Non esistono governi buoni:
“...e come sarà mai possibile che il destino di
un Popolo stia in buone mani, quando la scelta de' ministri si farà da una corte
o mediatamente o immediatamente! Sarà un prodigio o un mero azzardo se verrà scelto
un uomo dabbene”. (Si è mai realizzato il prodigio? Quante altre ere storiche
sareste disposti ad aspettare prima di veder compiuto questo prodigio, se mai si
compirà? O lasciate che sia il caso a decidere per voi?)
Verri ragiona sulle varie possibilità di governo,
anche quello eletto dal popolo, non esclude nulla, e dopo aver preso in considerazione
persino l'utopia di un governo presieduto da un animo buono, dice:
“ma gli uomini anche buoni talvolta cessano di
essere tali, e il maggior pericolo di prevaricare è appunto quando sono rivestiti
di un pubblico potere”. (Non circola forse quel proverbio che dice “l'occasione
fa l'uomo ladro?”)
La cosa su cui insiste il Verri, in più punti del testo
e persino nel titolo, è anche il fatto che su questi argomenti egli non abbia studiato
alcun libro, come a dire che anche gli ignoranti sono capaci di decodificare questi
concetti:
“Queste sono le idee che non ho cavate dai libri
ma nella solitudine, ragionando con me medesimo, e scavando, come dissi, nel mio
cervello per trovarvi la verità”.
Alla fine del Settecento, l'idea di una “repubblica”
era paragonabile a quella di un'anarchia. La repubblica, nel suo originario
senso (oggi nascosto, cassato del tutto) veniva davvero considerata essenzialmente
un'utopia. Ed è rimasta un'utopia, visto
che oggi le repubbliche sono tali soltanto nominalmente (come le “democrazie”),
sono cioè diventate custodie in ottone lucidato
per contenervi subdole dittature. Ma il Verri adopera la parola “repubblica”
nel senso vero e originario, nell'idea anarchica di una gestione diretta e popolare della società. E dopo aver stabilito che
la forma migliore di governo è quella in cui il popolo detiene il controllo di tutto,
termina il discorso in questo modo:
“Se qualch’altro mi rimproverasse, perché nel
mio scritto non vi sia civismo, io mi limiterò a invitarlo, perché dia in questi
tempi alla Patria de’ consigli più opportuni de’ miei”.
Insomma, da allora
sono passati 227 anni, ci sembra che di governi ne abbiamo visti e sopportati
abbastanza. Aspettiamo ancora? E se non vi bastano 227 anni possiamo andare ancora
indietro nella Storia, dove troveremo un grande Etienne de la Boétie (XVI secolo) che parla in merito alla condizione
di “servitù
volontaria” del popolo, troveremo Diogene
(