliardi, saranno costretti a licenziarvi e a far aumentare le tasse dal loro governo di fiducia. Stesso discorso, ovviamente, fa fatto per le banche: se lo Stato (cioè noi) non aiuta le banche private  (cioè loro) coi soldi pubblici (cioè coi nostri soldi), allora andremo in default.
Esattamente come è successo in Spagna, e prima ancora in Grecia, adesso anche in Italia stiamo notando come tutte le manovre, tutte le leggi, tutti i tagli, tutte le cosiddette riforme fatte in questi mesi dal governo bocconiano in combutta con la troika della Unione (bancaria) Europea, non sono servite ad una beneamata ceppa. I Greci e gli Spagnoli hanno obbedito a tutti i diktat europei, facendo manovre sanguinarie e realizzando controriforme degne del peggior fascismo. Risultato? Atene rischia il default in autunno; Madrid ha appena vissuto tre giorni di guerriglia urbana, ed il governo Rajoy ha appena comunicato che "nun ce sta na lira", quindi bisogna tagliare ancora gli stipendi, abolire la tredicesima e ridurre le ferie.
In Italia non siamo ancora a questi livelli? Beh, qualche settimana fa un sottosegretario del governo bocconiano, tale Paolillo, ha comunicato a tutti gli italici che bisogna lavorare di più (taglio delle ferie) e guadagnare meno (taglio dei salari e delle tredicesime) se si vuole evitare il default.
Sono di ieri due notizie interessanti: gli stipendi sono fermi da 10 anni; solo due assunzioni su dieci avvengono a tempo indeterminato.
Quindi possiamo dirlo: tecnicamente siamo già in default.
Allora, cari concittadini, piantatela di dar retta ai messi di informazione parziale di massa dietro cui vi sono famosi gruppi economico-finanziari che fanno azione di lobby. Smettetela di preoccuparvi della Borsa, dello spread, dei bund tedeschi. Sono cose da miliardari, da padroni. E se i padroni si vorranno vendicare con noi perché le loro speculazioni non sono più redditizie, perché i loro conti correnti non sono più gonfi come prima, noi abbiamo solo una cosa da fare: reagire.
E solo di questo ci dovremmo preoccupare, perché è palese che non siamo minimamente pronti a reagire, ma solo e soltanto a subire.

sabato 25 agosto 2012

Andrea Salsedo morte “accidentale” di un anarchico

Tutti ricordano la tragedia di Sacco e Vanzetti, ma nessuno il suo prologo. Quando la sera del 5 maggio 1920, sul tram diretto a Broklton, la polizia americana ferma i due anarchici italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, tra gli effetti personali dei due viene rinvenuto un volantino invito in cui si annuncia un comizio di Vanzetti. Motivo del comizio, spiega il volantino, denunciare le gravissime responsabilità della polizia nella morte, avvenuta 3 giorni prima, dell’editore anarchico Andrea Salsedo.
Il comizio non si terrà mai più e per Sacco e Vanzetti comincia il lungo calvario che li consegnerà alla storia. Non così per Andrea Salsedo, la cui vicenda,forse ancor più emblematica, verrà presto dimenticata dall’opinione pubblica americana distolta, proprio dai tumultuosi sviluppi del caso Sacco-Vanzetti.
Andrea Salsedo nacque a Pantelleria, una cittadina eretta su un omonimo isolotto annesso alla provincia di Trapani (in Sicilia), il 21 settembre 1881. Sin da ragazzo si interessa di politica e già a tredici anni è vicino ai movimenti politici riformisti dell'isoletta siciliana.
La sua vita cambia con la frequentazione del Circolo Sociale fondato dall’anarchico Luigi Galleani, che all’epoca si trovava a Pantelleria in quanto confinato politico. Andrea Salsedo è uno dei più attivi militanti del Circolo, ubicato nella contrada Velcimursà (la casa dove sorgeva il circolo era stata donata al Galleani dalla famiglia Valenza), nel quale molti giovani del posto si ritrovano a discutere di politica, anarchia e radicalismo sociale.
Dopo aver frequentato le scuole tecniche, per qualche tempo Salsedo trova lavoro come scrivano nella locale pretura, dalla quale però viene licenziato non appena si scopre la sua militanza anarchica. L’11 novembre 1900 subisce un primo processo, senza conseguenze, per una lettera pubblicata sull’«Avvenire Sociale» di Messina. Durante le elezioni amministrative del 1902 si impegna attivamente nella campagna astensionista, affiggendo manifesti sui muri delle case di Pantelleria. Collabora inoltre con il periodico «La Falange» di Marsala-Mazara, fatto chiudere d’autorità dopo soli quattro numeri il 30 gennaio 1904.
Vissuto per un breve periodo a Tunisi, Andrea Salsedo emigra negli Stati Uniti d'America in cerca di fortune. Giunto a New York intorno al 1910, cerca e trova immediatamente il contatto con il movimento anarchico statunitense.
Nella "grande mela" si trova anche il suo amico Luigi Galleani, al quale l'anarchico siciliano darà una mano d'aiuto per la nascita di «Cronaca Sovversiva», una rivista anarchica indirizzata principalmente alla comunità italo-americana. Per la celebre rivista Salsedo scrive alcuni articoli, inoltre si impegna alacremente nel campo sindacale e in quello editoriale propagandistico.
La sua attività non passa inosservata alle autorità americane, il Dipartimento di Giustizia Americano include il suo nome in una lista di sovversivi anarchici fuggiti in Messico per evitare la chiamata alle armi. Oltre a lui, nella lista ci sono nomi altri conosciuti: Roberto Elia, Luigi Galleani, Bartolomeo Vanzetti, Nicola Sacco e molti altri.
A quell'epoca negli States si viveva un clima di fobia verso tutto ciò che era vagamente assimilabile al comunismo. Si temeva infatti il contagio della rivoluzione russa e si riteneva che il pericolo potesse giungere soprattutto dagli immigrati più politicizzati. Gli anarchici, pur non essendo bolscevichi, venivano perseguitati dalle autorità americane grazie a strumenti legislativi come la Anarchist Exclusion Act, che permetteva anche la deportazione degli immigrati anarchici verso il loro paese d'origine.
Subito Andrea si lancia nel calderone della lotta sindacale; lotta che in quel momento, vede il sindacato più radicale, gli “International World Workers” i cosiddetti “Wobblies”, porre sul tappeto anche il problema dei diritti politici degli “indesiderables” italiani. Oltre a collaborare con i suoi scritti alla rivista “Cronaca sovverviva” diretta da Galleani, Salsedo trova il tempo per diventare editore in proprio, pubblicando i testi degli autori anarchici preferiti. Nel 1919 dà corpo al suo sogno di sempre, fondando e pubblicando la rivista inarco-sindacalista “Il domani”; ma intanto in America si respira un clima di intolleranza contro gli stranieri soprattutto italiani. Sono i ruggenti ani ’20 americani. Il sindacato dei “Wobblies” viene sciolto, vengono chiuse decine di redazioni di giornali e circoli di opposizione.
Gli agenti dei servizi segreti seguono con attenzione tutti coloro che gravitano intorno a Luigi Galleani: Salsedo è uno di questi. Il 25 febbraio 1920, non appena rimesso piede in suolo americano, Andrea Salsedo e Roberto Elia vengono arrestati per essere interrogati riguardo ad alcuni opuscoli dal titolo Il Piano e le Parole.
L'anarchico pantesco è trattenuto forzatamente per otto settimane consecutive negli uffici dell'FBI al quattordicesimo piano del Park Row Building. Non gli viene permesso di telefonare alla famiglia, agli amici o ad un avvocato; secondo una testimonianza di un altro prigioniero viene ripetutamente interrogato e picchiato.
La notte del 2 maggio 1920, appena tre giorni prima dell'arresto di Sacco e Vanzetti, avviene la tragedia. Il corpo di Salsedo vola da una finestra del 14° piano di Park Row Building e si sfracella sul marciapiede sottostante. Suicidio, dichiara subito la polizia americana. Salsedo è stato “suicidato”, è la tesi che subito circola negli ambienti democratici. Tesi sostenuta da buona parte della stampa liberale e gridata in faccia ai giudici da Vanzetti nel corso del famoso processo.
Il caso sarà dall’FBI archiviato come suicidio ma appare certo che fu scaraventato a terra durante un interrogatorio. Il suo caso è tragicamente analogo a quello del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, morto innocente nei locali della questura di Milano nel 1969, dopo la strage di Stato di piazza Fontana).

In ricordo di Salsedo, nella commedia Morte accidentale di un anarchico, scritta da Dario Fo per denunciare l’omicidio di Stato dell’anarchico Giuseppe Pinelli, l’autore utilizza il nome di Salsedo per evitare rischi di censura.

giovedì 23 agosto 2012

Sacco e Vanzetti, morti innocenti 85 anni fa

Il boia abbassò l'interruttore alle ore 0,19 per Nicola Sacco. Sette minuti dopo per Bartolomeo Vanzetti. Nella prigione di Charlestown (Massachusetts) la sedia elettrica funzionò perfettamente e i due italiani (Sacco era nato nel foggiano, Vanzetti nel cuneese) furono giustiziati il 23 agosto 1927. Sono passati 85 anni e il ricordo di quella esecuzione di due innocenti, colpevoli solo di essere anarchici, è ancora viva. Sacco e Vanzetti sono diventati il simbolo della lotta alle ingiustizie, prima fra tutte la pena capitale. I due emigrati italiani erano accusati di aver preso parte ad una rapina uccidendo un cassiere e una guardia del calzaturificio "Slater and Morrill" a South Baintree, sobborgo di Boston. Nonostante le prove evidenti della loro innocenza e la confessione del detenuto portoricano Celestino Madeiros, che li scagionava.
Bartolomeo Vanzetti era nato nel 1888 a Villafalletto, in provincia di Cuneo. Figlio di un agricoltore, a vent'anni entra in contatto con le idee socialiste e, dopo la morte della madre Giovanna, decise di partire per il "Nuovomondo", a caccia di una vita migliore come tanti italiani all'alba del Novecento; è il 9 giugno 1908. Svolge moltissimi lavori in diverse città: bracciante, lavapiatti, manovale, operaio in una fabbrica di cordami, la Plymouth Cordage Company. Nel 1916 guidò uno sciopero contro la Plymouth e per questo motivo nessuno volle più dargli un lavoro. Riuscito a racimolare un po’ di soldi acquista un carretto da pescivendolo, mestiere con cui si guadagna da vivere a Plymouth. Anarchico convinto, è sicuramente più preparato culturalmente del suo amico Sacco. Conosciuto per la sua abilità oratoria, viene arrestato mentre stava raccogliendo materiale controinformativo sulla morte dell'anarchico Andrea Salsedo.
Nicola Sacco, più vecchio di Vanzetti di tre anni, nato il 27 aprile 1891 a Torremaggiore (Foggia), emigrato a 17 anni(12 aprile 1909) negli USA, lavora inizialmente come manovale e operaio di fonderia, prima di riuscire a farsi assumere in un calzaturificio come operaio specializzato. Sposatosi nel 1912 con Rosina Zambelli, figlia di un immigrato piemontese, ha due figli: Dante e Ines. Scoppiata la guerra mondiale si rifugia in Messico per sfuggire all'arruolamento obbligatorio, ma una volta ritornato negli USA inizia la militanza negli ambienti anarco-sindacalisti, organizzando e partecipando a molti scioperi che gli costano la schedatura come agitatore e anarchico.
Fu in quell'anno che "Nick" e "Bart", come vengono soprannominati oltreoceano,  si conobbero ed entrarono entrambi a far parte del gruppo anarchico italoamericano di Luigi Galleani. Tutto il collettivo fuggì in Messico per evitare la chiamata alle armi, non per vigliaccheria ma perché per un anarchico non c'è niente di peggiore che morire per uno Stato.
Tornano nel Massachusetts a settembre e iniziano a scrivere per "Cronaca sovversiva", giornale anarchico. Da allora, Nick e Bart diventano inseparabili. La lotta agli anarchici da parte della polizia è fortissima. Molti amici di Sacco e Vanzetti vengono arrestati e i due, che non sapevano di essere inclusi in una lista di sovversivi compilata dal Ministero di Giustizia, né di essere pedinate dagli agenti segreti USA, pensano anche di tornare in Italia per fuggire alla persecuzione. Nella stessa lista era incluso anche un amico di Vanzetti, il tipografo Andrea Salsedo. Questi, il 3 maggio 1920, venne assassinato dalla polizia in un modo che non può non ricordare la storia di Giuseppe Pinelli: venne buttato dal quattordicesimo piano di un edificio appartenente al Ministero di Giustizia. Sacco e Vanzetti organizzarono un comizio per far luce su questa vicenda, comizio che avrebbe dovuto avere luogo a Brockton il 9 maggio. Purtroppo gli eventi seguenti impedirono la realizzazione della manifestazione.
Il 5 maggio 1920, probabilmente grazie ad una "soffiata", vengono arrestati perché nei loro cappotti nascondevano volantini anarchici e alcune armi. Tre giorni d'interrogatori ed i due vennero accusati dal procuratore Gunn Katzamnn anche di una rapina avvenuta a South Baintree, un sobborgo di Boston, circa un mese prima del loro arresto (15 aprile 1920), in cui erano stati assassinati due uomini, il cassiere della ditta - il calzaturificio «Slater and Morrill» - e una guardia giurata. Vanzetti fu accusato anche della rapina ai danni di un furgone che trasportava le paghe degli operai di un calzaturificio, compiuta il 24 dicembre 1919 a Bridgewater.
Dopo tre processi pieni di errori e incongruenze, Sacco e Vanzetti vengono condannati a morte nel 1921. A nulla valse neppure la mobilitazione della stampa, la creazione di comitati per la liberazione degli innocenti e gli appelli più volte lanciati dall'Italia. I tre processi e le successive condanne a morte furono utilizzate in chiave politica, ovvero per dare un esempio a tutti i militanti della sinistra. Non c'era nessuna prova a loro carico, addirittura alcune testimonianze li scagionavano. Addirittura non si tenne conto della confessione del detenuto portoricano Celestino Madeiros, che ammise di aver preso parte alla rapina e di non aver mai visto Sacco e Vanzetti.
Alla base del verdetto di condanna - a parere di molti - vi furono da parte di polizia, procuratori distrettuali, giudice e giuria pregiudizi e una forte volontà di perseguire una "politica del terrore" suggerita dal ministro della giustizia Palmer e culminata nella vicenda delle deportazioni. Sotto questo aspetto, Sacco e Vanzetti venivano considerati due "agnelli sacrificali" utili per testare la nuova linea di condotta contro gli avversari del governo. Erano infatti immigrati italiani con una comprensione imperfetta della lingua inglese (migliore in Vanzetti, che terrà un famoso discorso, in occasione della lettura del verdetto di condanna a morte); erano inoltre note le loro idee politiche radicali. Il giudice Webster Thayer li definì senza mezze parole due anarchici bastardi. Si trattava di un periodo della storia americana caratterizzato da una intensa paura degli anarchici (vedi Anarchist Exclusion Act) e soprattutto dei comunisti, la paura rossa del 1917 - 1920. Né Sacco né Vanzetti avevano avuto precedenti con la giustizia, né si consideravano comunisti, ma erano conosciuti dalle autorità locali come militanti radicali che erano stati coinvolti in scioperi, agitazioni politiche e propaganda contro la guerra.
Contro l'esecuzione di Sacco e Vanzetti si mobilitarono non solo gli italiani d'America, ma anche intellettuali in tutto il mondo, tra i quali Bertrand Russel, George Bernard Shaw e John Dos Passos.
Sacco e Vanzetti si ritenevano vittime del pregiudizio sociale e politico. Vanzetti, in particolare, ebbe a dire rivolgendosi per l'ultima volta al giudice Thayer:
«Io non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra; io non augurerei a nessuna di queste ciò che io ho dovuto soffrire per cose di cui io non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui io sono colpevole. Io sto soffrendo perché io sono un radicale, e davvero io sono un radicale; io ho sofferto perché ero un Italiano, e davvero io sono un Italiano» [...] (dal discorso di Vanzetti del 19 aprile 1927, a Dedham, Massachusetts)
Ed è proprio in questo senso che oggi molti anarchici sostengono che i loro compagni ingiustamente incarcerati o uccisi non sono affatto innocenti; sono invece perseguitati perché sono ciò che sono, e dal punto di vista del potere, sostengono, non vi è alcun errore di giudizio. «Quando le sue ossa, signor Thayer, non saranno che polvere, e i vostri nomi, le vostre istituzioni, non saranno che il ricordo di un passato maledetto, il suo nome - il nome di Nicola Sacco - sarà ancora vivo nel cuore della gente. Noi dobbiamo ringraziarvi. Senza di voi saremmo morti come due poveri sfruttati: un buon calzolaio, un bravo pescivendolo......E mai, in tutta la nostra vita, avremmo potuto sperare di fare tanto in favore della tolleranza, della giustizia la mutua comprensione fra gli uomini». Così Bartolomeo Vanzetti si rivolse alla giuria che lo condannò alla pena di morte. La stessa frase sarà detta da Gian Maria Volontà in uno dei momenti più toccanti del film "Sacco e Vanzetti" di Giuliano Montalto del 1971. Una pellicola divenuta presto un cult grazie anche alla colonna sonora di Ennio Morricone, interpretata da Joan Baez, autrice dei testi. «Voi restate nella nostra memoria con la vostra agonia che diventa vittoria»: sono le parole di "Here's to you" che, insieme alla "Ballata per Sacco e Vanzetti", è entrata nel repertorio internazionale della canzone d'autore sollevando le coscienze negli Usa su un caso da molti dimenticato.
All'inizio Sacco e Vanzetti furono difesi dalla comunità italiana (un ruolo importante lo ebbe anche il giornale anarchico «L'Adunata dei Refrattari» e il comitato in loro difesa, promosso negli USA da Aldino Felicani)), una delle più sfruttate e oppresse in quel periodo negli USA, poi soprattutto dai marxisti e dal movimento anarchico internazionale: «Le Libertaire», è il primo giornale francese a parlarne, a cui presto si aggiungerà Soccorso rosso internazionale e l'Internazionale comunista. Tutti insieme riuscirono a smuovere le coscienze di molti intellettuali, addirittura l'ateo anarchico francese Louis Lecoin non esitò a chiedere al papa di intervenire.
I comunisti americani fecero sentire la propria voce di protesta solo nel 1927 con l'intenzione di trarne un vantaggio politico. In molti paesi del mondo sorsero comitati in difesa di Sacco e Vanzetti e ovunque ci furono manifestazioni. A molte ambasciate americane furono inviati pacchi bomba come segno estremo di protesta, ma fu tutto inutile. Secondo recenti "scoperte", parrebbe che anche Mussolini si sia mosso in difesa dei due anarchici italiani.
Quando il verdetto di morte fu reso noto, si tenne una manifestazione davanti al palazzo del governo, a Boston. La manifestazione durò ben dieci giorni, fino alla data dell'esecuzione (Charlestown, 23 agosto 1927). Il corteo attraversò il fiume e le strade sterrate fino alla prigione di Charlestown. La polizia e la guardia nazionale li attendevano dinanzi al carcere e sopra le sue mura vi erano mitragliatrici puntate verso i manifestanti.
Dopo la morte dei due anarchici, due catafalchi furono eretti nella camera ardente. Kenneth Whistler vi si recò e spiegò sui catafalchi un enorme striscione, sul quale era scritta una frase pronunciata dal giudice Thayer, rivolta a un amico, pochi giorni dopo aver pronunciato la sentenza: «Hai visto che cosa ho fatto a quei due bastardi anarchici, l’altro giorno?».
Il loro caso non solo smosse le coscienze degli uomini dell'epoca, ma come un fantasma continuò ad agitare l'America per decenni. Finché nel 1977, cinquant'anni dopo la loro morte, il governatore del Massachusetts Michael Dukakis (riparando parzialmente all'errore del suo predecessore Fuller, che nonostante gli appelli non fermo il boia) riconobbe in un documento ufficiale gli errori commessi nel processo e riabilitò completamente la memoria di Sacco e Vanzetti, dicendo:
«Io dichiaro che ogni stigma ed ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.»

Lettera di Sacco al figlio Dante

«Mio carissimo figlio e compagno,

sin dal giorno che ti vidi per l'ultima volta ho sempre avuto idea di scriverti questa lettera: ma la durata del mio digiuno e il pensiero di non potermi esprimere come era mio desiderio, mi hanno fatto attendere fino ad oggi. Non avrei mai pensato che il nostro inseparabile amore potesse così tragicamente finire!
Ma questi sette anni di dolore mi dicono che ciò è stato reso possibile. Però questa nostra separazione forzata non ha cambiato di un atomo il nostro affetto che rimane più saldo e più vivo che mai. Anzi, se ciò è possibile, si è ingigantito ancor più. Molto abbiamo sofferto durante il nostro lungo calvario.
Noi protestiamo oggi, come protestammo ieri e protesteremo sempre per la nostra libertà. Se cessai il mio sciopero della fame, lo feci perché in me non era rimasta ormai alcuna ombra di vita ed io scelsi quella forma di protesta per reclamare la vita e non la morte, il mio sacrificio era animato dal desiderio vivissimo che vi era in me, per ritornare a stringere tra le mie braccia la tua piccola cara sorellina Ines, tua madre, te e tutti i miei cari amici e compagni di vita, non di morte. Perciò, figlio, la vita di oggi torna calma e tranquilla a rianimare il mio povero corpo, se pure lo spirito rimane senza orizzonte e sempre sperduto tra tetre, nere visioni di morte. Ricordati anche di ciò figlio mio. Non dimenticarti giammai, Dante, ogni qualvolta nella vita sarai felice, di non essere egoista: dividi sempre le tue gioie con quelli più infelici, più poveri e più deboli di te e non essere mai sordo verso coloro che domandano soccorso. Aiuta i perseguitati e le vittime perchè essi saranno i tuoi migliori amici, essi sono i compagni che lottano e cadono, come tuo padre e Bartolomeo lottarono e oggi cadono per aver reclamati felicità e libertà per tutte le povere cenciose folle del lavoro. In questa lotta per la vita tu troverai gioia e soddisfazione e sarai amato dai tuoi simili. Continuamente pensavo a te, Dante mio, nei tristi giorni trascorsi nella cella di morte, il canto, le tenere voci dei bimbi che giungevano fino a me dal vicino giardino di giuoco ove vi era la vita e la gioia spensierata - a soli pochi passi di distanza dalle mura che serrano in una atroce agonia tre anime in pena! Tutto ciò mi faceva pensare a te e ad Ines insistentemente, e vi desideravo tanto, oh, tanto, figli miei! Ma poi pensai che fu meglio che tu non fossi venuto a vedermi in quei giorni, perché nella cella di morte ti saresti trovato al cospetto del quadro spaventoso di tre uomini in agonia, in attesa di essere uccisi, e tale tragica visione non so quale effetto avrebbe potuto produrre nella tua mente, e quale influenza avrebbe potuto avere nel futuro. D'altra parte, se tu non fossi un ragazzo troppo sensibile una tale visione avrebbe potuto esserti utile in un futuro domani, quando tu avresti potuto ricordarla per dire al mondo tutta la vergogna di questo secolo che è racchiusa in questa crudele forma di persecuzione e di morte infame. Si, Dante mio, essi potranno ben crocifiggere i nostri corpi come già fanno da sette anni: ma essi non potranno mai distruggere le nostre Idee che rimarranno ancora più belle per le future generazioni a venire. Dante, per una volta ancora ti esorto ad essere buono ed amare con tutto il tuo affetto tua madre in questi tristi giorni: ed io sono sicuro che con tutte le tue cure e tutto il tuo affetto ella si sentirà meno infelice. E non dimenticare di conservare un poco del tuo amore per me, figlio, perchè io ti amo tanto, tanto... I migliori miei fraterni saluti per tutti i buoni amici e compagni, baci affettuosi per la piccola Ines e per la mamma, e a te un abbraccio di cuore dal tuo padre e compagno.
Nicola Sacco»





Here's To You


Here's to you Nicola and Bart
Rest forever here in our hearts
The last and final moment is yours
That agony is your triumph!
Vi Rendo Omaggio

Vi rendo omaggio Nicola e Bart
Per sempre restino qui nei nostri cuori
Il vostro estremo e finale momento
Quell'agonia è il vostro trionfo!


Ribellione SI, Violenza No!

Tempo fa strumenti dello Stato sono stati fatti attacco di barbari ed infami atti di ingiustificata e vigliacca violenza.
Le rivendicazioni sono di matrice anarchica. Così ci dicono i media e così qualcuno "rivendica". Può essere che qualche infame si nasconda dietro un pensiero utopistico che tutto è, tranne che violento. Non mi sorprendo! Non ho mai nascosto il mio interesse per un mondo senza bandiere e confini e mi è naturale condividere il comune sentimento di uguaglianza tra le persone. Sono anarchico? E che ne so!... giusto ieri mi è tornata tra le mani una vecchia e bella pubblicazione "Non piangete la mia morte" che rimanda alla dichiarazione finale di innocenza di Bartolomeno Vanzetti. Un langhetto vero, ribelle ma generoso nel lavoro; duro ma giusto. Uomo vero e anarchico convinto.
Leggete questa dichiarazione, poetica, dolce - ma non rassegnata -, d'innocenza di un uomo che sta per essere condannato a morte e ancora sogna che i suoi valori e principi nei quali crede - e nel nome dei quali troverà la morte - possano essere estesi alle stesse persone che lo stanno per uccidere.
...
"Bartolomeo Vanzetti, avete qualcosa da dire perché la sentenza di morte non sia pronunciata contro di voi?”
“Sì. Quel che ho da dire è che sono innocente, non soltanto del delitto di Braintree, ma anche di quello di Bridgewater. Che non soltanto sono innocente di questi due delitti, ma che in tutta la mia vita non ho mai rubato né ucciso né versato una goccia di sangue. Questo è ciò che voglio dire. E non è tutto. Non soltanto sono innocente di questi due delitti, non soltanto in tutta la mia vita non ho rubato né ucciso né versato una goccia di sangue, ma ho combattuto anzi tutta la vita, da quando ho avuto l'età della ragione, per eliminare il delitto dalla terra.
Queste due braccia sanno molto bene che non avevo bisogno di andare in mezzo alla strada a uccidere un uomo, per avere del denaro. Sono in grado di vivere, con le mie due braccia, e di vivere bene. Anzi, potrei vivere anche senza lavorare, senza mettere il mio braccio al servizio degli altri. Ho avuto molte possibilità di rendermi indipendente e di vivere una vita che di solito si pensa sia migliore che non guadagnarsi il pane col sudore della fronte.
Mio padre in Italia è in buone condizioni economiche. Potevo tornare in Italia ed egli mi avrebbe sempre accolto con gioia, a braccia aperte. Anche se fossi tornato senza un centesimo in tasca, mio padre avrebbe potuto occuparmi nella sua proprietà, non a faticare ma a commerciare, o a sovraintendere alla terra che possiede. Egli mi ha scritto molte lettere in questo senso, e altre me ne hanno scritte i parenti, lettere che sono in grado di produrre. […] Vorrei giungere perciò a un'altra conclusione, ed è questa: non soltanto non è stata provata la mia partecipazione alla rapina di Bridgewater, non soltanto non è stata provata la mia partecipazione alla rapina e agli omicidi di Braintree né è stato provato che io abbia mai rubato né ucciso né versato una goccia di sangue in tutta la mia vita; non soltanto ho lottato strenuamente contro ogni delitto, ma ho rifiutato io stesso i beni e le glorie della vita, i vantaggi di una buona posizione, perché considero ingiusto lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Ho rifiutato di mettermi negli affari perché comprendo che essi sono una speculazione ai danni degli altri: non credo che questo sia giusto e perciò mi rifiuto di farlo.
Vorrei dire, dunque, che non soltanto sono innocente di tutte le accuse che mi sono state mosse, non soltanto non ho mai commesso un delitto nella mia vita - degli errori forse, ma non dei delitti - non soltanto ho combattuto tutta la vita per eliminare i delitti, i crimini che la legge ufficiale e la morale ufficiale condannano, ma anche il delitto che la morale ufficiale e la legge ufficiale ammettono e santificano: lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. E se c'è una ragione per cui io sono qui imputato, se c'è una ragione per cui potete condannarmi in pochi minuti, ebbene, la ragione è questa e nessun'altra. […] È possibile che soltanto alcuni membri della giuria, soltanto due o tre uomini che condannerebbero la loro madre, se facesse comodo ai loro egoistici interessi o alla fortuna del loro mondo; è possibile che abbiano il diritto di emettere una condanna che il mondo, tutto il mondo, giudica una ingiustizia, una condanna che io so essere una ingiustizia? Se c'è qualcuno che può sapere se essa è giusta o ingiusta, siamo io e Nicola Sacco. Lei ci vede, giudice Thayer: sono sette anni che siamo chiusi in carcere. Ciò che abbiamo sofferto, in questi sette anni, nessuna lingua umana può dirlo, eppure - lei lo vede - davanti a lei non tremo - lei lo vede - la guardo dritto negli occhi, non arrossisco, non cambio colore, non mi vergogno e non ho paura. […] Questo è ciò che volevo dire. Non augurerei a un cane o a un serpente, alla più miserevole e sfortunata creatura della terra, ciò che ho avuto a soffrire per colpe che non ho commesso. Ma la mia convinzione è un'altra: che ho sofferto per colpe che ho effettivamente commesso. Sto soffrendo perché sono un radicale, e in effetti io sono un radicale; ho sofferto perché sono un italiano, e in effetti io sono un italiano; ho sofferto di più per la mia famiglia e per i miei cari che per me stesso; ma sono tanto convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e per due volte io potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente ciò che ho fatto finora.
Ho finito. Grazie.”

mercoledì 22 agosto 2012

Il pensiero anarchico di Luigi Galleani

    - L’IDEALE ANARCHICO
L’anarchia è la negazione assoluta dell’autorità. L’anarchia è la consacrazione dell’autonomia dell’individuo nella libertà dell’associazione, regime politico che si differenzia egualmente dal regime borghese che è dominazione della minoranza sulla maggioranza, quanto dal regime socialista che è dominazione della maggioranza sulla minoranza. Gli anarchici pensano che la libertà individuale non debba subire restrizioni né da maggioranze, né da minoranze, né tampoco da individui isolati. L’anarchia non è un’astrazione metafisica, l’ideale anarchico non è balzato vivo, pieno, perfetto dal cervello di Babeuf o di Proudhon o di Bakunin. È germogliato, cresciuto, maturato lentamente e dolorosamente dalla esperienza dei secoli durante i quali le plebi hanno chiesto di volta in volta a dio, allo Stato, alla legge, al suffragio universale il buon padrone, il buon governo, il buon giudice, un po’ di pane un po’ di pietà, un po’ di tregua, un poco di luce e di amore e sempre invano. Nella società anarchica l’individuo libero nell’associazione libera provvederebbe direttamente da sé alla gestione dei propri interessi. Per supporre un governo, sia pure un semplice governo di amministrazione, bisogna consentire implicitamente che tutti gli interessi di un popolo siano concentrati in mano di pochi; che un piccolo numero di persone faccia per tutta la nazione, che in luogo di lasciare libertà all’individuo di pensare, lo si obblighi a sottomettersi alla volontà di quelli che pensano per tutto un popolo.

    - ANARCHISMO
Che cos’è l’anarchismo per definizione? È la lotta per uno stato di società in cui il solo vincolo tra i singoli sia la solidarietà; solidarietà di interessi, in fondo, di interessi materiali e morali che ha per risultato di eliminare fra gli individui e le genti umane le basse competizioni del vivere quotidiano. L’anarchismo è la dottrina politica che vagheggia uno stato sociale in cui (comuni i mezzi di produzione, di trasformazione e di scambio) ciascuno trovi la piena soddisfazione dei propri bisogni materiali e morali; dia spontaneamente secondo le proprie forze ed attitudini il suo contributo alla produzione. Nella solidarietà universale degli interessi umani, e nella libera intesa degli interessati, individui od associazioni, sono le garanzie dell’autonomia dell’individuo nella società libera, onde, ripudiate ogni forma di coercizione, di autorità, di sfruttamento, è caratterizzato il regime sociale, che si chiama per questo, appunto, Anarchia. L’anarchismo ripudia ogni forma autoritaria e disciplinata di organizzazione, contrappone al principio della rappresentazione l’AZIONE DIRETTA ed indipendente degli individui, delle masse, all’azione legislativa e parlamentare, la rivolta, l’insurrezione, lo sciopero generale, la rivoluzione sociale.

Il ritorno di Pinocchio di Silvano Agosti

“Il ritorno di Pinocchio" ci racconta la storia di una bambina che nel cuore della notte è svegliata da un coetaneo che a quell’ora insolita la chiama alla finestra dalla strada sottostante. Chi è quella sagoma scura che la cerca chiedendole aiuto? La bambina sulle prime reticente decide di aprire la finestra e di ascoltare quello che il giovane, che dice di essere Pinocchio, ha da raccontarle. e Inizierà in questo frangente la simpatica avventura di un incontro speciale nato per caso... o non è stato il caso a farli incontrare? Durante quella stessa notte, i due bambini saranno protagonisti di una serie di vicissitudini nella quale la piccola, sarà guidata dal nuovo amico più avvezzo alla vita di strada alla scoperta di quello che le riserverà il mondo al di fuori dalle mura della propria casa e dal mondo ovattato che fino a quel momento l’ha protetta. Un romanzo dall’approccio semplice che svela in realtà significati più reconditi come la scoperta del mondo vista dagli occhi di un bambino. Un viaggio non solo raccontato ma guidato grazie alle illustrazioni che campeggiano tra le pagine. La casa editrice Salani, sensibile sui temi che rivelano grande emotività, ci regala ancora una volta una delicata storia di incontri e sentimenti in un mondo che troppo spesso si dimentica delle cose semplici. Una favola moderna per bambini di tutte le età. 123 pagine che racchiudono significati preziosi da custodire. Un sogno dal quale non ci si vorrebbe mai svegliare.

Francesco detto Franck è uno dei volti del film D'AMORE SI VIVE di Silvano Agosti. A lui è ispirato il romanzo IL RITORNO DI PINOCCHIO

Un vero amico della libertà

Un vero amico della libertà deve essere nemico di ogni potere, di ogni autorità, di ogni comando, di ogni sfruttamento, di ogni elevazione di uomo al di sopra di altri uomini.
Deve essere nemico di ogni legge imposta dall'alto, di ogni ordine prestabilito.
Deve cercare altri amici e combattere altri nemici della libertà. Deve collettivizzare, mettere in rete, socializzare.
Deve essere un libertario.

Karl Kaphyer

martedì 21 agosto 2012

Il Sistema non è riformabile. Va sabotato.

L'Articolo 21 della Costituzione della Repubblica Italiana, quella che Bersani ama definire "la più bella Costituzione del mondo", salvo poi dimenticarsela puntualmente quando si tratta di votare leggi contro i lavoratori, i pensionati, le donne, gli omosessuali, ecc..., recita così:

"Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni."

Pertanto mi appello all'articolo 21 per dire quanto segue:
Dopo le condanne per reati di devastazione e saccheggio inflitte a ragazzi che erano a Genova durante il G8 del 2001, e confrontando le stesse con le tenui condanne inflitte ai dirigenti di polizia che causarono "la più grande sospensioni delle libertà democratiche in un paese occidentale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale" (cfr Amnesty International), posso senz'altro affermare che lo stato di diritto, in Italia, non esiste più. Non c'è equità tra le pene inflitte, né criterio di proporzionalità. Erano anni, anzi decenni, che questa situazione si protraeva: questa è l'ennesima, ultima goccia che fa traboccare il vaso. Genova è stata, la dimostrazione della violenza e del fascismo liberale e liberista del Sistema. Dopo undici anni posso affermare senza timor di smentita che non c'è stata giustizia.
Il Sistema ha vinto. Così come nel 1925 il Fascismo vinse definitivamente la sua battaglia sul piano istituzionale, e fu necessario organizzare la resistenza sul piano extraistituzionale.
Pertanto ritengo sia necessario lottare con ogni mezzo contro questo Sistema oppressivo, che ormai ha raggiunto dimensioni planetarie. Che ognuno organizzi la lotta come meglio crede: con la parola (come fa questo blog) o con altri mezzi. Socializzi, collettivizzi, costruisca reti di relazioni e di lotta. Quando un Sistema opprime i cittadini è sempre una dittatura. Esistono le dittature nazifasciste, le dittature staliniste, e le dittature liberali, che si autodefiniscono democratiche eppure violentano la democrazia a proprio uso e consumo.
Ognuno contrasti il Sistema, in ogni luogo e con ogni metodo. Ognuno operi per il sabotaggio sistematico di ogni ganglio del Sistema. Anche non mettere alcuna croce su un simbolo elettorale può essere un canale di espressione e di ribellione al Sistema. L'importante è non credere MAI che sia sufficiente l'espressione di un voto per essere e sentirsi liberi. Chiunque creda che la lotta politica si possa esplicare SOLO tramite gli strumenti che il Sistema mette a disposizione (elezioni, raccolta firme, referendum) è un folle utopista. Allo stesso modo: chiunque creda che l'unica soluzione sia imbracciare un fucile o lanciare una bomba, è un velleitario utopista. Ed io, di questi cazzo di utopisti, ne ho piene le palle.
E adesso, arrestateci tutti.

Crisi: chi continua a far soldi e chi tira la cinghia. Tutti sulla stessa barca?

Ogni volta che andiamo al mercato abbiamo sempre meno soldi e la frutta, la verdura, i vestiti, le scarpe, insomma, tutto quel che ci serve per vivere, è sempre più caro. La retta dell’asilo, della mensa, le medicine, i pannolini. Abbiamo finito a fatica di pagare il riscaldamento dello scorso inverno o forse abbiamo lasciato un debito con il condominio; tutti i mesi è dura pagare l’affitto o il mutuo con regolarità; passata questa estate, a settembre arriverà la “solita” mazzata dei libri scolastici. Già, l’estate. Chi ancora riesce ad andare via qualche giorno lo fa contando anche i centesimi che spende, per le spese di viaggio e la vacanza di tutta la famiglia, è quasi un lusso. Ogni giorno chiude un’altra fabbrica, un altro ufficio, un altro negozio, migliaia e migliaia di operai in cassa integrazione.
E a noi vengono a dire che c’è la crisi, che bisogna far sacrifici per salvare “il bilancio dello Stato”! davvero questi signori pensano che siamo cretini. Provano a rincoglionirci dal mattino alla sera con la televisione: ma ormai qui siamo “alla frutta”. I soldi, quelli veri, ai ricchi non vengono mai chiesti, a pagare siamo sempre noi con i nostri stipendi o le nostre pensioni. Ci hanno riempito la testa che si doveva lavorare per il “bene comune”, che il padrone e l’operaio, il ricco e il povero, stanno tutti nella stessa barca e che quindi ci si doveva dare una mano e non cercare grane. Già, qualcuno sempre ai remi e qualcun altro sempre al timone. Adesso che chi sta al timone la banca l’ha portato quasi a naufragare contro gli scogli, tutti a pretendere che siano i rematori a pagare la crisi, perché i padroni hanno già i loro grattacapi a mantenere “competitive” le aziende e quindi loro non sborsano niente. Anzi.
E allora bassi salari, meno o nessun diritto, non aumento di stipendio ma aumento dell’orario di lavoro (in ferrovia col nuovo contratto si è passati da 36 a 38 ore settimanali, col consenso dei sindacati e con un loro falso referendum proposto ai lavoratori fatto nel periodo delle ferie estive, quando meno gente è presente sul posto di lavoro), chinare la testa e avanti così. Insomma, i rematori devono pagarla loro la crisi, continuando a faticare senza protestare. E tra i rematori c’è qualcuno, dalla pelle più scura degli altri, che deve pagare doppio. Lavoratore come gli altri lavoratori quando si tratta di essere sfruttato, lo straniero che perde il lavoro perde anche il permesso di soggiorno, rischia, prima di essere espulso a forza, di essere sbattuto in quei lager chiamati CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) come quello di Corso Brunelleschi a Torino. I padroni ed i loro cani da guardia, fascisti e leghisti, fanno di tutto perché i rematori/lavoratori italiani si incazzino con i rematori/lavoratori stranieri per come vanno le cose, anziché con i padroni/timonieri che pensano solo ai lori profitti. E così finisce che, facendosi la guerra tra poveri, si finisce con lo stare tutti peggio e i padroni ci sguazzano da anni. Con tanti lavoratori stranieri obbligati dalle leggi razziste a chinare la testa, diventa più facile ricattare anche tutti gli altri.
Così capita anche a Pomiglliano i lavoratori sono obbligati a guadagnare meno e lavorare di più, con la benedizione di buana parte dei sindacati ormai a libro paga del governo. Il padrone dice “o lavori come dico io, o ti chiudo la fabbrica” e i più cedono al ricatto, perché si è persa la consapevolezza che i lavoratori uniti, possono fare male al padrone, molto male. Basterebbe che tanti aprissero bene gli occhi per vedere che non è certo colpa degli immigrati se il lavoro non c’è, è mal pagato, la vita è sempre più cara, se anziché asili si costruiscono TAV, se viene finanziata la guerra in Afganistan. E su queste cose sono tutti d’accordo, Berlusconi, Bersani e Monti, Cota, Bresso e Fassino: guerra, devastazione ambientale e colate di cemento, lavoro per le aziende di “amici degli amici”. Il nemico, quello vero, marcia alla nostra tesa, siede sui banchi del governo, nei consigli di amministrazione di banche e aziende.
Gettiamo in mare questa zavorra inutile che impedisce a tutti noi di vivere meglio, fatta di padroni e politici di professione o improvvisati, di fascisti e leghisti che seminano odio al soldo dei padroni, questi “capitani di industria” a cui non frega niente di chi sfruttano tutti i giorni. “Prendiamoci la barca”, spezziamo le catene che ci tengono ai remi, riprendiamoci la libertà, la vita e facciamola finita con chi dice di abbassare sempre la testa. Alziamola, invece, la testa e iniziamo a lottare per un mondo di liberi ed uguali.

Rivoluzione o ribellione?

Che differenza c’è tra la rivoluzione e la ribellione, tra il rivoluzionario e il ribelle?
Rivoluzionario e ribelle sono due immagini che possono sembrare uguali, ma sostanzialmente sono differenti. Il rivoluzionario è un'idealista. È qualcuno che vuol cambiare l'ordine delle cose per arrivare al suo ideale. Il ribelle reagisce a uno stato di cose che non può tollerare, la ribellione non sembra avere un obiettivo mirato, come nella rivoluzione.
Il rivoluzionario potrà essere contro un certo tipo di società, ma sarà sempre a favore di un altro tipo di società. Potrà essere contro una cultura, ma è subito disponibile per un’altra.
Il ribelle abbandona semplicemente il passato e non si lascia dominare dal passato. È sempre in un continuo cammino. Risponderà a ogni situazione in accordo con la sua consapevolezza presente.
Ogni rivoluzionario ha dato il meglio di se all’inizio, quando ha fatto da scopa: cioè quando ha spazzato via il vecchio, quando ha potato i rami secchi. Ma il taglio col passato che avrebbe dovuto esserci non c’è stato. Si è insediata al potere una nuova casta. La politica, che all’inizio della rivoluzione sembrava una cosa tutta da inventare, cioè affidare all’immaginazione, è ridiventata il compito di pochi pedanti autorizzati. I quali si sono affrettati a rispolverare il vecchio principio che la politica è l’arte del possibile o addirittura che la politica è l’arte di acquistare il potere, di mantenerlo e di estenderlo: perché a nessuno passasse per la mente che potesse essere qualcosa di diverso. I sogni di un rinnovamento, di un cambiamento, di una trasformazione sono stati messi in soffitta come utopie inservibili.
Di conseguenza, rivoluzione è abbattere un potere per sostituirlo con un altro.
Tutte le rivoluzioni conosciute hanno avuto quest’esito. In Russia nel 1917, tolto di mezzo lo Zar, il suo posto è stato preso dai soviet con Lenin; in Francia nel 1789 caduta la testa del Re, la borghesia con i suoi rappresentanti è andata al potere; a Cuba la dittatura di Fulgencio Batista è stata sostituita con la dittatura di Castro; così pure in Cina.
Cambiano i colori degli stendardi, cambiano i colori delle istituzioni, ma all’atto pratico non cambia niente. Chi prende il potere dopo una rivoluzione, per governare utilizza gli stessi strumenti, gli stesi metodi di chi è stato deposto, e a volte utilizza anche le stesse persone dell’ingranaggio che nel frattempo, visto che le cose stavano per cambiare, non ci hanno pensato su due volte a cambiare bandiera per mantenere i vecchi privilegi.
Al popolo che in effetti ha fatto la vera rivoluzione esponendosi nei combattimenti in prima linea, morendo nelle barricate con l’illusione di un reale cambiamento, gli si dice innanzitutto di deporre le armi che tanto ormai non ce n'è più bisogno (ma il motivo reale è che così il popolo non può utilizzarle contro i nuovi oppressori) e poi lo si convince che tutto quello che si sta facendo (nuove repressioni, eliminazione di dissidenti, di oppositori, di quelli che hanno fatto la rivoluzione con ideali di libertà e di uguaglianza), lo si fa in nome della rivoluzione.
Quindi chi si elegge a capo della rivoluzione col passar del tempo occupa gli stessi posti e con gli stessi mezzi di chi è stato deposto, ed in questo Gorge Orwell ci da un soddisfacente esempio nella «Fattoria degli animali», dove i maiali (non poteva scegliere animali migliori) che hanno guidato la rivoluzione contro gli esseri umani, alla fine ne prendono il posto assumendo gli stessi atteggiamenti dell’uomo, camminando perfino su due zampe e vestendosi come l’uomo, ed i motto rivoluzionario “tutti gli animali sono uguali” viene cambiato in “tutti gli animali sono uguali ma alcuni animali sono più uguali degli altri”.
Tutte le rivoluzioni, quindi, iniziate con uno spirito popolare di cambiamento, di democrazia, di libertà e di uguaglianza, sono state tradite, e lo saranno le ultime avvenute nel Nord Africa. Che Guevara questo lo aveva capito e da vero combattente delle cause del popolo, da vero rivoluzionario, dopo un po’ di tempo dalla fine della rivoluzione cubana, ha capito che il suo posto non era nelle stanze del potere, ma tra la gente andando in giro per il mondo accendendo focolai di rivolta.
I rivoluzionari si caricano di un potere che tolgono all'oggetto contro cui combattono. E di quel potere ne fanno un pessimo uso. Il risultato è peggiore di ciò che volevano migliorare. Una rivoluzione non si fa da soli, occorre raccogliere la rabbia di tanti e tanti.
Mentre il ribelle, necessariamente è da solo. Fa un cammino, paga sulla propria pelle, impara dalla propria vita. Non ha condottieri né seguaci, da solo combatte per cambiare quel che ritiene sbagliato. Si basa sulle proprie forze non ruba nulla agli altri, guadagna e perde con il proprio impegno.
Ribellione è combattere qualsiasi sistema senza sostituirlo con un altro, che rischia di essere uguale al primo se non peggiore; ribellione è opporsi contro chiunque comandi/governi/regni per la conquista dei propri diritti, della libertà, dell’uguaglianza sociale. La ribellione è spontanea, è popolare, senza capi, senza influenze interne od esterne. Il nemico del ribelle è il potere, di qualunque colore politico; il ribelle si oppone anche al potere ottenuto mediante una rivoluzione, perché chiunque detiene un potere diventa automaticamente padrone della vita degli altri.
La ribellione si può fare anche senza armi convenzionali, ma con armi sofisticate come il boicottaggio, la protesta di piazza, la fantasia, l’informazione, l’allegria, l’ironia … “l’ironia abbatterà il potere e una risata lo seppellirà”  recitava uno slogan del movimento studentesco nel 1977, slogan ancora attuale, a Berlusconi ha fatto più male Daniele Luttazzi che tutti i magistrati messi insieme, la legge può essere modificata a proprio favore (e il Berluska lo ha dimostrato), l’ironia non puoi eliminarla.
La rivoluzione puoi controllarla, la ribellione no; la ribellione è come un vulcano, apparentemente tranquillo ma nelle sue viscere comincia ad accumulare magma (leggi malessere), gas (leggi incazzatura), accumula, accumula fino a quando non può più trattenere, ed ecco che esplode e inizia l’eruzione con conseguenze inevitabili. Non puoi controllare un vulcano in eruzione, non sai quando inizia, puoi solo vederne e subirne le conseguenze.
Il mondo potrà essere salvato solo dai ribelli. Quando avranno raggiunto, ciascuno da se stesso, la massa critica allora il mondo avrà girato l'angolo di una nuova era.
I capi non temono tanto le rivoluzioni quanto i ribelli. Le rivoluzioni vengono sedate, i poteri si alternano, ma i ribelli trasformano il mondo e nessuno può fermarli per il semplice fatto che sono indipendenti da qualsiasi potere esteriore.
Puoi facilmente abbattere un elefante ma più difficile un stormo di uccelli.
Per questo io sono convinto che è il singolo che può salvare il pianeta Terra e le creature che ospita.
Se io mi ribello allo spot pubblicitario dell'acqua minerale e bevo acqua di rubinetto, chi può fermarmi?
Se io smetto di comprare la frutta che viene dall'altro capo del mondo, qualcuno può impedirmelo?
Se un milione di cittadini non ascolta più i "consigli" del Papa come potrà imporsi il Papa? Lo ha fatto quando aveva interi eserciti agguerriti ma ha dovuto distruggere tutti in massa, vedi i Catari, senza alcuna discriminazione.
I ribelli rischiano, a volte, la loro vita come i rivoluzionari ma non si può fare alcun paragone. Anche perchè il ribelle difficilmente usa la forza della violenza verso gli altri per far valere le proprie idee.
Per questi motivi RIBELLARSI È GIUSTO!!!